Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

06/05/10

CORAGGIO E DOLORE. I LIQUIDATORI DI STACHANOV (MEMORIE DI CERNOBYL)

Fu due volte spaventoso, perché il nemico era invisibile e le conseguenze dell’irradiamento non si palesarono subito. In quei momenti erano veramente pochissimi a sapere quale pericolo celasse in sé la catastrofe appena successa, tanto più che dell’incidente diedero notizia alcuni giorni dopo. Allora, nell’aprile del 1986, tutti andavano con le famiglie in campagna o cercavano di rimanere quanto più all’aperto per riscaldarsi sotto i raggi di quel “carezzevole” solicello primaverile e crogiolarsi dopo il freddo dell’inverno.


I liquidatori. Che cosa sarebbe stato senza questi uomini che a costo della propria salute, e molti anche a costo della propria vita, rimossero le conseguenze dell’incidente?


I primi a intervenire per spegnere gli incendi generati dall’esplosione, per salvaguardare la centrale, per organizzare l’evacuazione della popolazione, per attivare il regime di controllo e per mantenere l’ordine pubblico furono i collaboratori del ministero degli Interni. Consapevoli ormai del pericolo per la propria salute, loro prestavano servizio, lavorando per un’ora e anche più in quei luoghi dove i civili rimanevano al massimo 15-20 minuti. Loro lottavano non soltanto con gli sciacalli e i rapinatori, garantendo la tutela dell’ordine pubblico sulle strade, ma combattevano anche con l’invisibile irradiamento.


Ciascuno di loro rischiava la propria vita, ciascuno sapeva che avrebbe compromesso la propria salute. Il senso di responsabilità era molto alto.


Ecco ciò che raccontano di quella terribile primavera i collaboratori della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov (oggi in Ucraina, regione di Lugansk).


Aleksandr Lukič Fedotov

capo della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov:


«Il tema di Cernobyl mi è particolarmente vicino, perché lo vissi, si può dire, due volte. Nell’aprile del 1986, allora ero ancora un giovane sottotenente di polizia, mi trovavo a Kiev, dove studiavo ai corsi politici superiori del ministero dell’Interno dell’URSS. Il giorno dell’incidente alla centrale nucleare gli abitanti di Kiev non vennero a sapere niente della spaventosa catastrofe. Soltanto la sera del 27 aprile ci comunicarono che era avvenuta una tragedia, e gli studenti dei corsi superiori degli Interni cominciarono a prepararsi per andare nella zona dell’incidente. In quel momento direttore della scuola era il generale di polizia Škuro. Tra gli argomenti da lui portati al CC del PCUS dell’Ucraina contro l’invio degli studenti dei corsi nella zona della sciagura c’era anche quello che in quel momento la scuola era frequentata dai rappresentanti di 33 nazionalità. E forse non sarebbe stato ragionevole rischiare le vite di centinaia di persone. Sarà stato per gli argomenti del generale o per altri motivi, fatto sta che gli studenti dei corsi degli Interni a Pripjat’ non ci finirono.


Il 1° maggio un corteo di massa percorse il centro di Kiev, il giorno seguente ebbe luogo la gara ciclistica della pace. Dappertutto vi era un gran numero di spettatori, le persone, che non avevano alcun sospetto della sciagura ambientale, senza paura uscivano nelle strade e nelle piazze di Kiev. Il 2 maggio dopo pranzo il vento soffiò dalla zona di Pripjat’, il sole, coperto dalle nuvole, brillò, le nuvole polverose color vermiglio inghiottirono il cielo…


Il 3 maggio, quando le informazioni sull’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl giunsero infine sui mass-media, ebbe inizio il panico. Alle stazioni ferroviarie e dei pullman si formarono lunghe code per i biglietti per tutte le destinazioni. Colonne di automobili e pullman, che portavano fuori della città bambini e vecchi, erano scortate dalle macchine della Stradale, l’ululato delle sirene tagliava l’insolito silenzio. La città veniva lavata di continuo: con i tubi d’irrorazione innaffiavano le strade, i marciapiedi, le aiuole, mandando a terra la polvere radioattiva. Verso la metà di maggio Kiev era semideserta. Tutti quei giorni, con gli altri studenti della scuola degli Interni presi parte alla tutela dell’ordine pubblico nelle province della regione di Kiev.


Per volontà del destino mi toccò vivere la prova di Cernobyl una seconda volta. Accadde nell’aprile del 1989. Come istruttore della sezione politica, eravamo in quattro collaboratori della sezione cittadina di Stachanov, fui inviato nel villaggio di Zorino, in provincia di Ivankovo. I centri abitati della zona mi lasciarono un’impressione opprimente: finestre e porte sbarrate con assi, branchi di cani inselvatichiti, orti e frutteti ricoperti di erbacce.


Si prestava particolare attenzione al fatto che nella zona di contaminazione radioattiva non si insediassero nuove persone. Coloro che, nonostante la minaccia d’irradiamento, erano ritornati nei luoghi natii già nel 1986 venivano chiamati gli “autoinquilini”. Erano calcolati in circa un migliaio di persone. Si trattava per lo più di anziani che non concepivano per sé un diverso luogo di residenza.


Fino a oggi mi è rimasto impresso nonno Filaret, un vecchietto pittoresco il quale prima dell’esplosione del rettore era capo del soviet agricolo, e poi tra gli “autoinquilini” divenne anche presidente del kolchoz, giudice e poliziotto, tutto in una sola persona. Nella scuola di villaggio era rimasto il trattore didattico, così che insieme lo ripararono e a turno aravano, seminavano o falciavano.


Nell’anniversario dell’incidente, dovetti accompagnare al sarcofago i membri della famiglia del lavoratore della centrale di Cernobyl V. Chodinčuk. Costui divenne una delle prime vittime dell’incidente. Durante l’esplosione cadde nel reattore distrutto, e non ci fu modo di tirare fuori il suo corpo. Tutti gli anni la famiglia si reca al sarcofago che è diventato la sua tomba. Sono passati molti anni dalla tragedia di Cernobyl. Quella terribile catastrofe ogni anno si allontana sempre più da noi. Vorrei augurare a tutti i liquidatori di Cernobyl salute. E ai colleghi-cernobyliani ancora in servizio di rimanere nei ranghi il più a lungo possibile».


Viktor Anatol’evič Govorov

vicecapo per il personale della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov:


«Nel febbraio del 1987, assieme ad altri allievi della Scuola di polizia di Doneck fui mandato a Cernobyl nella zona dei 30 km, dalla parte della Bielorussia, per la tutela dell’ordine pubblico. I parenti presero la missione nella zona dell’incidente come una cosa dovuta, poiché gli allievi avevano prestato giuramento.


Era inusuale vedere villaggi abbandonati. Sembrava che i padroni di casa se ne fossero andati di recente, i mobili e gli utensili erano intatti. Durante l’evacuazione le persone presero con sé soltanto lo stretto necessario – documenti, soldi, cose di valore. Il nostro compito era quello di non permettere i furti e il trasporto di oggetti contaminati dalle radiazioni fuori dalla zona della centrale nucleare di Cernobyl. Lavoravamo con il metodo a turnazione: per 15 giorni stavamo nella zona radioattiva, e per 15 giorni ci davano il cambio gli allievi della Scuola di polizia di Dnepropetrovsk.


Io prestavo servizio nella provincia di Bragin della regione di Gomel’. In particolare mi sono rimasti impressi i bei boschi plurisecolari nei quali, negli anni che seguirono l’incidente, si moltiplicarono moltissimi animali, di notte si sentiva distintamente l’ululato dei lupi. Altrettanto mi sono rimasti impressi i villaggi bielorussi – in quasi tutti c’erano i monumenti agli abitanti locali che diedero le loro vite nella lotta contro gli aggressori nazisti tedeschi.


L’incidente di Cernobyl è il colossale incessante dolore del popolo ucraino. Io credo che noi non dobbiamo scordarcene mai, poiché chi dimentica il passato è condannato a ripetere gli errori.


Sergej Michajlovič Masejko

agente incaricato della polizia investigativa della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov:


«Nel dicembre del 1989, ventiquattrenne sergente del ministero degli Interni di Stachanov, fui mandato nella zona della centrale nucleare di Cernobyl al Punto di controllo “Dibrovo” nella regione di Kiev. Prestai servizio insieme a Jurij Nikolaevič Mečet, pensionato del ministero, e a Nikolaj Zajcev, defunto per le conseguenze della liquidazione di Cernobyl.


Il mio compito era di esercitare i controlli al Punto di controllo e di non consentire il trasporto fuori della zona della centrale di attrezzature e materiali radioattivi. Più di tutto mi sono rimasti impressi la bellissima natura, i boschi verdi. Il nostro Punto di controllo era situato nella zona dei 30 km, nel cui territorio si trovavano casette di tipo finlandese.


Al momento della mia permanenza nella zona della centrale, erano passati 3 anni dall’incidente. Gli abitanti locali, per lo più in età avanzata, portati via a forza dai loro luoghi d’abitazione, avevano cominciato a fare ritorno nelle loro case. Era doloroso e amaro guardare come quei vecchietti e quelle vecchiette, con le loro bisacce selle spalle, facessero ritorno a piedi nelle case natie. I nostri avvertimenti sul fatto che stare lì era pericoloso per la salute non avevano effetto. Il collettivo del Punto di controllo era molto unito, vivevamo come un’unica famiglia, sia i civili sia i collaboratori degli organi degli Interni.


Durante uno dei turni di guardia, fermai un camion il cui autista stava trasportando fuori dalla zona di Cernobyl per la vendita delle cose contaminate dalle radiazioni. Ho un diploma del viceministro degli Interni per il “Valoroso servizio per la tutela dell’ordine pubblico nella zona di Cernobyl”. Per l’anniversario dell’incidente volevo augurare a tutti i liquidatori di Cernobyl prima di tutto salute, benessere famigliare e lunghi anni di vita».


Vitalij Vjačeslavovič Zagudajlov

aiutante dell’unità di guardia della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov:


«Nel 1986 prestai servizio d’emergenza nelle forze armate dell’URSS. La nostra unità si trovava a 60 km da Cernobyl. Tornato a casa, trovai lavoro in miniera, da lì venni convocato al comando militare, dove mi comunicarono che mi sarei diretto nel villaggio di Oranoe per la liquidazione delle conseguenze dell’incidente di Cernobyl.


Noi effettuavamo la manutenzione ordinaria dei mezzi di trasporto nella zona della centrale di Cernobyl, e inoltre abbattevamo il bosco. I collaboratori degli organi degli Interni, tra i quali a quei tempi non rientravo, ci chiamavano “partigiani”. Lavoravamo non più di un’ora e mezza al giorno. Lo smaltimento delle radiazioni avveniva ogni due settimane. Tutti gli edifici e gli impianti smontati, gli alberi abbattuti venivano sotterrati, non si bruciava niente. Più di tutto mi è rimasto impresso come al mattino, quando andavamo al lavoro, il bosco fosse verde, mentre quando tornavamo dalla parte della centrale fosse rossiccio. In tutto trascorsi a Cernobyl tre mesi.


Insieme a me a lavorare nella zona della centrale di Cernobyl furono inviati altri 10 ragazzi di Stachanov. Per ognuno di loro in seguito la vita ha preso una piega diversa. Molti non hanno potuto rassegnarsi alle malattie loro insorte, e hanno trovato consolazione nel consumo di alcolici. Dopo il ritorno a casa, io lavorai in miniera. Ora sono collaboratore della sezione cittadina del ministero degli Interni di Stachanov, sono sposato, tiro su un figlio».


I veleni di Cernobyl ce li siamo presi tutti. Ma per coloro che furono nella zona, coloro che per primi fecero un passo in quell’inferno a mani nude contro il perfido nemico invisibile – bastano e avanzano. Cernobyl è l’amara erba d’assenzio all’improvviso caduta sulla nostra terra. Cernobyl è per lungo tempo. I giorni della più tremenda catastrofe nucleare della storia si faranno ancora sentire tra di noi con dolore e sofferenze. Per questo siamo tenuti a ricordarcene sempre, e non soltanto nei tristi anniversari.


Cernobyl è il nostro dolore comune, ed è già diventato simbolo della vittoria dell’umanità selle forze naturali. E oggi rendiamo omaggio a tutti coloro che hanno dato il loro dignitoso contributo nell’affrontare quel compito incredibilmente difficile e importante, a tutti coloro che in suo nome hanno compiuto un’impresa.


Davanti all’eternità dei caduti,

Davanti alla nostra coscienza,

Davanti a questa terra noi siamo onesti.

Per tutta la vita faremo

In malinconici ospedali,

Con i respiratori facciali,

Sogni poco allegri.

Vjačeslav Voronin

sezione cittadina di Stachanov del ministero degli Interni dell’Ucraina


Data: 26.04.2010
Fonte: cxid.info
Traduzione: S.F.

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