L’11 marzo di sei anni fa più di 15mila persone morirono e la vita di altre decine di migliaia di persone cambiò per sempre. Il Giappone nord-orientale fu colpito da un violento terremoto, seguito da un enorme tsunami che spazzò via una dopo l’altra le città costiere. Poi, nei giorni successivi, arrivò la notizia sconvolgente dell’incidente ai reattori nucleari della centrale di Fukushima Daiichi.
Un disastro nucleare che continua ancora oggi. I sopravvissuti all’incidente continuano a vivere con il timore per la salute delle loro famiglie e con l’incertezza sul futuro. E sono le donne
ad affrontare le conseguenze più pesanti. Donne che continuano a farsi
domande senza avere risposte che siano in grado di alleviare il profondo
senso di rabbia e di ingiustizia.
A partire dalle due settimane successive al disastro nucleare, e per tutti questi sei anni, Greenpeace ha condotto campagne di misura della radioattività nella regione contaminata. L’ultima indagine ha raccolto dati sia all’interno che all’esterno di alcune case selezionate nel villaggio di Iitate, situato a circa 30-50 km dalla centrale nucleare di Fukushima. In alcune di queste abitazioni, chi dovesse eventualmente tornarvi potrebbe ricevere una dose di radiazioni equivalente a una radiografia del torace a settimana.
E questo assumendo che la popolazione rimanga nella parte di territorio
decontaminata, visto che il 76 per cento della superficie totale di
Iitate non è stato bonificato e rimane altamente contaminato.
Data: 11.03.2017
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Autore: Yuko Yoneda (Greenpeace Giappone)
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