Ogni giorno a Pripjat’ arriva un autobus da Kiev, a
un paio d’ore di viaggio. Percorre tutto viale Lenin e parcheggia
davanti all’hotel Polissja. Lì scarica un gruppo di turisti. Vengono da
mezzo mondo. Appena scendono, cominciano a scattare foto. Potrebbe
essere una scena comune di una qualsiasi città d’Europa, se non fosse
che l’hotel è infestato dai rampicanti, sull’asfalto crescono alberi e
la guida turistica al posto della solita bandierina colorata brandisce
un contatore Geiger.
Benvenuti a Chernobyl’. In
realtà, la città che dà il nome alla centrale è 18 chilometri da qui ed
è stata appena toccata dal vento radioattivo. Pripjat’, invece, è a
meno di mille metri dal reattore numero 4 o quello che ne resta.
L’epicentro del più grande disastro nucleare della storia.
Pripjat’, Ucraina. Prima dell’inferno vivevano qui
50mila persone. Quando il reattore numero quattro esplose dormivano,
era l’una e mezza del mattino. Al risveglio si trovarono circondati dai
vigili del fuoco accorsi nella notte da tutta l’Urss, ma la notizia non
andò oltre le ultime case prima del bosco, per giorni. Fin quando le
prime radiazioni non raggiunsero le stazioni di rilevamento in Svezia.
Solo allora il Soviet Supremo ammise l’incidente. Mentre il fall-out
radioattivo si posava su ogni cosa per sempre, gli abitanti furono
costretti evacuare Pripjat’ in poche ore. Per semplificare le cose, ed
evitare resistenze, gli fu detto di portare con sé solo il necessario
perché sarebbero tornati entro tre giorni. Da allora, nessuno è più
tornato a Pripjat’.
Oggi, a trent’anni di distanza, questa città senza più persone è diventata un’attrazione per turisti in cerca di emozioni forti.
Data: 26.04.2018
Fonte: www.balcanicaucaso.org
Nessun commento:
Posta un commento