Se l’acqua radioattiva di Fukushima finisse nell’oceano
Versare l'acqua radioattiva di Fukushima in mare aperto è la proposta fatta a Tokyo da parte di un gruppo di esperti. Un biochimico marino ci spiega le conseguenze di questa scelta
Ken Buesseler, biochimico marino del Woods hole oceanographic institution (Whoi), il
più grande istituto di ricerca oceanografica indipendente degli Stati
Uniti, effettua, insieme al suo team e periodicamente dal 2011, ricerca
sul campo a Fukushima. Insieme a Buesseler, che ha rilasciato in
esclusiva un’intervista a LifeGate, cerchiamo di fare luce sulle
problematiche legate non solo alla soluzione di smaltimento ma anche al
sistema di stoccaggio dell’impianto.
Dal 2013 è ufficialmente in funzione un impianto di
decontaminazione dell’acqua che proviene dai reattori e che, appunto,
viene poi immagazzinata nei serbatoi di stoccaggio. Ad oggi sono state
trattate più di un milione di tonnellate d’acqua contaminata,
immagazzinata in oltre mille serbatoi che aumentano al ritmo di uno a
settimana. Secondo la La Tokyo electric power company (Tepco), la compagnia elettrica che gestisce l’impianto di Fukushima, la capacità massima è di 1,37 milioni, cifra che sarà raggiunta nel 2022. Dopodiché non ci sarà più spazio.
“Loro [i dirigenti Tepco, ndr] dicono che non hanno più spazio, ma io
credo che su questo si possa controbattere”, afferma Buesseler. “Una
veduta aerea dell’impianto di stoccaggio di Fukushima mostra chiaramente
che ci sarebbe abbastanza spazio per continuare a costruire serbatoi
nelle zone circostanti, ma forse quello spazio vogliono destinarlo ad
altro? Eppure quei terreni sono off-limits per costruire abitazioni o
mettere su attività commerciali, quindi stanno facendo la scelta di non
impiegare spazio che comunque non è attualmente utilizzato in nessun
altro modo? Io credo che abbiano messo il carro davanti ai buoi nel
dire, ‘siccome stiamo finendo lo spazio allora scarichiamo tutto in
mare’”.
Data: 06.02.2020
Fonte: www.lifegate.it
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