Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

02/02/12

ABITUATI. REPORTAGE DAL FIUME RADIOATTIVO TEČA NELLA REGIONE DI ČELJABINSK

Il “Majak” non è famoso come Cernobyl, sebbene qui un incidente radioattivo sia avvenuto piuttosto prima – nel 1957. Il corrispondente di “Gazeta.Ru si è recato nella regione di Čeljabinsk per scoprire se ci si possa abituare a vivere accanto al fiume radioattivo Teča.


Nei corridoi della scuola media del villaggio di Brodokalmak, nella regione di Čeljabinsk, è tutto vuoto e fa freddo, e i passi del suo direttore Aleksej Patašenko, alto due metri, che sta facendo il giro dei suoi possedimenti insieme ai volontari della Croce verde, risuonano decisi. «Ecco qui la mensola che ci ha comprato la Croce verde, mentre là – indica Patašenko – presto ci sarà la sala caldaie, ma difficilmente ce la faremo entro l’inverno, per questo in palestra al momento fa un freddo cane». Ci racconta inoltre che ormai da alcuni mesi nella mensa scolastica vengono dati anche piatti caldi, quindi tutto bene nel complesso, peccato solo che hanno di nuovo squalificato la squadra di judo della scuola perché non bastavano i soldi per le divise. Ascoltando come lui enumera con difficoltà un set di piccoli oggetti ottenuto per la scuola, si potrebbe pensare che a Brodokalmak al massimo una settimana prima sia successa una qualche catastrofe naturale e che il villaggio si stia rimettendo in sesto dalle sue conseguenze. Ma l’ultimo incidente clamoroso, che ha predeterminato la sorte dei villaggi locali, è avvenuto più di mezzo secolo fa.

Un posto ideale

Il consorzio di produzione “Majak” negli anni Quaranta era stato inizialmente pensato come un laboratorio di modeste dimensioni, ma col passar del tempo la piccola impresa, tenuta segreta, si è trasformata nel principale argomento delle autorità sovietiche nella “guerra fredda”. Qui – racconta il fisico Vladimir Novoselov, che in passato lavorò al “Majak” – per la prima volta fu messa insieme la carica nucleare militare. «Un posto ideale: ecco lì i boschi, ecco là accanto Čeljabinsk e Sverdlovsk, ed ecco infine il fiume, nel quale si possono gettare le scorie», – dice Novoselov. Gli abitanti locali per molto tempo non sospettarono che lì vicino a loro si trovasse una gigantesca impresa nociva. Nessuno ci capiva niente, persino quando i funzionari che avevano misurato il livello della radioattività cominciarono taciturni a trasferire la gente.

Si era pianificato di trasferire gli abitanti di tutti i villaggi lungo la Teča. Ma a metà del programma di trasferimento fu deciso che nei villaggi che si trovavano nel basso corso del fiume la situazione non era poi così malvagia; a seguire arrivò la catastrofe del 1957 al “Majak” e quei villaggi furono definitivamente dimenticati.

La gente rimase così a vivere là e soltanto con la perestrojka vennero a sapere che nel fiume dove facevano il bagno e abbeveravano il bestiame fin dal 1947 ci avevano gettato le scorie nucleari.

Prima che queste scorie si decompongano completamente ci vorrà ancora qualche centinaia di anni. I paesi che si trovano lungo la Teča difficilmente oggi vivrebbero meglio e più riccamente di altri ubicati in altre regioni, e tuttavia le tecnologie d’avanguardia li hanno scaraventati indietro nel Medioevo, moltiplicando di tre volte tutti i problemi. Tanto che la catastrofe ecologica è diventata catastrofe sociale.

Come spaventare gli investitori

Per andare dalla città industriale di Čeljabinsk a Brodokalmak, un posto dove la gente a tutt’oggi vive ancora senza acquedotto e riscaldamento, ci vuole soltanto un’ora di viaggio. L’uscita dalla città è costellata da cartelli con il governatore della regione Michail Jurevič che invita la popolazione “a una vita dignitosa”; la strada asfaltata dopo 40 minuti diventa uno sterrato di buche. Brodokalmak. In passato qui, come dappertutto, c’era un sovchoz (azienda collettiva statale), ma adesso in questo villaggio non c’è più neanche l’ombra di un’impresa, perciò il budget del villaggio, formato su base tributaria, è praticamente nullo e la gente se ne sta a casa senza lavoro e mezzi per la sussistenza. Negli ultimi tempi Brodokalmak e i villaggi vicini hanno cominciato a popolarsi di famiglie socialmente problematiche, ingannate da improbabili agenti immobiliari abusivi.

Per questo – racconta il capo villaggio di Brodokalmak Michail Degtjarev – i problemi sociali qui con il passare degli anni diventano irrisolvibili.

Ci troviamo nel suo ufficio nell’edificio dell’amministrazione. In esso tutto è come in qualunque altro ufficio di un funzionario russo di medio livello: i calendari con i simboli di “Russia Unita” (il partito al potere), un computer e i lunghi armadi pieni di grosse cartelle. L’unica differenza è che nell’ufficio di Degtjarev non c’è il riscaldamento, dal soffitto si stacca l’intonaco e il lungo tavolo per le conversazioni è messo insieme da sei logori banchi scolastici. Alcuni mesi fa Degtjarev ricevette qui un uomo d’affari israeliano. Quello aveva l’idea d’impiantare nel villaggio un allevamento di pollame, e Degtjarev gli aveva promesso di creargli tutte le condizioni favorevoli di lavoro. «Ci mancherebbe altro, – dice quello – si tratta ben di riscossione fiscale e alcune centinaia di posti di lavoro. Se tutto riuscisse bene, non so quanta gente impiegherei a lavorare, e con i soldi delle tasse si potrebbe almeno qui allacciare il riscaldamento centrale». L’affare però è andato in fumo. Dopo aver studiato la storia dell’impresa “Majak”, l’investitore rimase scioccato e all’amministrazione rurale non si è fatto più vivo. In seguito al telefono disse a Degtjarev: «Io capisco che non utilizzeremmo l’acqua del fiume per l’allevamento di pollame, che voi lì avete anche dei pozzi, ma i concorrenti mi divorerebbero, diranno: “Commercia polli radioattivi!”». Quello fu l’ultimo tentativo del funzionario rurale di parlare con gli investitori.

L’immagine negativa dei villaggi lungo la Teča – ritiene il viceministro per la sicurezza radioattiva della regione di Čeljabinsk Tat’jana Meškova – è la loro principale maledizione.

Secondo le parole della funzionaria, lei è ormai stanca di ripetere di anno in anno che, sebbene, certo, il fiume non lo si possa utilizzare, le scorie non sono però andate a finire nelle acque sotterranee e non hanno inquinato la terra. Fanno eccezione le golene dove straripa la Teča, ma si sta pianificando entro il 2015 di ricoprirle di sabbia e di piantare arbusti davanti agli accessi al fiume. I tentativi precedenti di recintare il fiume con il filo spinato per due volte hanno dimostrato la loro inconsistenza: sia nel 1977 che nel 2005 le recinzioni sono state sottratte per riconvertirle nell’industria metallifera. «Dappertutto non si fa altro che parlare di quanto sia inquinata la regione di Čeljabinsk, ma la terra in questi villaggi è pulita, come anche l’acqua, la gente però lo stesso li associa quasi a Cernobyl. Noi abbiamo aperto anche un centro informazioni regionale, ma per ora tutto invano», – dice sdegnata Meškova.

«Comprare una mucca…»

Gli abitanti locali invece è ormai da tanto tempo che non contano su alcun investitore. Per questo intorno a ogni casa c’è un piccolo orto con le patate, che di rado si riescono poi a vendere, e in ogni caso i soldi non bastano neanche per le cose più elementari.

Tat’jana Dorofeeva è arrivata a Brodokalmak dal Kazachstan circa dieci anni fa. Ha 24 anni, ma ne dimostra 35. Nel villaggio le sono nati due figli. A uno di loro presto è stata riscontrata una paralisi cerebrale. Tat’jana sta seduta assieme a lui nella sala dell’asilo “Ručeek” (il ruscellino), dove i volontari della Croce verde portano regolarmente vestiti e aiutano a ristrutturare, e guarda il suo secondo figlio imparare le lettere con la maestra. Tutti i bambini hanno indosso la giacca: attraverso i telai delle finestre penetra già il freddo ottobrino. «Noi andremmo anche a Čeljabinsk per capire se questo sia stato causato dalle radiazioni o meno e che cosa si possa fare, ma non abbiamo i mezzi per andare fin là. L’autobus costa 100 rubli (2,5 €), e io devo risparmiare per la legna. Ci vogliono 6.000 rubli (150 €), e non so proprio dove lì prenderò. Li metto via anche dal sussidio d’invalidità di mio figlio. E per mettere il gas più a buon mercato ce ne vogliono 4.000, e dove li vado a prendere?» – dice lei.

Alcuni, come la famiglia Savickij del villaggio di Nižnepetropavlovsk, che si trova a un’ora di macchina da Brodokalmak, cercano di tirare avanti con i lavori stagionali.

Sergej, il marito di Larisa Savickaja, ancora di recente guadagnava qualcosa dai fattori delle provincie vicine, ma sei mesi fa si è gravemente ammalato. I medici gli hanno trovato delle alterazioni patologiche al fegato, fenomeno che hanno collegato al fatto che mangiava il pesce che pescava nella Teča. In seguito a una serie di operazioni non riesce più a camminare normalmente, per questo ora l’intera famiglia con tre bambini cerca di mantenerla la moglie. Sergej Savickij ci accoglie sulla soglia di casa, da sotto il maglione sporge una pancia gonfiata. «Fa rabbia: io che non ho mai bevuto in vita mia, mi si è gonfiato il fegato a questo modo. Quei pesci radioattivi erano enormi. Come si fa a non pescarli, quando non c’è nient’altro da mangiare?» – dice Sergej con aria colpevole. Nella casa di due locali dei Savickij c’è un odore terribile di corpi sporchi e della brodaglia colma di maionese che stanno mangiando dai piatti due dei figli tornati da scuola. Sul divano, con una felpa gialla e il pannolino, gattona il loro fratellino di un anno, Sergej. A causa dell’irraggiamento del padre, il bambino è nato con una lesione dell’encefalo. Quando coi volontari chiediamo a Larisa Savickaja quale di tutti questi problemi sia per lei il più urgente da risolvere, a lungo ci guarda senza capire e poi risponde: «Ma in generale a noi va tutto bene, tranne che bisognerebbe comprare una mucca». Alla possibilità di trasferirsi da qualche altra parte, ci dice Larisa, lei non ci ha mai nemmeno pensato.

La medicina delle catastrofi

Gli unici per i quali nei villaggi lungo la Teča il lavoro non manca mai sono i medici. Secondo la valutazione dei dottori in scienze mediche Leonid Dul’kin e Vadim Zemlakov, i quali sono diversi anni che vengono in questi luoghi per un check-up della popolazione nell’ambito del programma “Socmed” organizzato dalla Croce verde, tutti qui necessitano di assistenza medica a prescindere dall’età. Quando i medici vennero in questi villaggi nel 2005 erano convinti che la popolazione li avrebbe fatti a pezzettini: «Praticamente tutti si rivolsero a noi per dei problemi di salute, dicendoci inoltre che dal Ministero della salute era venuta una volta una brigata di medici, dopodiché non si era mai più visto nessuno». «Quelli che sono stati irradiati presentano una moltitudine di patologie. Ci sono bambini che di nascosto dai genitori fanno il bagno nel fiume, molti di loro sono malati a causa dell’alcolismo dei genitori, del lavoro pesante negli orti a partire dai sette anni di età, e quasi tutti hanno mal di stomaco a causa della terribile alimentazione e delle improbabili condizioni igieniche» – piega le dita Zemljakov.

La seconda volta i medici tornarono nei villaggi con del materiale didattico: si era infatti accertato che i bambini del luogo non sapessero nemmeno come lavarsi correttamente i denti. Oggi con questi materiali informativi nelle scuole rurali si tengono delle lezioni.

Le visite dei medici volontari e i loro tentativi di ottenere per i malati più gravi dei posti letto negli ospedali di Čeljabinsk sgravano almeno in parte quelli rurali. In questi ultimi praticamente non vi è rimasto personale: chi ha potuto si è trasferito nel capoluogo, e i giovani neolaureati non sono più attratti dal romanticismo del lavoro del medico di campagna. La direttrice dell’ospedale di Brodokalmak Tat’jana Lymar’, che lo dirige dal 2008, aveva sperato, venendo qua, di migliorare la propria situazione materiale. Ma da allora il suo stipendio di 4.000 rubli (100 €) è aumentato di soli 400 rubli, mentre la quantità delle mansioni non fa che crescere. Attualmente lei da sola compie il lavoro per quattro turni, compreso il suo. Questa donna magrolina con voce da bambina cuce le ferite in traumatologia, va sulla croce rossa come infermiera e scrive i rapporti al Ministero regionale della Sanità. Di nuovi medici ha provato a cercarne tramite l’ufficio di collocamento, attraverso conoscenti, a Čeljabinsk per lei si è dato anche da fare il capo villaggio Degtjarev, ma di far venire nuovo personale all’ospedale di Brodokalmak per ora non si è riusciti. Come per una presa in giro, nell’ambito del programma nazionale “Salute” all’ospedale di recente sono arrivati due elettro-aspiratori chirurgici. Ora i nuovi apparecchi stanno lì a prendere inutilmente la polvere nelle sale mediche, non essendoci nessuno che sia in grado di utilizzarli. «Andarmene non posso, altrimenti l’ospedale morirebbe del tutto, così che io sono una sorta di ostaggio della situazione. E non è certo questo che mi hanno insegnato all’università», – dice la primaria. Tuttavia i suoi colleghi dell’ospedale del villaggio di Russkaja Teča sono stati meno fortunati. Qui di tutto il personale sono rimasti solo il primario, un infermiere diplomato e un’infermiera semplice. Avendo saputo che sarebbero arrivate “delle persone da Mosca”, tutti loro sin dalla soglia ci si sono gettati addosso per raccontarci che hanno bisogno delle bilance per i neonati, che stanno finendo le siringhe e che non basta neanche la tintura. Quando dici loro che sei un giornalista e il massimo che puoi fare per aiutarli è raccontare dei loro problemi, si fanno indietro delusi, e tu ti senti un completo idiota.

Aiuto fuorilegge

Non si può neanche affermare che lo Stato abbia completamente abbandonato tutta questa gente. Un po’ di risorse vengono destinate dal budget federale, a rimettere in sesto i villaggi lungo la Teča ci prova “Rosatom”, successore nella proprietà del “Majak” del Ministero dell’industria metalmeccanica dell’URSS. L’ente di Sergej Kirienko – racconta Meškova – stanzia dei fondi per l’installazione del gas nei villaggi e per il monitoraggio dell’acqua potabile. Ci sono poi alcuni programmi della Croce verde, che ha destinato dei soldi per l’organizzazione di un pasto caldo per i bambini, i quali prima dell’arrivo dei volontari non s’immaginavano neanche che il pranzo possa essere composto di diversi piatti. Nelle famiglie con bambini malati i volontari portano i medici, raccolgono soldi per i più bisognosi per comprare la legna ecc.

Ma a impedire che gli aiuti recati siano veramente efficaci spesso sono le leggi e l’assenza di comprensione dello stato reale delle cose da parte degli alti funzionari.

Ad esempio, di recente il Ministero della sicurezza radioattiva di Čeljabinsk è stato costretto a rimandare di un anno l’installazione del gas in alcuni villaggi. All’ente spiegano che destinare loro i soldi semplicemente così per legge non si può, poiché ogni capo di provincia in cui si trova il villaggio doveva certificare come e per cosa essi vengono spesi. I preventivi bisognava consegnarli entro un termine preciso, affinché il Ministero rendesse conto del proprio operato più in alto, ma ora a causa della lentezza di uno dei capi di provincia si potrà di nuovo provare a installare il gas soltanto nel 2013. Questo vuol dire che gli abitanti dei villaggi passeranno altri due inverni al freddo e ingegnandosi di trovare i soldi per la legna. 

Non di meno complica la consegna degli aiuti la legge “sull’autogestione locale” – dice il coordinatore della Croce verde di Čeljabinsk Marina Sobol’.

Tale legge presenta richieste identiche a tutti i capi villaggio, indipendentemente dal livello di vita della popolazione e dal numero degli abitanti. Tanto che il capo di Brodokalmak Degtjarev è costretto a spendere di continuo il già misero budget del villaggio per pagare le multe della procura. Di recente l’organo di controllo l’ha multato per l’ennesima volta per inosservanza della legge federale. In conformità al documento, in ogni centro abitato con i soldi del budget locale dev’essere impiantato un posto di polizia riscaldato, attrezzato e con telefono fisso. Ma come fare a mettere in pratica tali disposizioni a Brodokalmak, dove le condutture dell’acqua ci sono solamente nella scuola e il collegamento telefonico manca del tutto, in procura non si sono messi a precisarlo.

La settimana scorsa sotto minaccia è finito il progetto della Croce verde che prevede la distribuzione di pasti caldi ai bambini in età prescolare. L’organizzazione, racconta Sobol’, ha fatto un bonifico sul conto dell’ente scolastico, che spende i soldi per l’acquisto di carne e frutta, ora però il Ministero regionale all’istruzione minaccia il direttore Patašenko di sanzioni. I burocrati si sono indignati perché a scuola potrebbero “trovarsi degli estranei” per i quali si spendono soldi “di beneficenza” destinati agli scolari. Adesso il direttore sta pensando con quali espressioni spiegare alla dirigenza superiore il concetto di aiuto umanitario.

Abituati

L’imperfezione delle leggi, la miseria e le rappresentazioni della realtà degli alti burocrati s’intrecciano insieme in un unico intricato groviglio. Questa però è solo una parte del problema. A Brodokalmak, Russkaja Teča o in qualunque altro villaggio simile si possono spendere milioni e milioni in aiuti, ma la gente ancora non capisce che qualcosa dipende anche da loro, le cose non si muovono da sole da un punto morto, – dice Marina Sobol’ della Croce verde. Di famiglie problematiche di questo genere nei villaggi lungo la Teča ce ne sono alcune decine, racconta il presidente dell’organizzazione no profit di Čeljabinsk: l’aiuto dei volontari loro lo considerano come qualcosa di scontato e di dovuto, e dunque non si danno tanto la pena di mettersi a cercare un lavoro. Inoltre le autorità regionali hanno avviato un programma di sviluppo che prevede un contributo una tantum di 57.000 rubli (1.400 €) come incentivo per il micro-businnes privato. Dal richiedente si esige che presenti un breve business plan, ma la gente di qui o non ha idea di come scriverlo oppure ha ciecamente paura di fallire «e di finire poi dentro perché rivorranno indietro i soldi», e continuano a tirare avanti con i minuscoli contributi sociali.

«Dire questo non è affatto bello, ma a volte penso che sarebbe meglio se noi dessimo i soldi a qualche altra famiglia. Lo capisci bene che oltre agli aiuti materiali hanno bisogno d’essere educati, che in loro vanno sviluppate attitudini sociali, inculcati dei valori, ma a volte ti cadono proprio le braccia» – sospira Sobol’.

Arriviamo nella casa di Anna Lezina. In due locali lei vive con la madre alcolizzata, il marito pregiudicato Evgenij Čiskidov, il cui nonno fu un liquidatore del “Majak”, il figlio di un anno Danila e la figlia di tre anni Kristina. Alla bambina da due anni capitano attacchi d’epilessia, l’ultimo dei quali tre giorni prima della nostra visita. Evgenij ci racconta che l’estate scorsa l’ha fatta finita col bere e perciò ha passato tutto il tempo con la figlia, a fare il bagno nel fiume. «Le radiazioni mica le vedi, e noi forse ci siamo ormai abituati» – spiega lui. Con i soldi che la Croce verde gli ha dato per la sussistenza, Čiskidov ha deciso di ampliare la casa, ma i materiali da costruzione da lui acquistati giacciono come prima lì ammassati in cortile. Lavoro non l’ha cercato e non si appresta a farlo, ora però vuole «prendere in prestito i soldi da qualche parte» e comprare una mucca. La quale, naturalmente, lui farà pascolare sulla riva della Teča, sebbene abbeverarla sia possibile anche dal pozzo locale. Per ora pensa di vivere anche in futuro con il sussidio di 400 rubli che viene loro pagato per i bambini. Quando ci congediamo, lui guarda scontento Marina Sobol’: i suoi accenni al fatto che non sarebbe stato male dargli altri 20.000 rubli sono infatti stati da lei del tutto ignorati.

Di certezze che i figli di questa gente con il tempo vivranno meglio non ce ne sono.

«Loro non vedono niente di buono, e per questo molti, quando cresceranno, si metteranno a vivere allo stesso modo dei genitori. Molti finiranno la scuola e non si sa dove andranno. Noi cerchiamo di fare delle riunioni nelle scuole con i genitori, di spiegare loro in qualche modo quanto siano importanti i valori della famiglia, ma per fare loro assimilare queste cose ci vorrà più di una generazione», – dice Sobol’. Secondo le stime dell’organizzazione nei villaggi lungo la Teča nel 73% dei bambini si osservano disfunzioni nervose, emozionali e psichiche. Le diagnosi – racconta il medico-pediatra Ol’ga Levašova, la quale ha visitato i bambini nell’ambito del programma “Socmed”– sono delle più disparate: dalla sindrome di deficit dell’attenzione alla depressione. La cosa che l’ha colpita di più è che quasi un bambino su due di sette-otto anni le abbia detto chiaramente: «Noi non abbiamo futuro».

Sulla riva della Teča all’uscita dal villaggio vediamo un gruppo di oche domestiche. Un qualche abitante benestante le ha fatte uscire a pascolare, mentre lui o se ne sta a casa o lavora nell’orto. Le oche trotterellano allegramente verso la riva del fiume e, schizzando, s’immergono nell’acqua, nella quale sguazzeranno ancora per alcune ore.

Le radiazioni non si vedono.


Data: 24.10.2011
Fonte: www.gazeta.ru 
Autore: Grigorij Tumanov
Traduzione: S.F.

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