Alla Triennale una pittorica enciclopedia di 416 agglomerati urbani cancellati dalla storia
Pripjat. A leggerlo così pare il nome, piuttosto, d’un dio
terribile da universo sanscrito, di quelli che s’incontrano nei saggi,
tipo l’Ardore, di Calasso. E invece, forse
ci siamo dimenticati anche questo, è il nome qualunque,
trapanato-trascinato via, in un oblio stipato di macerie straziate,
d’uno di quegli efficienti villaggi-satelliti saprofiti, concretizzati
militarmente intorno alla luttuosa città di Cernobyl, con il suo fumante
lascito-strascico fosforescente di morte tarlata.
Come in un film del terrore, come in una versione moderna
della storia della cedevole moglie di Lot, che fugge e si volge
sventuratamente indietro, salgemmandosi di terrore, anche gl’uomini
imbestialiti dal furioso vento avvelenato di morte, che proveniva dal
prossimo reattore nucleare V. Lenin (Pripjat era il ricovero notturno
dei costruttori della stessa Cernobyl) scappando e volgendosi indietro
per un ultimo sguardo di biblico panico, videro le foglie dei ricchi,
ipocriti giardini di compensazione sociale, tingersi immediatamente di
rosso sangue. Come in una parodia accelerata del Deserto rosso antonioniano.
Fonte: www.lastampa.it
Data: 19.08.2013
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