Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

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"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

13/01/12

PORTAR VIA LE COSE DA CERNOBYL ERA PERMESSO SOLO DAGLI ARMADI


I liquidatori di Odessa ricevevano dosi mortali di radiazioni, ma preferivano non parlarne. 

Oggi gli ucraini per tradizione rendono un tributo a coloro che a prezzo della loro salute hanno salvato la vita alle generazioni future. È il giorno della celebrazione dei partecipanti alla liquidazione delle conseguenze dell’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Esattamente il 14 dicembre di 20 anni fa venne portata a termine la liquidazione della catastrofe – con la copertura del 4° reattore con un sarcofago di cemento. 



«Chiese perché non facessimo la ginnastica, e noi che evitavamo ogni movimento superfluo». 

Tra gli odessiti che erano stati mandati a Cernobyl c’era anche Pëtr Rostovcev, chiamato nel maggio 1986 alle esercitazioni militari a Krasnoznamenka, dove allora era dislocata un’unità della difesa civile. Il reggimento là formato venne mandato nel villaggio di Starye Sokoli, non lontano da Pripjat’. 

Nella “zona” Pëtr ci rimase due mesi – da maggio a luglio del 1986. Svolgeva il servizio di pattuglia – una volta ogni tre giorni andava in spedizione al reattore distrutto della centrale. 

– Arrivavamo nei pressi del reattore danneggiato, ci cambiavamo e su indicazione del responsabile a tre per volta salivamo sul tetto, dove con i badili nel corso di 30 secondi gettavamo per terra i residui di grafite, – racconta il liquidatore. – In tutto io ne svolsi tre di quei turni, tre missioni sul tetto. Evidentemente fu allora che ricevetti la dose limite e fui trasferito a lavorare al quartier generale dell’unità. 

Il soldato racconta che ai suoi colleghi i dosimetri indicavano dosi differenti di radiazioni. Il capo del servizio chimico allora spiegò che tutto dipendeva dalla corrente del vento: alcuni ricevevano una dose maggiore, altri una minore. 

Dalle parole dei testimoni ad affrontare incidenti di quella portata in Unione Sovietica nessuno era pronto. Talvolta capitavano anche episodi curiosi. 

– Per fare un esempio, il capo dello stato maggiore del reggimento, ritornato dopo un periodo d’assenza, chiese perché al mattino non si svolgesse più la ginnastica, al che gli spiegarono che qui non era permesso neanche camminare veloce, – con un sorriso amaro ci racconta il nostro interlocutore. – Una vera e propria assistenza medica non c’era, come anche i preparati. 

Il liquidatore fa notare che l’unico preparato medico che veniva loro dato per proteggersi dall’irraggiamento si chiamava “Eleuterokokk”. 

Inizialmente durante il lavoro la dose massima ammessa per i liquidatori era di 25 roentgen, dopo due settimane venne però abbassata a 10. Questo a causa del fatto che al termine del lavoro nella zona morivano moltissime persone. E nonostante che la dose venne abbassata, le radiazioni che si prendevano erano comunque assai di più. I dosimetri venivano dati soltanto durante il tempo del lavoro (30-45 secondi). Ma anche tutto il tempo rimanente le persone ricevevano dosi significative d’irraggiamento, di questo però preferivano tacere. 

Giocattoli sparsi al parco giochi 

Mentre la gente riceveva dosi mortali di sostanze radioattive, in città comparvero gli sciacalli. 

– Dopo alcuni di quei casi, si dovette circondare Pripjat’ con uno steccato, entrare in città divenne assai complicato, – racconta Vjačeslav Belov, ex membro del gruppo operativo del Ministero degli Interni, che prese parte alla liquidazione dei Cernobyl. – La gente tuttavia veniva a prendere le proprie cose. Nelle case che si trovavano più vicine al 4° reattore non si poteva portar via niente, mentre nei rimanenti edifici era permesso prendere solo le cose che erano chiuse negli armadi. 

Il gruppo operativo era dislocato nel villaggio di Mar’janovka, a quasi 70 km dalla città. Pranzavano durante la strada verso la “zona”, e poi si mettevano a pattugliare Pripjat’. I poliziotti rimanevano nella zona pericolosa due volte più del limite di tempo permesso – dalle 6 alle 8 ore al giorno invece di 3-4. Gli autobus che trasportavano gli agenti di polizia potevano entrare in città solo due volte, la terza venivano mandati al “cimitero”. 

– Si presentava un quadro terrificante: cammini per Pripjat’, la città vuota, i giocattoli buttati per terra. Non si poteva però avvicinarsi al parco giochi – là tutti i dosimetri impazzivano, – aggiunge il veterano. – Noi camminavamo soltanto sui marciapiedi, avevamo timore di toccare gli alberi, le foglie. 

I poliziotti indossavano sul viso i “petali” protettivi e li cambiavano ogni due ore. Sostituivano le fasce soltanto perché nella zona delle narici comparivano dei puntini rosso vivo. Non si aveva la sensazione delle radiazioni, in seguito però comparve un costante sapore di metallo. A causa di quel lavoro dopo una settimana i ragazzi cominciavano a perdere i sensi. Quelli maggiori di 25 anni sopportavano le radiazioni più facilmente. 

Insieme a tutti i soccorritori dell’Ucraina nella zona dei 30 km, nelle città di Pripjat’ e Cernobyl dal 1986 al 1991 lavorarono 352 liquidatori della regione di Odessa.

Data: 14.12.2011
Fonte: www.kp.ua
Autori: Pavel Anfimov, Sergej Didkovskij
Traduzione: S.F.


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