Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

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"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

24/05/10

A CERNOBYL ERA COME AL FRONTE

Professore, dottore in scienze mediche, Jurij Grigor’ev è direttore del laboratorio di radiobiologia e igiene delle radiazioni non-ionizzanti del Centro federale medico-biologico A.N. Burnazjan, insignito del Premio statale dell’URSS, presidente del Comitato nazionale russo per la difesa dalle radiazioni non-ionizzanti.



Sono passati 24 anni da una delle più grandi catastrofi tecnologiche nella storia dell’umanità. La distruzione del quarto blocco energetico della centrale nucleare di Cernobyl ha portato alla contaminazione dell’atmosfera, alle malattie e alla morte di persone. Il professor Jurij Grigor’ev, allora vicedirettore dell’Istituto di biofisica e membro della Commissione governativa appositamente creata per quell’emergenza, ha raccontato al giornale “Vzgljad” come loro curavano le persone colpite durante la liquidazione delle conseguenze dell’incidente.

– Jurij Grigor’evič, in quanto testimone oculare, cosa può raccontare di quell’avvenimento?

– La mattina del 26 aprile mi chiamarono all’ospedale n. 6, dove mi mostrarono l’ordine di formare una commissione speciale con una formula piuttosto originale: “per l’organizzazione delle iniziative volte a garantire le cure sanitarie durante lo svolgimento delle esercitazioni di difesa civile”…

– È così che decisero di chiamare l’incidente di Cernobyl?

– Il primo giorno ci provarono, nella speranza di poter nascondere le reali conseguenze. Io ero stato nominato vicepresidente della commissione, e mi era stata affidata la parte clinica. La situazione si evolveva tragicamente… Da una parte – e questo mi colpì! – già la notte dopo l’incidente venne formata e mandata sul posto la squadra dei nostri medici, e già la notte i medici iniziarono con competenza a selezionare i malati con sindrome acuta da irradiamento, che fondamentalmente si trattava dei pompieri che per primi erano andati a spegnere l’incendio. Nei primi due giorni vennero da noi 129 persone, di cui 86 con la sindrome acuta da irradiamento. Immaginatevi un po’ il quadro: arrivano autobus con uomini contaminati dalle radiazioni, malati con sindrome da irradiamento.

– E come si riconoscono la sindrome da irradiamento e il grado della sua acutezza?

– Nel caso della sindrome acuta si manifestano immediatamente vomito, forte mal di testa e, per ogni caso specifico, da questi sintomi il dottore che era venuto a trovarsi lì poteva con competenza discernere chi avesse una forma più acuta piuttosto che più lieve. Gli autobus, naturalmente, erano anch’essi radioattivi, i vestiti delle persone tutti sporchi, radioattivi – e tutto questo finiva nell’accettazione dell’ospedale. Ma alla vigilia della notte (!), non appena sorsero dei sospetti che sarebbero stati portati uomini con la sindrome da irradiazione, dall’ospedale dimisero tutti. Perché? Perché tutti i pazienti che portavano lì erano radioattivi e irradiavano. E se uno di loro, mettiamo, era ricoverato in una corsia al terzo piano, nella corsia di sopra non doveva trovarsi ricoverato nessuno, e lo stesso nella corsia di sotto… Il fondo radioattivo intorno era enorme. E in condizioni del genere i nostri medici – io li considero delle persone eroiche – visitavano, curavano, tranquillizzavano…

– Perché, non c’era nessun abbigliamento protettivo?

– Ma quali abbigliamento protettivo! I guanti erano di plastica, i camici, per quanto fossero accessibili allora, nei primi due giorni… Sempre in accettazione facevano a spintoni pure i piloti e le hostess che avevano trasportato i malati e che capivano che pure loro erano “sporchi”. E bisognava visitare, tranquillizzare pure loro.

– Perché, ci sono persone più predisposte all’irradiazione e altre meno predisposte?

– La predisposizione qui non c’entra niente. Prendete, per esempio, le siringhe – si contaminano subito, bisogna ficcarle da qualche parte. Le bende, il cotone, perché i pompieri erano tanti e poi con ustioni – tutto era radioattivo. Ecco, là mi tornò in mente il mio lavoro negli ospedali da campo durante la guerra… Ma al quarto o quinto giorno ci inviarono un reggimento di soldati con equipaggiamento speciale, essi piantarono le loro tende nel cortile dell’ospedale, vivevano lì e portavano via e tutta quell’enorme quantità di roba radioattiva. Fu solamente grazie all’esercito che riuscivamo a cavarcela.

– Quanto i nostri medici e i servizi sanitari si dimostrarono pronti a un lavoro di tal genere?

– Il nostro ospedale n. 6 era stato appositamente creato all’interno della Terza direzione principale, che si occupava proprio degli aspetti medico-biologici dell’industria atomica. Questo ramo sì andava sviluppando parallelamente all’energia nucleare. E tutti i malati con sindrome acuta da irradiazione si rivolgevano a noi, tranne rare eccezioni. E da tutto il mondo. Incidenti a reattori, casi disgraziati…

– Riguardo agli incidenti è chiaro, ma cosa sarebbero questi casi disgraziati?

– Be’, per esempio, in Brasile accadde questo: venne perso un apparecchio spettronomo. Qualcuno lo trovò, se lo portò a casa, si mise a smontarlo, a studiarlo, a vedere cosa ci fosse dentro. Risultato: tutta la famiglia finì da noi con la sindrome acuta da irradiamento.

– Dal Brasile?

– Sì. Cosa credete, che soltanto da noi si lavora con questo… Parallelamente nel nostro istituto c’erano dei laboratori nei quali noi studiavamo dettagliatamente l’effetto delle radiazioni sul sistema nervoso, sulla struttura sanguigna, elaboravamo metodi di cura. Andavamo ai poligoni dove si facevano esplodere bombe, irradiavamo i cani, studiavamo tutto ciò che avveniva in quelle condizioni. Per questo, quando successe Cernobyl, conoscevamo praticamente tutto. Se uno ha ricevuto 600 rad – il 12° giorno avrà inizio il periodo culminante. Se non lo si cura, il 23°-25° giorno morirà… E il 26 aprile, quando ci portarono i malati, sapevamo già che per i casi estremamente gravi non avremmo potuto fare nulla… E poi gli addetti sanitari si rifiutavano di lavare i cadaveri, e già il giorno stesso della mia partenza per Cernobyl come un addetto sanitario lavavo io un morto… E dunque i nostri medici sapevano benissimo tutto: e come curare le ustioni in tali condizioni, e come curare gli occhi, e i momenti nervo-psichici che manifestavano i malati gravi…

– E i medici poi venivano in qualche modo disinfettati?

– Ma cosa dice! Chi? In seguito cominciammo a obbligare i medici a portare i dosimetri. Ma all’inizio – si lavorava forsennatamente ventiquattrore su ventiquattro. Ricordo come il 12°-13° giorno – il più tormentoso per i malati gravi – non appena ebbe inizio la consueta riunione mattutina in ospedale la dottoressa di turno scoppiò in lacrime… La situazione era tremendamente grave. Sul piano professionale non ci sentivamo però impotenti. C’era il sangue, e i surrogati del sangue, ed erano cominciati perfino i trapianti di midollo osseo.

– Sindrome da irradiazione – suona terribile. Ma che cos’è? Come si manifesta?

– Dipende dal livello di gravità. Il primo livello è lieve. Esistono diversi punti di vista, ma siamo nell’ordine dei 150 rad. Nel corso delle nostre ricerche irradiavamo i malati oncologici, i loro tumori, davamo loro una dose di 100-150 rad. La sindrome da irradiazione lieve si manifesta con alterazioni del sangue: diminuisce la quantità di leucociti, linfociti – tutte le cellule divisibili sono più sensibili alle radiazioni ionizzanti. Già nel livello intermedio – nell’ordine dei 250 rad – si altera la coagulabilità del sangue, e in tale condizione perfino un lieve colpo provoca la formazione di un enorme ematoma. Il livello grave – 500-600 rad, una dose mortale – inizia invece con il vomito. Poi il vomito passa. Per questo malati anche gravissimi da noi arrivarono, nel complesso, in buona disposizione. Ma già dopo 7-12 giorni ha inizio il culmine della malattia: si stilla il sangue, i globuli sanguigni scompaiono, il sangue si svuota, comincia a patire il sistema nervoso, febbre, debolezza, infezione, il sistema immunitario non ce la fa, la persona perde conoscenza, un quadro davvero terribile… Non fummo in grado di salvare 28 persone. I rimanenti, per fortuna, guarirono, anche quelli gravi.

– E com’era là a Cernobyl?

– Là era come al fronte: niente soldi, niente alcol, e i rapporti tra di noi erano tali che, se c’era da aiutare qualcuno, immediatamente si offrivano tutti. Ad esempio, io arrivai là il 15 maggio e m’imbattei nel fatto che i pompieri che continuavano a prestare servizio alla centrale erano del tutto senza protezione! Io spiegai che era necessario edificare delle barriere di “mattoni” di zinco per proteggere il midollo osseo delle persone. La maggior parte del midollo osseo si trova nelle ossa del bacino, per questo, persino se uno viene irradiato, le sue stesse cellule del tronco possono fungere da compensazione. Ardisco pensare che in questo modo preservai la salute di molte persone…
Lavoravamo, naturalmente, con dei ritmi mostruosi, a volte si doveva andare anche al reattore. Ci si andava con dei mezzi blindati. Per me era importante controllare che i minatori che lavoravano là avessero tutte le misure di protezione necessarie. E quando ce ne andammo dall’albergo dove eravamo alloggiati, dovettero cambiare tutto, tutti i mobili erano diventati radioattivi dopo di noi.
Va anche detto che la nube di polvere radioattiva si diresse più verso la Bielorussia che non verso l’Ucraina, e sorse persino la questione se trasferire l’intera piccola tranquilla cittadina di Bragin… Vi immaginate cosa volesse dire? Ma per fortuna questo non avvenne. Riuscii a convincere i compagni che non ce n’era la necessità. Noi per molti anni avevamo infatti condotto delle ricerche scientifiche le quali mostravano che con un irradiamento costante fino a 25 rad non avviene assolutamente alcuna alterazione in un organismo vivente. Durante quegli esperimenti nel corso di 3-6 anni avevamo irradiato ogni giorno dei cani con diverse dosi e li avevamo poi osservati per tutta la vita. A Bragin allora c’erano 5-7 rad…
A Mosca però tornai in tutta urgenza e su un’autoambulanza: ebbi un incidente stradale. La mia macchina si scontrò con un camion che portava un carico radioattivo. Con questo ebbe fine la mia epopea…

– Quali conseguenze ebbe quella catastrofe per coloro che furono là e ne uscirono vivi?

– Quella delle conseguenze per i liquidatori è una questione molto complessa. Molti si presero delle dosi notevoli, ma di sindrome acuta da irradiamento si può parlare per poco più di un centinaio di persone. Su circa 200.000 liquidatori. Certamente, essi necessitano dell’assistenza per le cure sanatoriali e di un trattamento speciale. Ma, per fortuna, le previsioni di un aumento dei casi di leucemia come conseguenza remota non si sono confermate. E per i liquidatori oggi si tratta probabilmente più di conseguenze socio-psicologiche che mediche. Per fare un esempio, prossimamente si terrà il congresso dei radiobiologi e uno degli interventi verterà sul tema… della dipendenza alcolica tra i liquidatori.

– Mi pare di ricordare che allora si dicesse che il vino rosso fosse un buon rimedio contro la contaminazione radioattiva. Corrisponde al vero?

– No. Dall’alcol possono derivare solo danni. E lo so con certezza. Su questo tema abbiamo condotto ricerche complete ed esaurienti. Effettivamente, allora ci telefonavano e ci scrivevano da tutto il paese e ci proponevano una volta vino rosso una volta del mumio, tutti i rimedi possibili. Noi mandavamo tutto in un laboratorio appositamente creato e facevamo le nostre oneste verifiche.

– Con che cosa curavate i malati?

– Con un complesso di preparati: e antibiotici, e soluzioni antiemorragiche. Allora delle questioni nucleari ce ne si occupava molto e seriamente. E anche oggi in questo campo abbiamo un evidente superiorità rispetto agli specialisti stranieri.

– E rispetto alle conseguenze in generale, per tutta la popolazione, magari a livello genetico?

– C’è un lieve aumento dei casi di cancro della tiroide in coloro che erano allora bambini e vivevano nelle province contaminate. Per fortuna, non si è manifestata la patologia più grave con leucemia. Con una commissione governativa ci recammo in Bielorussia per vedere i vitelli “mutanti”, ma giungemmo alla conclusione che la cosa non ha un rapporto diretto con l’incidente di Cernobyl. E se anche ce l’ha, in ogni caso non ha un’incidenza di massa. La pratica dimostra che un simile evento può succedere anche in condizioni naturali. E per quanto riguarda le persone, di difetti congeniti se ne trovano molto più di frequente in soggetti con genitori alcolisti, indipendentemente dal loro luogo di nascita.
Ultimamente mi sto occupando più di campi elettromagnetici che di radiazioni. E devo dire che ora dovremmo preoccuparci più di questi. In particolare per quel che concerne i bambini. Essi rappresentano oggi per l’uomo realmente un grosso pericolo. Le radiazioni ionizzanti sono locali. Mentre quelle non-ionizzanti (i telefoni cellulari ecc.) riguardano tutto il pianeta. In secondo luogo, le radiazioni ionizzanti si fissano: tanto hai preso, tanto resterà. Mentre quelle elettromagnetiche anche in piccole dosi in determinate situazioni possono causare una sindrome convulsiva…

– L’utilizzo delle centrali nucleari lo ritiene oggi giustificato o, al contrario, rischioso?

– Lo ritengo un mezzo assolutamente sicuro, moderno, civile per ottenere energia, il quale necessita di un determinato tipo di controllo. Intorno a esso ci sono molti miti e problemi inventati, quando in realtà è tutto semplice da controllare – ci sono i dosimetri e, cosa più importante, si conoscono i mezzi di protezione.

Data: 26.04.2010
Fonte: www.rtkorr.com

Traduzione: S.F.

Link al pdf dell'articolo: A Cernobyl era come al fronte

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