Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

02/11/15

NOVOKEMP - AGOSTO 2015 - RELAZIONE DI MARCO



L’ISOLA CHE NON C’È

La decisione di prendere parte all’esperienza del campo estivo di Novokemp è maturata durante il mio secondo anno di università, dalla necessità di confrontarmi direttamente con l’oggetto principale dei miei studi: la lingua russa. Tuttavia, alla fine dell’esperienza che andrò a descrivere ciò che mi è rimasto non è esclusivamente un miglioramento delle mie conoscenze linguistiche, ma anche e soprattutto un grande bagaglio di esperienza umana.


La mia esperienza in Russia comincia in solitudine il 4 agosto 2015 all’aeroporto Domodedovo di Mosca. Per questioni economiche e di indecisione personale, infatti, non avevo voluto prendere parte al breve soggiorno che i miei compagni di turno avevano organizzato a Mosca, prima di recarsi definitivamente a Novokemp. Appena atterrato ho provato un sentimento di spaesamento e piccolezza, dettato forse anche dalle tante letture che descrivevano il mondo Russo (forse più quello sovietico) come Grande ed Imponente. Oltrepassato il primo impatto con il Nuovo Mondo e declinate le famose avance del solito tassista russo pronto a “offrirti” un comodo passaggio per il centro, mi sono diretto verso la Kievskij vokzal, armato delle mie preziose indicazioni della metro datemi da Stefano, il nostro “corrispondente dall’Italia”. Informazioni preziosissime. Immaginate, infatti, un ragazzo daltonico disperso nella multicolore metro di Mosca e avrete il quadro della situazione. Una vera manna dal cielo!

Dopo aver aspettato i miei compagni di turno (in seguito diverranno “amici”) per un’oretta alla Kievskij vokzal leggendo “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov, giunge il momento di salire sul famoso treno che ci avrebbe allontanato dalla Russia da cartolina e che ci avrebbe invece fatto avvicinare a quella ricoperta da enormi distese di campagne e da piccoli paesini.

Dopo una piccola chiacchierata con Camilla, Elena, Gabriele e Ilaria e aver cenato con cibo di “fortuna”, giunge il momento di dormire nei nostri posti riservati. La notte è passata velocemente, con qualche risveglio di troppo per essere sicuri che le 5.15 (orario del nostro arrivo a Uneča) non fossero passate. 4.55: Gabriele si affaccia nel mio scompartimento e mi trova sveglio. È il momento di scendere!

Ad accoglierci troviamo le due figure fondamentali del campo, Saša, il direttore, e Katja, la nostra “mamma russa” agghindata con un giubbino giallo impossibile da non intravedere. Dopo essere arrivati al campo al termine di un tragitto in macchina in cui ho sperimentato per la prima volta le famose coperture in asfalto russe, e dopo un sonnellino ristoratore nella nostra abitazione, era giunto il momento di visitare il Lager. Accompagnati dalla musica, elemento costante e fondamentale all’interno della vita del campo, ho iniziato a conoscere il luogo che per circa venti giorni sarebbe stata la mia casa.

Casette in legno (7 per le “famiglie” in cui erano suddivisi i bambini), sentieri alberati, un parco giochi, una mensa, una piccola piscina, una zona per stendere i vestiti, i bagni, la “casa del direttore”, quella del medico e un magazzino pieno zeppo di vestiti da utilizzare durante le attività. Tutto quello di cui avrei potuto avere bisogno si trovava lì dentro. Sin dal primo momento in cui ho visto il campo, tuttavia, questo ha evocato in me immagini familiari. L’immagine che continuava a rievocarmi, come un frame che ritorna continuamente in un film, infatti, era quella dell’“Isola che non c’è” di Peter Pan: un luogo sperduto in mezzo ad un bosco, di cui pochi sanno l’esistenza ma avvolto da un’aurea magica e festosa. L’elemento più comune tra i due luoghi rimanevano comunque i bambini.

Le giornate all’interno del lager si susseguivano tutte con un programma ben preciso, che si ripete uguale quasi tutti i giorni e in cui a variare, ovviamente, sono le attività proposte. Gli organizzatori del campo sono estremamente meticolosi nel rispetto della “tabella di marcia” e dello svolgimento dei giochi. A proposito di questi ultimi, nell’ultima riunione svoltasi al campo il giorno della mia partenza, ho voluto complimentarmi con coloro che si occupavano della loro organizzazione, preparazione e buona riuscita. Ciò che più mi ha sorpreso è stato il fatto che i giochi proposti fossero spesso molto semplici, che coinvolgessero attivamente ogni bambino e che richiedessero quasi sempre uno sforzo di squadra per il raggiungimento dell’obiettivo. Nonostante la loro semplicità i bambini erano sempre tutti entusiasti di prenderne parte.

Questo mi ha riportato alla mia esperienza di animatore negli oratori italiani. La riflessione che ne è scaturita mi ha portato a pensare che in Italia i bambini stiano perdendo la dimensione del gioco “fisico” e di movimento, di qualcosa che non implichi necessariamente uno strumento elettronico o moderno. L’entusiasmo che i bimbi russi dimostravano nelle attività era appagante, ingenuo e puro. Nessuno di loro veniva rimproverato per l’utilizzo del cellulare durante un gioco o perché non voleva prendervi parte. Ne conseguiva che la nostra soddisfazione fosse altrettanto grande.

Ho detto molte volte durante la mia permanenza al lager che Novokemp ha risvegliato il mio lato fanciullesco, allontanandomi da ogni problema lasciato in Italia, e che ha fatto rinascere la mia voglia di giocare e di mettermi al pari coi bambini.

Il compito di cui noi italiani eravamo responsabili era quello di organizzare dei piccoli laboratori in cui proponessimo qualche attività di nostro interesse. Io, personalmente, non tenevo un mio laboratorio, ma mi preoccupavo di essere una sorta di “jolly” (così ero stato definito), intento ad aiutare i miei amici nelle loro attività con la lingua giapponese, con la danza e con i laboratori artistici o pronto a disturbare, insieme al mio fedele compagno Gabriele, la quiete delle lezioni di yoga tenute da Ilaria (altra nostra amica italiana al campo). Insomma, non ci annoiavamo mai!

Essere lontano da una metropoli fa sì che si possano sperimentare le principali e vere pietanze russe. I pranzi e le cene alla mensa, che comprendevano sempre delle lezioni di lingua russa con chi a turno capitava con noi italiani, erano piacevolissime. Le cuoche, inoltre, non ci privavano di bis, tris e supplementi aggiuntivi sui piatti (forse apprezzavano anche loro che degli italiani amassero così tanto la loro cucina). Da annoverare negli aspetti culinari altri due avvenimenti: i festeggiamenti del Ferragosto nella notte del 15 agosto (diventata oramai festa nazionale anche a Novokemp) e le serate “condite” con deliziosi spiedini di provenienza armena, gli шашлики (šašlykì).

Parte caratteristica delle giornate a Novokemp era La “тихий час” (trad. “ora del silenzio”). Durante questa ora e mezza di pausa, in cui il silenzio diventa padrone del campo e ai bambini viene concesso del tempo per riposare, erano frequenti gli inviti da parte degli animatori e dei bambini a far merenda all’interno delle loro casette. (Per la quantità di tè bevuta durante quei pomeriggi sarebbe consono proporre un cambiamento di nome in “чайный час”, “l’ora del tè”). Durante la “тихий час” i bambini raccontavano di loro, delle loro famiglie, di quello che amavano fare e dei loro eventuali viaggi in Italia. Era curioso osservare come alcuni cercassero di mettersi in mostra e di farsi notare da questi “strani italiani” e di come alcuni invece preferissero restare nella loro intimità, non esporsi pubblicamente, ma instaurare comunque un rapporto di mutuo affetto che potevano comunicarti privatamente.

L’ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi nel racconto della mia esperienza è ovviamente quello linguistico. Come si sarà già letto dalle testimonianze di chi prima di me ha compiuto questo viaggio, la prima volta in Russia, e in generale in un paese straniero, serve ad assottigliare o a distruggere la paura di esprimersi e di sbagliare. I primi giorni passati a Mosca e a Novokemp mostravano una persona completamente diversa da quello che sono realmente: silenziosa. Le uniche situazioni in cui era possibile sentirmi parlare erano quelle di saluto, di assenso o di rifiuto, di esclamazione o di ringraziamento. Il Dj del campo mi aveva infatti definito “молчаливый” (silenzioso). Dall’esterno poteva trasparire un senso di inadeguatezza al luogo in cui mi trovavo, quando invece il problema era solamente quello di comunicazione ed esternazione dei pensieri.

Col passare dei giorni ho iniziato a non pensare troppo drasticamente ai miei errori, richiedendo di essere corretto quando parlavo. Era una sorta di mutuo patto tra il parlante e l’interlocutore. Ad aiutarmi nell’elaborazione di concetti in russo e ad assimilare più parole di quante ne avrei mai imparate stando sui libri hanno contribuito anche le serate musicali: davanti al fuoco, chitarra alla mano e sfide canore in cui si alternavano pezzi celebri italiani e russi.

I miglioramenti linguistici riscontrati a Novokemp hanno avuto un’ulteriore conferma nell’esame orale di russo sostenuto al mio ritorno in Italia. La docente che mi ha esaminato, infatti, ha riscontrato una maggiore “libertà” e sicurezza nel parlare. Probabilmente tutto ciò che non avevo detto nel lager è saltato fuori al momento giusto nel giorno dell’esame.

Lasciare Novokemp è stato molto difficile. Per l’intensità delle emozioni provate, per la crescita umana riscontrata e per l’utilità che ho provato nell’aiutare gli altri animatori mi sono sentito di equiparare questa esperienza a una sorta di cammino spirituale. Sono contento di aver speso la mia prima volta in Russia lontano dagli edifici, dai monumenti e dal “turismo”, e di aver sostituito tutto questo con un miglioramento linguistico e con la conoscenza della vera Russia.

Raccomando l’esperienza a Novokemp per tutto quello che ho elencato precedentemente, per i bambini, la disponibilità e l’accoglienza russa, per i giochi e la spensieratezza. Lo raccomando soprattutto perché quando sarete lontani non saprete perché proverete nostalgia e quando vi chiederanno di raccontare non saprete da dove cominciare. È il segno che è stata l’esperienza giusta per voi!

Marco Milo - 20 anni
Università Statale di Milano
(sede di Sesto San Giovanni)
Mediazione linguistica e culturale