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"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

29/05/10

LA SOIA DI CERNOBYL SI DIFENDE CON LE PROTEINE

23 anni dopo la catastrofe alla centrale nucleare di Cernobyl gli scienziati sono riusciti a capire grazie a quali mutamenti le piante si sono adattate alla vita in ambiente contaminato.

Alle mutazioni genetiche nelle piante sono stati dedicati non pochi lavori. È noto infatti come le piante mutino e come aumentino la metilazione del DNA per proteggersi dai capricci genetici. Ma oltre alla difesa del genoma, cioè delle informazioni ereditarie per le future generazioni, la pianta deve pure pensare a sopravvivere.

Lavori nei campi

Gli scienziati dell’Accademia delle scienze slovacca e dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina per primi hanno studiato in che modo l’effetto costante delle radiazioni influisca sulla manifestazione dei geni e sul mutamento della composizione proteica delle cellule delle piante. In qualità di pianta modello i biologi hanno scelto la soia “gialla”, adatta per la coltivazione nelle condizioni climatiche della parte nord dell’Ucraina.

I ricercatori hanno seminato semi di soia in due zone con identiche condizioni climatiche. Il primo lotto è stata seminato vicino al villaggio di Čistogolovka, che si trova a cinque chilometri dalla centrale di Cernobyl. Sebbene dall’incidente siano passati più di vent’anni, il contenuto di elementi radioattivi di lunga vita nelle terre di questa località è ancor oggi molto elevato. Il secondo lotto è stato seminato nel villaggio di Žukin, a cento chilometri dalla centrale di Cernobyl. Qui le terre praticamente non contengono isotopi radioattivi. Per la precisione, il contenuto di cesio-137 radioattivo vicino a Žukin è di 163 volte inferiore di quello nelle terre del villaggio di Čistogolovka.

A fine stagione gli scienziati hanno raccolto le fave di soia e le hanno analizzate in laboratorio. I semi di soia coltivati nella zona contaminata sono risultati più piccoli di dimensione e all’incirca due volte più leggeri di peso rispetto al gruppo di controllo di Žukin. Niente di sorprendente, difatti le piante spesso reagiscono a condizioni difficili con la diminuzione delle dimensioni. Tuttavia in quanto a contenuto di elementi radioattivi le fave praticamente non si differenziavano. Gli scienziati spiegano che il contenuto di elementi radioattivi nei semi dipende dal tipo di pianta. I loro risultati si spiegano semplicemente con il fatto che la soia non tende a conservare i metalli pesanti, a differenza dei cereali, i quali accumulano il cerio radioattivo, o del girasole, i cui semi coltivati in zona contaminata contengono elevati concentrati di stronzio radioattivo.

La difesa proteica

Ma la cosa principale che hanno tentato di chiarire gli scienziati è quante diverse proteine funzionali sono contenute nelle fave di soia. Vale a dire, come muta esattamente la manifestazione proteica in risposta all’effetto della radioattività dell’ambiente circostante. Dapprima hanno estratto le proteine, le hanno divise e hanno confrontato la quantità delle diverse proteine nel gruppo in esame e in quello di controllo. In tutto i biologi hanno analizzato 26 proteine di sei gruppi funzionali.

Il contenuto delle proteine corrispondenti alla crescita, al metabolismo, delle proteine energetiche e di trasporto nei lotti di Čistogolovka e Žukib praticamente non si differenziava. Tuttavia il contenuto delle proteine corrispondenti alla produzione e alla conservazione delle sostanze utili, nonché delle proteine corrispondenti alla lotta con le malattie e al rafforzamento dell’organismo vegetale, è risultato più elevato. Nell’ultimo gruppo rientra in particolare la betaina dell’aldeido idrogenizzato, che prende parte alla detossicazione del sangue nell’uomo dopo la contaminazione radioattiva. Per quel che concerne le “proteine di conservazione”, i serbatoi intracellulari degli ioni metallici e degli aminoacidi, anch’esse in presenza di contaminazione della pianta vengono attivate con metalli pesanti e altre tossine.

Gli scienziati hanno elaborato un modello schematico secondo il quale dovrebbe cambiare la manifestazione dei geni della pianta in risposta a un’elevata radioattività dell’ambiente circostante. E sperano di poterlo verificare nelle prossime generazioni di soia. I risultati già ottenuti dalla ricerca si possono consultare in un articolo (in inglese) pubblicato sulla rivista “Journal of Proteome Research”.

Data: 15.05.2009
Fonte: www.infox.ru
Traduzione: S.F.


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