Cosa lega un cacciatore di orsi di Cernobyl all'ambiente malavitoso genovese? L'intervista alla scrittrice e un brano del libro
Fra poco sarebbe stato chiaro. Viktor Blinskj l’intuiva
dal buio che non era compatto come mezz’ora prima. Dall’oscurità
affioravano sagome dai contorni più distinti: il tronco di un albero,
l’intrico dei rami, la forma tozza di una roccia.
Viktor aspettava tranquillo, le spalle appoggiate a un grosso pino,
una lattina di tè tra le mani, il fucile al suo fianco. Ogni tanto
mandava un messaggio a Grigorij. “Tutto tranquillo.” “Qualcosa mi dice
che questa è la volta buona.” “Ho un freddo cane.”
Viktor rabbrividì. Era un uomo di trentacinque anni, alto, con lunghi
capelli biondi portati a coda di cavallo e occhi di un azzurro intenso,
quasi turchese. Si era messo una coperta sulle spalle ma continuava a
sentir freddo. Pensò che fosse perché non aveva toccato cibo dalla sera
prima. Non voleva pensare alla malattia, non in quel momento per lo
meno.
Fonte: www.genova.mentelocale.it
Data: 14.08.2013
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