Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

29/07/16

PERICOLO PER LA FORESTA DI BIAŁOWIEŻA


 
La Polonia non mantiene gli obblighi presi con l'UNESCO, a segnalarlo è la ricerca compiuta da Greenpeace Polonia e dall'associazione "Polonia Selvaggia" (Fundacja Dzika Polska). Il Governo ha infatti intenzione di utilizzare una parte del territorio della foresta per incrementare il numero di ospedali. Questa soluzione non è solo periocolosa per questo territorio unico, ma anche per l'immagine del Paese.

Ieri Liuk Bas, esperto della UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), ha monitorato lo stato della foresta per conto dell'UNESCO.  La sua opinione è che questa inestimabile foresta potrebbe perdere la sua naturale capacità di rigenerarsi.

In base ai risultati dell'ispezione il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell'UNESCO ha deciso che prenderà dei provvedimenti nella prossima sessione che si terrà nel mese di luglio. Le decisioni saranno vincolanti per il governo polacco.

La foresta di
Białowieża (parco nazionale di Białowieża) è la riserva naturale più antica d'Europa. Nel 1979 la parte polacca entrò nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO (nel 1992 venne selezionata anche la parte bielorussa). Questo fa della foresta l'unico luogo polacco che rientra nei Patrimoni dell'UNESCO.

Oggi l'abbattimento è vietato non solo nei 10000 ettari che compongono il parco nazionale, ma anche nel 70% del territorio nazionale in cui si estende la foresta. Ciò significa in altri 60000 ettari.

L'area colorata di verde indica il territorio Patriomonio dell'umanità dell'UNESCO
Il ministo dell'ambiente polacco Jan Szyszko propone di spostare la foresta di Białowieża dalla lista dei Patrimoni naturali a quella dei Patrimoni culturali dell'UNESCO, questo farebbe aumentare  il trasporto del legname. Il ministro responsabile dell'ambente ritiene che l'inserimento della foresta nella lista dell'UNESCO sia stato un errore.

Fonti governative riferiscono che l'abbattimento su grande scala è stato adottato per eliminare le infestazioni di scolitide. Il problema delle infestazioni esiste davvero, ma gli ambientalisti polacchi sostengono che sia solo un pretesto. Secondo loro infatti la scala di abbattimento prefissata supera di gran lunga quella necessaria per risolvere il problema scolitide.

Ricordiamo che nel mese di Aprile 2016 gli attivisti di Greenpeace hanno trascorso due notti sul tetto della sede del Ministero dell'ambiente, chiedendo di salvare la foresta di
Białowieża e appendendo un enorme striscione con il loro slogan: "Tutta la foresta parco nazionale".

Data: 08.06.2016
Fonte: http://www.greenpeace.org/russia
Autore: Evgenij Usov
Traduzione: Claudia Figari

CERNOBYL: PASSATO O PRESENTE? - ЧЕРНОБЫЛЬ: ПРОШЛОЕ ИЛИ НАСТОЯЩЕЕ?

Autore: Ol'ga Ginzburg, 13 anni, alunna del ginnasio n. 1 di Klincy (Russia)
Data: 2011
Traduzione: S.F.

Автор: Ольга Гинзбург, 13 лет,
ученица гимназии № 1 г. Клинцы (Россия)
Дата: 2011
Перевод: С.Ф.



CERNOBYL: PASSATO O PRESENTE?

Paesaggi stupendi, giardini dai raccolti generosi, bellissimi prati: per questo era famosa la terra di Cernobyl. Ma una notte d’aprile del 1986 venne tracciato un confine. Da allora questa terra cominciò a chiamarsi zona – una località deturpata, non adatta per la vita. E se a causa della catastrofe nucleare trasalirono i cuori di tutti i nostri compaesani, la parola “zona” non ha mai smesso di risuonare in quegli stessi cuori per tutti questi anni e ancora a lungo rimarrà nella memoria dell’umanità. L’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl è diventato il nuovo punto di rottura nella storia dell’energia nucleare, ha mostrato quanto sia pericolosa la forza dell’atomo priva di controllo e come sia incredibilmente complicato contenerla.

Venticinque anni sono un istante, un brevissimo arco di tempo. Ma quanto lo percepiamo ora lontano e spensierato quel mondo prima di Cernobyl – rassicurante, senza fretta! Un mondo senza catastrofi, senza vittime, senza le situazioni stressanti che hanno intaccato il destino di milioni di persone dopo la tragedia di Cernobyl:

Si viveva superficialmente,
Si viveva infinitamente,
E l’esplosione ci colse –
Incendio!

Il primissimo impatto della sciagura se lo prese l’unità antincendio militarizzata della centrale nucleare. I pompieri capivano bene quello a cui andavano incontro, una volta finiti nel mezzo dell’inferno delle radiazioni letali. Ma sopra le loro spalle c’erano i loro figli, i loro cari, i loro conterranei, l’intera terra natia. A costo di sforzi incredibili, e in qualche caso della propria vita, spegnevano i pompieri di Cernobyl gli elementi in fiamme che ribollivano impazziti sopra il reattore semidistrutto. A loro eterna gloria e memoria!

Fin dalle prime ore, dai primi giorni i nostri conterranei senza indugi presero a lottare con un nemico minaccioso e invisibile: quotidianamente svolgevano turni pericolosi accanto al reattore incandescente, ripulivano dalle radiazioni i campi, i giardini e le abitazioni, accoglievano sinceramente a casa propria coloro che erano stati trasferiti… Così ebbe inizio la cronaca dell’impresa di tutto il popolo.

Evacuazione. Questo intermezzo di tempo di guerra, che viveva solamente nella memoria di coloro che avevano conosciuto il duro periodo della Grande guerra patriottica, s’insinuò tutto d’un tratto nel nostro presente. Lo richiamò l’uragano di Cernobyl, strappando le persone dai loro luoghi d’abitazione, sradicandoli dalle radici che li univano alla terra natia. Come si può misurare il loro dolore? La calamità di Cernobyl… Radiazioni… Radionuclidi… Quant’angoscia hanno introdotto queste parole nella nostra vita! Sono venute a galla nuove angosce, la principale tra cui rispetto al futuro del nostro pianeta. La sciagura si è nascosta dappertutto: e nel terreno, e nell’acqua, e nell’aria, e nel cibo. Io ho visto come nascono gli uccelli, gli animali in questa orribile “zona”… L’ho visto una volta e probabilmente non lo potrò mai più dimenticare…

Trascorrono gli anni dall’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Siamo al venticinquesimo. Quel dolore non si smorza, l’angoscia non abbandona coloro che son legati ai tempi dolorosi dell’apocalisse nucleare. La Cernobyl atomica. Essa scomparirà soltanto quando avremo estirpato dentro di noi la Cernobyl interiore. Nel frattempo non si rimargina la ferita di Cernobyl.

La tragedia di Cernobyl è il nostro dolore.

Sono passati 25 anni ma il nero giorno della tragedia di Cernobyl continua a turbare: sia coloro che vennero sfiorati dalla sua ala funesta, sia coloro che sono nati successivamente lontano da quella terra deturpata. Quel giorno non passò senza lasciar tracce, lasciò generare in giro per il mondo tante tragedie; e unirà tutti per sempre nel ricordo, nella tristezza, nella speranza.

Una tragedia d’inaudita portata è piombata sulla spalle del nostro popolo. Di chi è la colpa? In concreto è come se nessuno non avesse fatto niente di speciale. Non si trattò di provocazione, bensì di trascuratezza. La manifestazione dell’irresponsabilità e della leggerezza sì è andata accumulando e accumulando finché in un bellissimo giorno d’aprile tutto d’un tratto avvenne uno scoppio… Tutto era in fiore, la morte sopraggiunse invisibile. Nessuno ci credeva, poiché una cosa simile non era mai accaduta. Gli uomini diedero prova di eroismo, liquidavano i resti dell’incidente, ma nessuno si aspettava allora una tale portata delle conseguenze. I primi eroi morirono tutti, ma quante persone si sono in seguito ammalate, quanti bambini sono nati invalidi.

Grazie allo stato, che venne in aiuto, tutto il mondo venne in aiuto di coloro che erano stati colpiti dalle radiazioni. E ora i “cernobyliani” hanno diverse agevolazioni, vanno nei sanatori, si curano. Ma dov’è la garanzia che questa tragedia non si possa ripetere? Gente, siate vigili e prudenti, l’irresponsabilità provoca tragedie.

Voglio terminare il mio scritto con le parole di Ivan Drač dal poema La Madonna di Cernobyl:

«Per la baraonda, le carriere e i premi, come in guerra, esci allo scoperto da solo,
Per la saggezza universale delle stupide accademie paghiamo con l’immortalità – con la vita dei giovani».
Ol’ga Ginzburg
 
ЧЕРНОБЫЛЬ: ПРОШЛОЕ ИЛИ НАСТОЯЩЕЕ?

Замечательными видами, щедро урожайными садами, прекрасными лугами прославлялась чернобыльская земля. Но апрельской ночью 1986-  го была пропахана граница. С тех пор эта земля стала именоваться зоной – покалеченной, непригодной для жизни местностью. И если от атомной катастрофы вздрогнули сердца всех земляков, то слово «зона» не перестает звучать в этих сердцах уже шестнадцать лет и еще надолго останется в памяти человечества. Авария на Чернобыльской АЭС стала новой вехой отсчета в истории атомной энергетики, показала, насколько опасная лишенная контролю сила атома и как невероятно тяжело унять ее.

Двадцать пять лет – это миг, совсем немного времени. Но каким далеким, безоблачным выдается теперь нам тот дочернобыльский мир – спокойный, неторопливый! Мир без катастроф, жертв, без стрессовых ситуаций, что отразился на судьбу миллионов людей после Чернобыльской трагедии:

Жилось легкомысленно, 
Жилось безбрежно, 
И взрыв достал нас – 
Пожар!

Первейший удар стихии приняла на себя военизированная пожарная часть атомной станции. Пожарники хорошо понимали, на что шли, оказавшись в самом аду смертельной радиации. И за их плечами были их же дети, родные, земляки, весь отчий край. Ценой невероятных усилий, а временами и ценой жизни, тушили чернобыльские пожарники огневую стихию, которая бурлила над аварийным энергоблоком. Вечная им слава и память!

Уже с первых часов, дней исчислении наши соотечественники не колеблясь стали к борьбе с грозным и невидимым врагом: ежедневно несли опасные вахты возле раскаленного реактора, очищали от радиации поля, сады и жилье, искренне принимали у себя переселенцев… Так начиналась летопись всенародного подвига.

…Эвакуация. Этот срок военного времени, что жило только в памяти людей, которые познали тяжелое время времен Отечественной войны, урвал в наше настоящее. Его вызвал чернобыльский ураган, вырвав людей из обжитых ими мест, оторвав от корней, которые соединяли с родной землей. Чем можно измерить их горе? Чернобыльское бедствие… Радиация… Радионуклиды… Сколько тревоги внесли эти слова в нашу жизнь! Появились новые тревоги, и главная из них – будущее нашей планеты. Беда притаилась везде: и в грунте, и в воде, в воздухе, в пище. Я видел, какими рождаются птицы, животные в этой страшной «зоне»… Увидел один раз, а не смогу забыть, наверное, никогда…

Проходят года после аварии на Чернобыльской АЭС. Вот уже минует двадцать  пятый. Та боль не утихает, тревога не оставляет людей, связанных скорбными временами ядерного апокалипсиса. Чернобыль атомный. Он, наверное, исчезнет после того, как мы вытравим в себе Чернобыль духовный. А пока что не заживает чернобыльская рана.

Чернобыльская трагедия – боль наша. 

Прошло 25 лет, а черный день Чернобыльской трагедии продолжает волновать людей: и тех, кого он зацепил своим нехорошим крылом, и тех, кто позднее родился далеко от изуродованной земли. Этот день не прошел бесследно, он расплодил в мире много трагедий; он будет всегда объединять всех одним воспоминанием, одной печалью, одной надеждой.

Невиданного масштаба трагедия свалилась на плечи нашего народа. Кто же виновный в ней? Конкретно будто никто ничего специально не делал. Это не провокация, это халатность. Проявления безответственности и легкомысленности накапливались и накапливались – и в один прекрасный апрельский день – вдруг взрыв… Все цвело – смерть пришла невидимо. Никто не верил, так как подобного еще не было. Люди проявили героизм, ликвидировали остатки аварии, но такого масштаба следствий никто не ждал. Первые герои погибли все, а сколько еще больных, сколько родилось детей-калек.

Спасибо, государство помогло, весь мир помогал тем, кто испытал радиационное влияние. И сейчас «чернобыльцы» имеют разные льготы, ездят в санатории, лечатся. Но где гарантия, что не повторится эта трагедия? Люди, будьте бдительны и осторожны, безответственность порождает трагедию.

Хочу закончить свое произведение словами Ивана Драча из поэмы Чернобыльская мадонна:

«За безалаберщину, за карьеры и премии, словно на войне, снова выходи один, 
За мудрость всемирную глупых академий платим бессмертием – жизнью молодых».
Ольга Гинзбург
Клинцы, 2011 года

DIARIO DI HIROSHIMA

Diario di HiroshimaDiario di Hiroshima

Hachiya Michihiko

Edizione SE
 
Anno: 2005

Pagine: 288

















A Hiroshima i volti che si disfanno, la sete dei ciechi. Denti bianchi sporgenti in un volto sparito. Vie bordate di cadaveri. Su una bicicletta un morto. Stagni colmi di morti. Un medico con quaranta ferite. «Siete vivo? Siete vivo?». Quante volte deve udirlo. Visita illustre: l'Eccellenza. In suo onore, egli si alza a sedere nel letto e pensa, va meglio. Di notte come unica luce i fuochi della città, cadaveri che bruciano. Odore come di sardine che bruciano. Quando accadde, la prima cosa che d'improvviso notò su di sé: era completamente nudo. Il silenzio, tutte le figure si muovono senza rumore, come in un film muto. Le visite ai malati nell'ospedale: primi resoconti di ciò che è stato l'annientamento di Hiroshima. La città dei quarantasette ronin è stata scelta per questo? Il diario del medico Michihiko Hachiya comprende 56 giorni a Hiroshima, dal 6 agosto, il giorno della bomba atomica, al 30 settembre 1945. È scritto come un'opera della letteratura giapponese: precisione, delicatezza e responsabilità sono i suoi tratti essenziali. Un medico moderno, che è tanto giapponese da credere irremovibilmente nell'imperatore, anche quando questi annuncia la capitolazione.  (da www.ibs.it)

28/07/16

PERIODO DI DIMEZZAMENTO - ПЕРИОД ПОЛУРАСПАДА

Autore: Konstantin Popov, pittore
Luogo: Novozybkov (regione di Brjansk, Russia)
Data: 2011
Traduzione: S.F.

Автор: Константин Попов, художник
Место: Новозыбков (Брянская обл., Россия)
Дата: 2011
Перевод: С.Ф.


PERIODO DI DIMEZZAMENTO

Quando ritorno con la memoria agli anni di un quarto di secolo fa, niente mi agita i sentimenti come gli avvenimenti che si sono susseguiti a qualche anno di distanza dall’incidente di Cernobyl (era l’inizio degli anni Novanta), e precisamente quella catena di precipitosi spopolamenti dei centri abitati della provincia che erano capitati nella zona di contaminazione radioattiva. Svjatsk, Makusy, Globočka, Borok, Mošok, Griva, Babaki – più di una decina di paesi, villaggi, sobborghi terminarono la loro esistenza dopo Cernobyl.

E così è accaduto che di venire a trovarmi nel più grande di questi villaggi, Svjatsk, un tempo borgo, mi riuscì per la prima volta solamente quando da esso se n’erano già andati via quasi tutti. Ancora stavano in piedi le case, sopra il villaggio si levava l’unica chiesa della provincia funzionante e non distrutta negli anni della lotta antireligiosa. Nella centrale Piazza Rossa c’era il monumento ai conterranei caduti negli anni della guerra. Questo sembiante di madre addolorata lo si può vedere oggi a Novozybkov, dove l’hanno spostato relativamente di recente. E sempre qui, a Novozybkov, nel giardino pubblico hanno collocato anche il busto di bronzo di David Dragunskij, nativo di Svjatsk, al quale, come a tutti i Due volte Eroi dell’Unione, era stato posato un monumento nella sua piccola patria. Anch’esso si trovava allora sulla Piazza Rossa, come ora ricoperto senza pretese e scialbamente di vernice nera. E forse è questo ad aver salvato il monumento dagli amanti dei rottami colorati.

Per le vie camminavano ancora alcuni rari abitanti, e l’autobus di linea faceva regolari corse di andata e ritorno al villaggio. Con la mia cassettina da pittore sulle spalle andavo in giro a scegliere l’ennesimo, in senso letterale e figurato, soggetto “che se ne va”. L’odore di “putrefazione” e le tracce dello sciacallaggio avevano già toccato quest’antico villaggio come una creatura agonizzante, indifesa davanti al volto della fine incombente. Le finestre stavano lì con i vetri sfondati e non di rado con i telai strappati, in stridente contrasto con le tendine ancora a esse appese. Attraverso i portoni scardinati e gli steccati gettati a terra e con le assi divelte nereggiavano i vani delle porte spalancate. A entrare dentro non mi decidevo, qualcosa mi tratteneva – come l’arrivo di un estraneo o di un ospite non invitato al capezzale di un morente. Soltanto una volta, per proteggermi dalla pioggia e lottato e vinto con le mie resistenze, varcai la soglia. Agli occhi mi si gettarono la stufa russa semidistrutta in mezzo alla stanza, dalla quale qualcuno aveva già iniziato a portare via i mattoni, le cose sparpagliate tutt’intorno, i bauli aperti, vecchi vestiti, scarpe. Sotto la finestra c’era un semplice tavolo di assi, intorno al quale erano sparse delle sedie capovolte. Alle pareti erano ancora appese delle riproduzioni cartacee di quadri in cornici artigianali, nell’angolo erano posati dei portaicone vuoti. Tutto quel disordine era permeato di una sensazione di completa desolazione e abbandono. Pareva che da lì gli abitanti fossero scappati come colti di sorpresa da un nemico. Di tutte le cose che vidi a Svjatsk durante tutti quegli anni quello spettacolo di dimora abbandonata è probabilmente quello che più mi è rimasto impresso nella memoria.

La chiesa dei vecchi credenti della Santissima Vergine dell’Assunzione, celebre in tutto il circondario, a quel tempo era già stata depredata. L’iconostasi vuota era costellata dai buchi delle immagini staccate e portate chissà dove. E tuttavia nel tempio rimaneva ancora l’atmosfera di unione con Dio e l’aroma dell’incenso non era ancora svanito grazie ai muri ricoperti di travi di pino. Ci venivano ancora delle vecchiette, silenziose e tristi, e a lungo stavano lì in piedi davanti all’altare dismesso, magari ripercorrendo dentro di sé gli anni vissuti e congedandosi mentalmente da tutto ciò che era stato loro caro e amato.

Svettava ancora nel villaggio pure il nuovo edificio di mattone a due piani della Casa rurale della Cultura, costruito un anno dopo la catastrofe di Cernobyl, nel 1987, alla cui inaugurazione venne lo stesso Dragunskij. I suoi mobili costosi, le sedie foderate di bel tessuto della sala teatro erano sparse tutt’intorno, oramai non più necessarie a nessuno.

Qui m’incontrai con Anatolij Pavlovič Vorob’ëv, con il quale già ci conoscevamo, famoso giornalista di Mosca, redattore del giornale «Gudok», che veniva a trascorrere le ferie estive nel suo paese natio. Lui si fermava nella casa dei suoi genitori, già abbandonata, che si trovava, a proposito, accanto alla “casa di Dragunskij”. Qui gli riusciva di scrivere bene, a quei tempi i suoi articoli e i suoi saggi letterario-etnografici venivano spesso pubblicati sul giornale locale “Majak”, dove un tempo lui aveva iniziato la sua attività creativa. Ed è proprio in seguito alla lettura dei suoi ricordi sul passato e dei suoi reportage permeati di dolore sul presente di Svjatsk che mi venne voglia di andarci.

Le lunghe conversazioni con lui colpivano per la sua capacità di penetrare nella sostanza dei problemi. Ricordo con quanto fervore cercava di dimostrare che sarebbe bastato sostituire la copertura sui tetti delle case, impregnatasi di cesio radioattivo, e sarebbe anche costato molto meno che non trasferire tutti e tutto, e il villaggio avrebbe potuto sopravvivere. Mi pareva un moderno Don Chisciotte che da solo si lancia a combattere per un destino di un’altezza senza nome sulla carta delle azioni di guerra il cui nome – non temiamo di dirlo – è la “guerra con il proprio popolo”. E adesso che di profeti e difensori se ne diffondono a iosa, voglio riportare una citazione da un breve articolo di Anatolij Pavlovič scritto per il catalogo della mia prima mostra di opere “cernobyliane”:

«La radice delle attuali disgrazie noi per abitudine la cerchiamo nella catastrofe di Cernobyl di per se stessa, quando invece dovremmo cercarla in una catastrofe di tutt’altro genere, nel deragliamento della nostra morale pubblica. La politica statale nel corso di vari decenni, per quanto sia amaro oggi riconoscerlo, si è sviluppata senza tenere conto dell’esperienza e delle speranze vitali dei contadini, anzi andando contro di essi. Dietro l’apparenza delle trasformazioni socialiste della campagna si è innescata una totale demolizione dell’ordinamento di vita che ha portato all’erosione della base culturale stessa sulla quale si reggeva da tempi immemorabili la campagna russa. I villaggi spopolati, la terra inselvatichita – sono il castigo per la violenza, l’arbitrarietà, l’incompetenza e l’insensibilità nei confronti dei contadini, a cominciare dalla collettivizzazione, poi con la liquidazione dei villaggi “senza prospettiva”, per finire con i trasferimenti di Cernobyl… il cui principio fondamentale è diventato: dovunque e a casaccio, oppure salvati come puoi».

In effetti, è difficile esprimerlo meglio. E anche oggi, dopo molti anni, tutto questo suona non meno attuale. E in fondo tutta la storia degli avvenimenti cernobyliani non è che una catena di decisioni contraddittorie e di sparate da un estremo all’altro, un occultamento di segreti a quei tempi noti a tutti e un ossessionante citare sempre le stesse verità “immortali”. Con sicurezza oggi si può dire che Svjatsk è caduta come la vittima di turno sacrificata sull’altare della nostra politica statale (o meglio, antistatale), nel linguaggio popolare chiamata sabotaggio. Allo scopo di salvare le proprie cariche e i propri benefici nessuno prestava attenzione alla gente, la quale venne semplicemente calpestata. Esattamente come nel maggio del 1986, quando, pur sapendo della contaminazione radioattiva e di come tutti i dosimetri fossero andati fuori scala, ugualmente condussero gli abitanti della città al corteo del 1° maggio, senza  averli avvertiti del pericolo. Forse che non pensavano a se stessi e al loro benessere? I nomi degli ex primo segretario del comitato cittadino e presidente del comitato esecutivo, che rispondevano personalmente dell’attuazione della direttiva “non creare panico e mantenere la calma”, che non fecero niente per mettere al sicuro i cittadini e presto di tutta fretta si trasferirono (per non dire scapparono) nel capoluogo di regione, sono ben noti. Con l’inizio degli anni Novanta cambiò anche la direzione del potere, ma i principi di comando rimasero gli stessi di prima, poiché la composizione di coloro che detenevano il potere non fece altro che “cambiare volto”.

Tutti coloro che erano rimasti a Svjatsk vivevano nell’angoscia e nell’incertezza. Chi aspettava l’arrivo o le comunicazioni dei parenti dai nuovi luoghi di residenza, chi decise di rimanere ancora lì, ma ormai sempre più spesso cominciarono a venire in visita individui di tutt’altra risma. A lucrare sui beni abbandonati, in parole povere a fare dello sciacallaggio, qui da noi per qualche motivo non mancano mai gli aspiranti. Camion e automobili, motociclette e sidecar – tutti se ne ripartivano con cassoni e bagagliai stracarichi – chi di materiale da costruzione, chi di legna, chi di mele e pere. Battevano le asce, srtidevano le seghe, rintronavano piccozze e picconi. Senza farsi troppi problemi questi spaccavano le stufe e i muri di mattoni, strappavano l’ardesia dai tetti, abbattevano le betulle nelle strade e i meli nei giardini (dagli alberi distesi a terra era più facile raccogliere i frutti). Spesso, tornando la volta successiva, io non trovavo più molti edifici che ancora la settimana prima avevo visto coi miei occhi. Letteralmente a vista d’occhio il villaggio se ne andava nel non essere.

E come se non bastasse, Svjatsk a poco a poco cominciò a essere popolato da persone senza fissa dimora. Andavano in giro per il villaggio per lo più al crepuscolo, non si sapeva dove passassero la notte, dove mangiassero. Nel giorno dell’arrivo degli impiegati dei servizi sociali con la pensione per i pochi abitanti rimasti al villaggio, essi si facevano visibilmente più attivi, entravano la notte nelle porte chiuse e di giorno, in assenza dei padroni, frugavano da tutte le parti. Queste cose me le raccontò con una paura non celata una delle abitanti, in piedi accanto a me, mentre stavo lavorando nella via sul soggetto di turno. È incredibile, ma avvicinandosi a me ella domandò: «Che cosa scrive?». Che un pittore con il pennello scrive e non disegna è una cosa che sanno soltanto le persone a stretto contatto con l’arte. Ma da queste parole pronunciate da una semplice contadina, insieme al suo racconto, rimasi semplicemente scosso. Dopo un po’ di tempo Anatolij Vorob’ëv mi mise al corrente del suo terribile destino. Essa fu uccisa da uno sconosciuto proprio davanti alla sua casa.

Per continuare a contemplare quest’agonia di disgregazione non mi bastavano le forze né il coraggio. A Svjatsk smisi di andarci. Durante questi anni se ne sono andati via gli ultimi abitanti, è stata bruciata – proprio alla fine del Ventesimo secolo – la chiesa dell’Assunzione, monumento architettonico in legno, abbandonato al proprio destino da tutti, sia dalla chiesa dei vecchi credenti che dall’amministrazione provinciale, sono state trasportate nel capoluogo le reliquie più significative rimaste, sono stati completamente smontati o demoliti gli edifici e le case, tagliati i cavi dell’elettricità e delle comunicazioni. Svjatsk in quanto centro abitato oggi non esiste più né sulla carta né nella realtà.

Quale provvidenza s’è intromessa nel destino per preservare alcuni villaggi e cancellarne altri dalla faccia della terra? Insieme a Svjatsk sarebbe dovuto scomparire anche il vicino villaggio di Staryj Vyškov, il cui livello di contaminazione era esattamente lo stesso di Svjatsk. Al margine dell’incertezza si trovava la stessa Novozybkov, inserita nell’elenco dei luoghi con trasferimento obbligatorio. Svjatsk divenne così il capro espiatorio che venne gettato nella feritoia per tappare quel buco di malcontento pubblico che veniva a galla per tutta la precedente, confusa e infantile, epopea cernobyliana “da governatorato”. Una via d’uscita probabilmente ci sarebbe stata, ma nessuno dei dirigenti locali e regionali voleva complicarsi la vita con problemi superflui, tanto più con il rischio di perdere le loro poltrone calde e già ben riscaldate. A proposito, neanche un centro abitato della zona bielorussa confinante, nella regione di Gomel’, che si trova a soli due chilometri da Svjatsk, venne evacuato, sebbene le condizioni anche là non fossero certo migliori.

Ma è rimasta ancora la memoria delle persone. Ed essa non la si può in alcun modo annientare nella coscienza. Sono rimasti i luoghi di unione spirituale di tutti coloro che in un modo o nell’altro erano legati a questo paese. Come prima là sgorga dalla terra la fonte Svjatoj (“benedetta”), dal cui nome venne un tempo chiamato il villaggio; come prima, vi si seppelliscono i morti, e nei cimiteri gli ex abitanti ogni anno vengono a fare il banchetto funebre per commemorare i defunti; come prima, si radunano per l’Assunzione della Santissima Vergine, la festa patronale del tempio bruciato, tutti coloro che hanno a cuore la memoria di Svjatsk.

Ci sono tornato anch’io una volta, dopo quasi vent’anni. È difficile rendere tutte le sensazioni che mi hanno assalito dopo una così lunga assenza. Mi ha meravigliato la targa alla memoria collocata al posto dell’ex tempio, mi ha rallegrato la forte unione spirituale delle persone che si erano lì riunite, mi ha dato speranza l’uscita di un libro sulla storia del paese. E perfino il segnale stradale artigianale con il nome del villaggio, messo al posto di quello ufficiale, infonde almeno un certo ottimismo. Ci si convince che questa è una prova mandata dall’alto all’ex Svjatsk, senza peccati davanti agli uomini e a Dio, come a dire: «Su, abbiate ancora un briciolo di pazienza… verrà il tempo, tutto si aggiusterà». Una ex abitante di Svjatsk mi ha confidato il suo segreto: «Se adesso annunciassero che si può tornare al villaggio, io partirei subito a piedi!». In effetti, è forse ancora prematuro mettere una croce definitiva su Svjatsk? Tanto ci toccherà comunque raccogliere i sassi.

Un quarto di secolo è il periodo di dimezzamento del più attivo tra gli isotopi fuoriusciti dal reattore del quarto blocco, il cesio radioattivo. Durante questo periodo è decaduto per metà non soltanto il cesio, ma è stata anche “dimenticata” metà della verità su quegli anni. Quanto tempo sta infatti durando il decadimento della coscienza, dell’etica e della morale, tanto delle nostre autorità locali e regionali come di quelle a più alto livello, preposte sopra di noi e chiamate a far rispettare questa stessa memoria e quelle stesse norme per far ritornare le cose sui propri binari. E tuttavia non sono riusciti a escogitare niente di serio né di sensato.

Le rappresentazioni che ogni anno vengono allestite per l’anniversario dell’incidente sulla nostra piazza centrale, chiamate a esprimere con uno spettacolo da strada la tragicità di ciò che accadde molti anni fa, non sono altro che uno show teatrale. Per dirla più semplicemente, una finzione banalissima, un ciuccio per la soddisfazione provvisoria dell’istinto di suzione, con una folla di sfaccendati, impiegati sottratti al lavoro e studenti e scolari dalle lezioni, con bandiere e striscioni, che ci fan tornare alla memoria le nostre manifestazioni festive d’un tempo, altrettanto vuote e sconclusionate rassegne politico-ideologiche delle “realizzazioni”. Soltanto quali realizzazioni?

Gli ospiti altolocati che vengono qui in visita non mettono il naso oltre il monumento della “Madre addolorata”; di promesse sempre tantissime, e invece di organizzare qualcosa di efficace, per esempio andare a vedere le terre abbandonate e incolte, un tempo feconde e ben tenute, oppure visitare villaggi e paesi bruciati dall’incendio radioattivo allo scopo di restituire tutto questo alla gente… scusate un po’… Fino a quando in sostanza questo pezzettino di terra ai confini estremi della Russia rimarrà la pietra d’inciampo per tutto il gigantesco paese con le sue immense risorse e possibilità? E osservando da fuori questo pathos convulso, per quanto sia triste rendersene conto, bisogna constatare che tutte le parole gratuite degli uni e i mugolii degli altri non accennano ancora a finire, e andranno avanti fino a quando si potrà ancora mungere la “mucca di Cernobyl” e su questo accumulare un capitale finanziario e politico. È possibile, fino al completo decadimento.

Konstantin Popov
 
 
 
 

CHERNOBYL. LA TRAGEDIA DEL XX SECOLO

Chernobyl. La tragedia del XX secolo

Autore: Nica Pavel (Moldavia)
Editore: Stampa alternativa
Anno: 2011
Pagine: 211

Chernobyl. La tragedia del XX secolo
“Pavel Nica, arrivato come inviato speciale di un settimanale moldavo sulla scena di Chernobyl... solo nel 2003 è riuscito finalmente a raccontare quello che ha visto, che ha vissuto e quello che ha scoperto sulla tragedia atomica più grave mai successa da quando esistono le centrali nucleari.
Ventisei anni di silenzio, di censura, di bugie.  Silenzio e censura sulle conseguenze della catastrofe, bugie sulle cause dell’incidente... questo coraggioso giornalista si è messo in gioco interamente,
pagando il prezzo più alto possibile, quello della vita”.

dalla prefazione di Riccardo Iacona 

BRUCIA LA FORESTA NELLA ZONA DI ESCLUSIONE DI ČERNOBYL'



Фото: В зоне отчуждения Чернобыльской АЭС горит лес
L'ufficio stampa per la risoluzione di situazioni d'emergenza della Pubblica Amministrazione ha rilevato un incendio nel bosco nella Zona limitrofa alla centrale nucleare di Černobyl'.

Al momento l'area interesseta dall'incendio è di 15 ettari, il personale specializzato si è già recato nel luogo dell'incidente. L'incendio si trova nei pressi del centro abitato Buryakovka, al momento il servizio stampa dichiara che non vi è pericolo di intromissione di oggetti nella zona contamita o nella stessa centrale. Il dipartimento ha osservato attraverso il lavoro di primo soccorso dei vigili del fuoco e dell'aviazione, che sul posto si trovano lavoratori impiegati nella silvicoltura. Černobyl' detiene ancora lo status di complesso nucleare attivo.

Attualmente sono coinvolte nell'operazione 20 unità tecniche. Lo staff operativo lavora in una zona di alienazione dove i valori delle radiazioni non superano la norma. Il sito internet russo Pronedra aveva in precedenza segnalato l'esaurimento per estrazione del combustibile nucleare della Centrale Nucleare di Černobyl'. Ciò è servito ad attribuire alla centrale nucleare lo status di "impianto adibito al trattamento dei rifiuti radioattivi".

Data: 16.07.2016
Fonte: www.pronedra.ru
Traduzione: Claudia Figari


27/07/16

IL BOSCO ROSSICCIO - РЫЖИЙ ЛЕС

Canzone: «Il bosco rossiccio»
Autori: Vladimir Šovkošitnyj, Vasilij Rozumnyj
Dal film: «La soglia» (Urss, 1988)
Traduzione: S.F.

Песня: «Рыжий лес»
Авторы: Владимир Шовкошитный, Василий Розумный
Из к/ф:
«Порог» (СССР, 1988) 

Перевод: С.Ф.




РЫЖИЙ ЛЕС

Среди погибших отрешённых сосен
Весна блуждает солнечным лучём,
А рыжий лес навек сковала осень,
Он с ней, бедою нашей, обручён.

А рыжий лес навек сковала осень,
Он с ней, бедою нашей, обручён.

В пустом селе на проводах усталых
Не видно беззаботных лёгких птиц.
Текут тягучей волью в водах талых
Утраты наши, вереница лиц.

Текут тягучей волью в водах талых
Утраты наши, вереница лиц.

Зловещий призрак облаком сожжённый,
Радиоактивный омертвевший лес.
Деревья тянут руки обречённо
В бесстрастное всевиденье небес.

Деревья тянут руки обречённо
В бесстрастное всевиденье небес.


IL BOSCO ROSSICCIO

Tra i pini senza vita e attoniti
La primavera erra con un raggio di sole,
E il bosco rossiccio l’ha incatenato per sempre l’autunno,
Con esso, con la nostra sciagura, s’è fidanzato.

E il bosco rossiccio l’ha incatenato per sempre l’autunno,
Con esso, con la nostra sciagura, s’è fidanzato.

Nel villaggio deserto sopra i cavi stanchi
Non si vedono gli uccelli spensierati, leggeri.
Scorrono con volontà viscosa nelle acque sgelate
Le nostre perdite, la successione dei visi.

Scorrono con volontà viscosa nelle acque sgelate
Le nostre perdite, la successione dei visi.

Funesto fantasma bruciato dalla nube,
Bosco radioattivo necrotizzato.
Gli alberi, come dannati, allungano le mani
Nell’impassibile chiaroveggenza dei cieli.

Gli alberi, come dannati, allungano le mani
Nell’impassibile chiaroveggenza dei cieli.

LA ZONE

A sensory journey into the heart of Tchernobyl’s exclusion zone

LA ZONE


Guillaume Herbaut
Bruno Masi

Naïve edition
30 euros
15x24cm, 183 pages


LA ZONE. Chernobyl. Naive edition. Guillaume Herbaut 

Link alla presentazione sulla pagina web dell'autore

SOFIA, CENTRALE NUCLEARE IN UN’AREA A RISCHIO SISMA


Sofia, centrale nucleare in un’area a rischio sisma

La centrale nucleare bulgara in...

Sembrava dovesse rimanere per sempre una cattedrale nel deserto, costruita solo a metà, destinata a cadere nell'oblio. Ma dal cassetto delle autorità in Bulgaria potrebbe presto essere rispolverato un progetto che rischia di mandare su tutte le furie ambientalisti, ecologisti e molti esperti di nucleare.
 
Quello di una centrale nucleare da edificare in una zona fortemente sismica, sul Danubio, in Bulgaria. Il progetto è quello di Belene, un impianto dalla storia lunga e complicata, nato nel 1980, completato per circa il 50% e poi congelato nel 2012, che sembrava essere stato definitivamente accantonato, soprattutto per lo scarso interesse da parte di investitori stranieri e mancanza di fondi pubblici. Sofia pare essere tuttavia sempre più spinta a rilanciare l'iniziativa.

«Se il progetto può portare benefici economici, allora accogliamo investitori, costruiamo, iniziamo a produrre energia», ha auspicato nei giorni scorsi il vicepremier bulgaro, Tomislav Donchev. L'idea di concludere la costruzione di Belene e di far partire i reattori «è ancora attuale», ha confermato ieri il primo ministro di Sofia, Boyko Borisov, lo stesso che nel precedente mandato di governo, dal 2009 al 2012, aveva calato su Belene una pietra tombale. Ma le cose sono cambiate.
 
Leggi tutto...

Data: 17.07.2016Fonte: www.ilpiccolo.gelocal.it

26/07/16

'THE GRAVEYARD OF THE EARTH': INSIDE CITY 40, RUSSIA'S DEADLY NUCLEAR SECRET




Ozersk, codenamed City 40, was the birthplace of the Soviet nuclear weapons programme. Now it is one of the most contaminated places on the planet – so why do so many residents still view it as a fenced-in paradise?



Those in paradise were given a choice: happiness without freedom, or freedom without happiness. There was no third alternative.” (From the dystopian novel We, by Yevgeny Zamyatin, 1924)

Deep in the vast forests of Russia’s Ural mountains lies the forbidden city of Ozersk. Behind guarded gates and barbed wire fences stands a beautiful enigma – a hypnotic place that seems to exist in a different dimension.

Codenamed City 40, Ozersk was the birthplace of the Soviet nuclear weapons programme after the second world war. For decades, this city of 100,000 people did not appear on any maps, and its inhabitants’ identities were erased from the Soviet census.

Today, with its beautiful lakes, perfumed flowers and picturesque tree-lined streets, Ozersk resembles a suburban 1950s American town – like one of those too-perfect places depicted in The Twilight Zone.
 
On a typical day, young mothers push newborns in prams and children play in the street. Music booms from teenage boys’ stereos as they show off their skateboarding skills to young girls. In the nearby forest, families swim in the lake as older folk rest on park benches, enjoying a lazy afternoon watching passersby.

On the side roads, local women sell fruit and vegetables. Only the Geiger counters used to check the produce before it is purchased point to the dark secret that haunts this tranquil urban scene.


Data: 20.07.2016
Fonte: www.theguardian.com