In un paesaggio stravolto e resiliente, pullulante di vita e di radiazioni, un gruppo di donne continua a tenere compagnia alla terra e a coltivare le proprie radici, a dispetto della contaminazione e dell’incombere della malattia. Sono loro «le nonne di Chernobyl», raccontate in questo film intenso e originale dalle documentariste Holly Morris e Anne Bogart. Intenso e originale, perché The Babushkas of Chernobyl non è il solito reportage sulla Chernobyl che abbiamo imparato a conoscere in questi trent’anni: la Waste Land post-traumatica dell’incidente nucleare dell’aprile 1986, prima sepolta sotto le negligenze del regime e poi quasi rimossa dalla memoria collettiva, abbandonata alla desolazione post-sovietica. Questa Chernobyl non tace nel silenzio radioattivo, ma parla, e le sue voci sono molte di più di quelle che ci si aspetterebbe.
Le prime che sentiamo sono quelle degli uccelli e dell’acqua, della biologia animale e vegetale che resiste in questo atlante denaturato di fiumi e foreste. Subito dopo, ci sono quelle di Hanna Zavorotnya, Valentyna Ivanivna e Maria Shovkuta, tutte donne tra i settanta e gli ottantacinque anni. Sono tre delle ultime sopravvissute di una comunità non piccolissima di «ri-abitanti» che, dopo il disastro del Reattore 4, si rifiutarono di lasciare le loro case. Di quelle 1200 persone, rimane oggi un centinaio di donne: le «Babushkas of Chernobyl», appunto.
Le prime che sentiamo sono quelle degli uccelli e dell’acqua, della biologia animale e vegetale che resiste in questo atlante denaturato di fiumi e foreste. Subito dopo, ci sono quelle di Hanna Zavorotnya, Valentyna Ivanivna e Maria Shovkuta, tutte donne tra i settanta e gli ottantacinque anni. Sono tre delle ultime sopravvissute di una comunità non piccolissima di «ri-abitanti» che, dopo il disastro del Reattore 4, si rifiutarono di lasciare le loro case. Di quelle 1200 persone, rimane oggi un centinaio di donne: le «Babushkas of Chernobyl», appunto.
Data: 04.06.2016
Fonte: www.27esimaora.corriere.it
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