A tu per tu con chi vive ancora nei villaggi di una terra altamente radioattiva. Dal reportage inchiesta "Giardino atomico"
Chernobyl, Ucraina sovietica, 26 aprile 1986. L’esplosione del reattore numero 4 alla centrale nucleare scatena una potenza radioattiva 400 volte superiore a quella delle bombe atomiche sganciate sul Giappone nel 1945. Un disastro minimizzato, inizialmente nascosto dalle autorità sovietiche, e ancora oggi non se ne conoscono appieno le reali conseguenze sulla salute umana e l’ambiente. Quasi tre decenni dopo, i lavori per la messa in sicurezza della struttura arrancano. La giornalista Emanuela Zuccalà ha incontrato la gente rimasta a vivere nei villaggi della “zona morta” tra Bielorussia e Ucraina: una terra tuttora altamente radioattiva, ufficialmente evacuata ma che nella realtà resta popolata diventando addirittura meta di immigrazione dai Paesi ex sovietici più poveri. Ecco in anteprima un brano del suo reportage-inchiesta Giardino atomico, che esce in questi giorni in e-book per le edizioni Infinito.
Nella provincia bielorussa di Narovlja, a ridosso della frontiera ucraina, il villaggio di Kirov ha una contaminazione di 31 curie per chilometro quadrato. Eppure non c’è traccia di controlli, né ombra di sbarre o posti di blocco. L’ufficio di igiene statale ha diradato i controlli sul latte e i medici del governo non passano da queste parti da almeno un anno, da quando hanno rilevato negli abitanti di Kirov la quantità di millisievert, l’unità di misura dell’energia radioattiva assorbita da organi e tessuti umani. Tutti e 312, compresi i 90 bambini, avevano in corpo ben più di un millisievert oltre la norma: la soglia del danno biologico sicuro. Kirov esiste solo per la sua gente. Per tutti gli altri, è un non-luogo da ignorare. Ufficialmente “zona d’esclusione”, troppo vicino a Chernobyl per esserci.
Leggi tutto...
Data: 26.04.2015
Fonte: www.iodonna.it
Chernobyl, Ucraina sovietica, 26 aprile 1986. L’esplosione del reattore numero 4 alla centrale nucleare scatena una potenza radioattiva 400 volte superiore a quella delle bombe atomiche sganciate sul Giappone nel 1945. Un disastro minimizzato, inizialmente nascosto dalle autorità sovietiche, e ancora oggi non se ne conoscono appieno le reali conseguenze sulla salute umana e l’ambiente. Quasi tre decenni dopo, i lavori per la messa in sicurezza della struttura arrancano. La giornalista Emanuela Zuccalà ha incontrato la gente rimasta a vivere nei villaggi della “zona morta” tra Bielorussia e Ucraina: una terra tuttora altamente radioattiva, ufficialmente evacuata ma che nella realtà resta popolata diventando addirittura meta di immigrazione dai Paesi ex sovietici più poveri. Ecco in anteprima un brano del suo reportage-inchiesta Giardino atomico, che esce in questi giorni in e-book per le edizioni Infinito.
Nella provincia bielorussa di Narovlja, a ridosso della frontiera ucraina, il villaggio di Kirov ha una contaminazione di 31 curie per chilometro quadrato. Eppure non c’è traccia di controlli, né ombra di sbarre o posti di blocco. L’ufficio di igiene statale ha diradato i controlli sul latte e i medici del governo non passano da queste parti da almeno un anno, da quando hanno rilevato negli abitanti di Kirov la quantità di millisievert, l’unità di misura dell’energia radioattiva assorbita da organi e tessuti umani. Tutti e 312, compresi i 90 bambini, avevano in corpo ben più di un millisievert oltre la norma: la soglia del danno biologico sicuro. Kirov esiste solo per la sua gente. Per tutti gli altri, è un non-luogo da ignorare. Ufficialmente “zona d’esclusione”, troppo vicino a Chernobyl per esserci.
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Data: 26.04.2015
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