un estratto dal capitolo 11 del saggio Ucraina terra di confine di Massimiliano Di Pasquale
Secondo le statistiche pubblicate dalla rivista statunitense Forbes in occasione del ventiquattresimo anniversario della tragedia, Chornobyl sarebbe in cima alla lista dei posti più “esotici” da visitare al mondo. Nel 2009 ben settemila turisti, in prevalenza scandinavi, russi e ucraini, grazie alla collaborazione dell’agenzia statale Chornobyl Interinform, hanno varcato la zona un tempo proibita e passato i check point a 30 e 10 chilometri dal famoso reattore 4, fino a dieci anni fa riservati a scienziati, tecnici e giornalisti. Meta “turistica” sui generis – gli esperti assicurano che non si corre alcun rischio di sterilità o di cancro alla tiroide visitando la città fantasma di Prypyat e la zona del reattore – Chornobyl continua ancora oggi a rappresentare per la società ucraina un enorme “buco nero” dai profondi risvolti sociali ed etici.
L’esplosione del 26 aprile 1986, dovuta
all’avaria del quarto reattore nucleare della centrale, causò infatti
“la maggiore catastrofe nucleare nella storia dell’umanità” (ONU). Il
rilascio di nove tonnellate di materiale radioattivo determinò la morte,
nel giro di pochi giorni, di trentadue persone e l’inizio di una lunga
catena di decessi causati da malattie provocate dalle radiazioni.
Soltanto in Ucraina, in conseguenza dell’esplosione di Chornobyl sono
stati contaminati 294 centri abitati, siti in 77 province di 12 regioni.
Al 1° gennaio 2005 nel paese si contavano 2 milioni e 246 mila
cittadini aventi lo status di vittime, compresi 643 mila bambini. Sul
piano politico-sociale le conseguenze furono altrettanto gravi.
Chornobyl finì infatti per accelerare il processo di dissoluzione del
regime sovietico a causa dell’acuirsi della già evidente e insanabile
frattura tra società civile e Partito.
La catastrofe alla centrale nucleare ha
luogo nel 1986, l’anno successivo all’insediamento al Cremlino di
Mikhail Gorbachev, l’ex delfino di Yuri Andropov, che dopo la stagione
della “gara dei catafalchi” (muoiono uno dopo l’altro Brezhnev, Andropov
e Chernenko), avrebbe voluto riformare il sistema sovietico con una
politica di ristrutturazione e trasparenza. Le parole d’ordine perestroika e glasnost,
ripetute come un mantra da Mikhail Sergeevich, politico stimato anche
in Occidente, suonarono vuote, retoriche e finanche beffarde nei giorni
di quel tragico evento.
Data: 25.04.2015
Fonte: www.guerraucraina.it
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