Autore: Carlo Spera
Tratto da: 
“Viaggio al termine della notte.
20 anni dopo l'esplosione della centrale di Cernobyl”
Casa editrice: ViediMezzo
Data: 2006
Автор: Карло Спера
Из: 
“Путешествие на край ночи. 
20 лет после взрыва на ЧАЭС”
Издательство: ViediMezzo (Италия)
Дата: 2006 г.![]()  | 
| «In gabbia» «В клетке» - © Carlo Spera. Tutti i diritti riservati | 
JURIJ
Primario del reparto oncologico dell’ospedale e capo della cattedra universitaria di oncologia all’università di Minsk
Lo
 scopo del vostro lavoro è serio: sono passati diciannove anni ed è 
impossibile non accorgersi che l’interesse su Cernobyl è scarso. Penso 
che un libro possa essere una bella cosa perché susciterà l’interesse 
della gente. Chernobyl è stata una tragedia di livello mondiale. Sarebbe
 potuto succedere in qualsiasi altra parte del mondo. Ci siamo capitati 
noi, e ci dispiace. È stata una tragedia, nessuno di noi era pronto a 
reagire, non sapevano cosa fare. La  Bielorussia era un vero e proprio pronto soccorso.
Per
 tanti anni ho lavorato in Giappone e ho notato che i giapponesi sono 
molto interessati a ciò che è successo qui da noi. Dicono che se fosse 
successo lì da loro non sarebbe sopravvissuto nessuno. Questo perché non
 avrebbero avuto i posti in cui trasferire la popolazione colpita. 
Vogliono conoscere a fondo la nostra esperienza, vivono in un paese dove
 ci sono circa cinquanta centrali atomiche. Il rischio, per loro, è 
alto. Io posso raccontarvi ciò che riguarda la salute; posso darvi delle
 informazioni scientifiche; raccontare cosa so io di Cernobyl, la mia 
esperienza emotiva. La mattina successiva all’incidente sono arrivato al
 lavoro e i dottori incaricati di fare le diagnosi isotopiche mi hanno 
detto che non potevano lavorare perché la radioattività nell’atmosfera 
superava di gran lunga quella che loro immettevano nei pazienti. 
Nessuno, in ospedale, era in grado di dare un consiglio: io mi sono 
limitato a suggerire di consultare gli organi sanitari. Purtroppo 
neanche loro sono stati in grado di dirci cosa era successo. Questo 
nelle prime ore della mattina. Poi, verso mezzogiorno, è venuto a 
piovere e il tasso di radioattività nell’atmosfera è calato. Ora 
sappiamo che si trattava di isotopi leggeri, iodio centotrentanove e 
iodio centodiciannove, ma allora non ci spiegavamo il fenomeno. Tre 
giorni dopo uno speaker televisivo ha detto che era avvenuto un 
incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Allora ci siamo resi conto
 del perché ci fosse tutta quella radioattività: Cernobyl non era 
lontano. Subito abbiamo iniziato a somministrare alla popolazione 
farmaci che contenevano iodio. Ma era già troppo tardi. L’assorbimento 
dello iodio centotrentuno è molto veloce e nell’organismo umano si 
concentra, accumulandosi, in un unico organo: la tiroide. E la Bielorussia
 è già di per sé una nazione dove c’è poco iodio, soprattutto nel sud! 
Sarebbe stato necessario fare la profilassi a tutta la popolazione, ma 
per problemi economici è stata fatta in modo insufficiente. Perciò le 
tiroidi hanno assorbito immediatamente lo iodio nell’atmosfera; ma era 
iodio radioattivo.
Si
 trovava nell’atmosfera, lo iodio, nell’aria, ma anche sui prodotti 
dell’agricoltura, sulle verdure, sui frutti e sull’erba che mangiavano 
le mucche. Ed è per questo che il latte era radioattivo. E i consumatori
 di latte sono soprattutto i bambini! Quando lo iodio è decaduto, dopo 
circa ottanta giorni dal disastro, abbiamo pensato che il problema era 
risolto. Un gruppo di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità è
 venuto in Bielorussia e ha iniziato a studiare la situazione: alla 
fine, nel loro referto, scrissero che andava tutto bene, che stavano 
tutti bene! E infatti nei primi quattro anni la situazione è stata 
abbastanza buona. Solo dopo ci siamo resi conto che i casi di cancro 
alla tiroide erano aumentati. Soprattutto nei bambini. Già di per sé il 
cancro è una patologia molto rara nei bambini, ma quello alla tiroide lo
 è ancora di più. La media europea è mezzo caso su un milione. Qui da 
noi in un anno, precisamente nel 1990, si sono registrati ventinove 
casi. L’anno dopo il numero è salito a sessantasette; l’anno dopo ancora
 a cento. Cento bambini malati di tumore alla tiroide nella sola 
Bielorussia. E il nostro è un paese piccolo, i bambini sono pochi. Su 
due milioni di bambini ci aspettavamo da due a quattro casi, mai ci 
saremmo sognati che il numero sarebbe salito a cento. Così ci siamo resi
 conto che la crescita della malattia era enorme ed è stato subito 
chiaro che la causa era l’incidente di Cernobyl. Quindici anni fa era 
molto difficile trovare delle prove che attribuissero la responsabilità 
alle radiazioni, ma gli scienziati si sono impegnati per dimostrarlo e 
adesso è possibile affermarlo con certezza. È stato un periodo 
difficile. Noi avevamo registrato il fenomeno ma l’agenzia 
internazionale atomica, con sede a Vienna, non voleva ammettere 
l’esistenza del problema. È comprensibile: loro devono sempre dire che 
va tutto bene, che non ci sono pericoli per la salute, che l’esistenza 
di queste centrali non causa nessun disagio, nessun dolore. Oggi, il 
fatto che non sia così, è certo. E non si discute.
Il
 cancro alla tiroide era una malattia molto rara prima del 1986. 
Fortunatamente l’aumento della malattia non ha segnato un aumento dei 
decessi. Ci sono tante persone malate di cancro alla tiroide in 
Bielorussia, ma anche tante persone che vivono senza la tiroide, cioè 
che sono state curate e non sono decedute. Il numero delle persone che 
vivono senza tiroide è questo: 12.136. Ma il fatto che tanta gente 
sopravviva non significa niente. Semmai solo che il problema oltre che 
medico è sociale. Queste persone hanno comunque bisogno di cure, di fare
 riabilitazione.
Il
 problema più grave è che ci sono tanti bambini e adolescenti che 
continuano ad ammalarsi. In Bielorussia, prima dell’incidente, la media 
era la stessa che nel resto d’Europa. Oggi nel mondo ci sono novecento 
bambini malati di cancro. In alcuni stati la percentuale è quasi pari a 
zero. Da noi, invece, il numero è novecentotrentasei, più alto che in 
tutto il resto del mondo.
E
 poi c’è un altro fattore importante, ed è di natura geografica. Quasi 
tutti i bambini malati vivono nella regione di Gomel’ e di Brest, le 
zone più colpite dal fallout radioattivo.
Il
 problema, se ho capito bene, si riversa su quelli che erano piccoli al 
momento dell’incidente e adesso sono in età riproduttiva. O meglio, sui 
loro figli.
Sì,
 è così. I soggetti più sensibili alle radiazioni sono i bambini da zero
 a cinque anni. Gli americani dicono che la diagnostica è diventata più 
moderna, più avanzata, ed è per questo che si è registrato un aumento 
del cancro così notevole. Non voglio fare polemiche, però nella regione 
di Gomel’ su centoquarantaquattromila analizzati trecentonovantatré 
avevano i noduli e tre il cancro. Comunque sia il risultato della 
radiografia non è importante, non è diagnostico. Da poco tempo è sorto 
un ulteriore problema: come ci si deve comportare se una donna incinta 
ha il cancro alla tiroide? Alcuni dottori dicono di interrompere la 
gravidanza e curare il cancro; altri che è giusto operare la donna anche
 se è incinta; altri ancora, come me, che bisogna far partorire la donna
 e poi curare sia lei che il bambino. Ognuno adduce degli argomenti seri
 alle proprie argomentazioni, però io credo che nel fare una scelta del 
genere, cosa che capita sempre più spesso, si debba partire dal 
presupposto che di tumore alla tiroide non muore quasi più nessuno.
Sono contento che lei scelga la terza ipotesi, perché così facendo dimostra di avere fiducia nelle cure.
Sì,
 ho molta fiducia nella cure. Ho dimostrato che quasi nessuno muore. Per
 tornare agli americani: loro dicono che in Bielorussia è molto diffuso 
il cancro di per sé, ma io sono sicuro che non è così.
Ma gli americani dicono un sacco di stupidaggini.
Abbiamo
 imparato a curare il cancro dieci anni fa e da allora abbiamo fatto 
tutto il possibile, anche se non avevamo né soldi né personale. Ci siamo
 impegnati a istruire tanti dottori: il numero di coloro che si sono 
recati a studiare in Europa o in Giappone è molto alto. Il nostro stile 
di cura è una miscela di stili diversi: francesi, italiani ecc., abbiamo
 preso il meglio e così abbiamo raggiunto un alto livello di 
preparazione e competenza.
Avete tutto ciò che vi serve per lavorare?
Sì, abbiamo tutto.
Dove si trovava quanto è esplosa la centrale?
Ero qui in ospedale. 
Qual è stata la sua reazione?
Mia
 moglie è un medico. Ci siamo conosciuti proprio nel 1986. Ad aprile 
volevo già sposarla! Quando è esplosa la centrale l’ho chiamata al 
telefono e le ho detto di non uscire di casa. Lei mi ha chiesto il 
perché e le ho risposto che c’era un tasso di radioattività molto alto 
nell’aria. Non mi credeva. E in effetti era impossibile crederlo. Dopo 
un po’ sono riuscito a convincerla a non uscire di casa e a non aprire 
le finestre. Anche gli altri medici non ci credevano. È stato difficile 
farli rendere conto della gravità della situazione. Ho avvisato tutti 
quelli che conoscevo, tutti quelli che mi è stato possibile avvisare.
Veniamo
 dalle zone contaminate, siamo stati lì per documentare la situazione e 
per parlare con coloro che hanno deciso di continuare a vivere lì. Da 
medico, come se lo spiega?
Non
 so spiegarlo, è un fenomeno sociale inspiegabile. Molti evacuati hanno 
costruito le case qui a Minsk… vengono a Minsk e poi tornano indietro. 
Qualcuno dice che non trova lavoro. La gente non capisce.
E l’alcolismo? È realmente una piaga sociale?
Ecco perché una persona non riesce a trovare lavoro.
Troppo spesso nel mondo curarsi significa tirar fuori dei soldi; qui com’è la situazione?
Da
 noi le cure mediche sono tutte a carico dello stato. Il paziente non 
paga niente. In Bielorussia ci sono troppe persone povere che non 
riescono a pagare niente. Se prendiamo un contadino di un villaggio 
sperduto della repubblica per lui mille dollari sono un mucchio di 
soldi, un patrimonio; un’operazione costa tremila dollari. Come 
potrebbero pagare loro?
Intervista di Carlo Spera

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