Perché a Chernobyl “sono tornati” i mammiferi selvatici
Dopo il disastro nucleare di Chernobyl, avvenuto nel 1986, dall’area di esclusione di 4.200 km2 intorno alla centrale nucleare vennero evacuate 3116.000 persone, da allora è iniziato un dibattito scientifico sulla presenza e il destino della fauna selvatica che è rimasta nella zona più contaminata dalle radiazioni e (quasi) senza presenza umana. Mentre si constatava il “ritorno” nell’area di specie che prima erano scomparse, come i lupi e addirittura gli orsi, altri dicevano che le radiazioni avrebbero avuto effetti riduttivi sulle popolazioni della fauna selvatica a dosi ben inferiori di quelle registrate nella zona di esclusione, fino a causare impatti significativi. A quanto scrive nello studio “Long-term census data reveal abundant wildlife populations at Chernobyl”, pubblicato su Current Biology, un team di ricercatori russi, tedeschi e britannici, almeno per quanto riguarda i grandi mammiferi, «i nostri dati empirici a lungo termine non hanno mostrato alcuna evidenza di un’influenza negativa delle radiazioni sull’abbondanza di mammiferi». Anche se non sembra vero che i grandi mammiferi erbivori sono cresciuti più che in altre aree dove non si può cacciare, «Le abbondanze relative di alci, caprioli, cervi e cinghiali all’interno della zona di esclusione di Chernobyl sono simili a quelle in quattro riserve naturali (incontaminate) della regione e l’abbondanza del lupo è più di 7 volte superiore». Il censimento eseguito con un elicottero ha inoltre rilevato una tendenza all’aumento delle popolazioni di alci, caprioli e cinghiale, iniziata tra 1 e 10 anni dopo il disastro nucleare.
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Data: 06.10.2015
Fonte: www.greenreport.it
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