Università Statale di
Milano
(sede di Sesto San
Giovanni)
Mediazione linguistica e
culturale
Questa
meravigliosa esperienza inizia quando decido che è giunto il momento di fare un
viaggio un po’ “alternativo” con destinazione Russia.
Terminata
la sessione estiva degli esami, vedo tutti i miei amici, impazienti di fare le
valigie per andare al mare, in montagna, a visitare qualche città, in ogni caso
pronti per una vacanza spensierata all’insegna del divertimento.
È proprio in queste circostanze che
io, persona cronicamente ansiosa, inizio ad andare in paranoia, e domande come:
“..e se non capisco?, “... e se non mi trovo bene?” iniziano a frullarmi per la
testa. Paranoie che si intensificano quando “faccio amicizia” con la burocrazia
russa: lunghi moduli scritti in cirillico non sono decisamente un buon modo per
tranquillizzarsi.
Per
quanto incuriosita e felice di partire sono consapevole che sto per intraprendere
un viaggio verso l’ignoto.
Eccoci
arrivati, 16 luglio, ore 05.00: suona la sveglia e l’esperienza inizia. In
aeroporto incontro le mie fedeli compagne di viaggio: Federica, Giulia e Francesca.
Dopo
due aerei arriviamo a Mosca e siamo ancora abbastanza in forze: qui aspettiamo
qualche ora il nostro treno, e conosciamo il tipico uomo russo, che puzza un
po’ di vodka ma è molto disponibile e simpatico. Anche lui prende il nostro
treno quindi ci accompagna al binario e si occupa anche dei bagagli.
Il
mio primo approccio con il “treno ubriaco” non è dei migliori: fa caldo, sento
un odore di vodka non troppo piacevole, la pulizia non è delle migliori e gli
odori si fanno sempre più intensi. Decido di dormire un po’ ma il caldo unito
all’ansia mi sono nemici. Tuttavia non mi faccio prendere dal panico e nel complesso
mi tranquillizzo.
Sono
subito colpita dalle sconfinate foreste russe, che con il tempo diventano per
me un paesaggio davvero confortante oltre che tipico.
Dopo
10 ore di viaggio arriviamo a Uneča e ci accoglie Andrej: anche se fatico a
capirlo si dimostra comprensivo e gentile, ci mostra il campo e ci lascia
dormire qualche ora per recuperare le forze.
Più
tardi e un po’ più riposata decido di fare un giro del campo con le altre ragazze:
è semplice ma davvero molto accogliente. Mi sento davvero pronta ad iniziare
l’esperienza.
Il
primo incontro al campo lo abbiamo con Katja, nostro punto di riferimento per
le tre settimane di permanenza. Non la capisco molto ma piano piano riusciamo
ad intenderci e a costruire un bellissimo rapporto, che va al di là del lavoro
ma diventa anche amichevole.
Le
giornate sono sostanzialmente impostate in modo simile: al mattino i bambini
hanno la possibilità di scegliere a quali “laboratori” partecipare. Mi sento
molto coinvolta nel lavoro del campo, tanto che noi ragazze italiane siamo libere
di gestire in modo piuttosto autonomo i nostri corsi di italiano, yoga, balletti
e giochi italiani.
Nel
primo pomeriggio, i bambini possono riposare e noi di norma organizziamo
attività oppure siamo libere di riposare un po’ al laghetto vicino al campo
oppure nella nostra casetta, semplice ma molto accogliente. Dalle 16,30 ricominciano
i giochi: sono stupita dalla loro originalità e al contempo semplicità e mi
diverto moltissimo a giocare insieme ai bambini. La sera si svolgono spettacoli
e giochi, ma nella maggior parte dei casi si balla in discoteca. Qui mi diverto
moltissimo e ho la possibilità di avvicinarmi ai bambini in maniera maggiormente
spensierata.
La
giornata termina con la planërka, quindi una riunione in cui si tirano le somme
sullo svolgimento della giornata. Si tratta della parte della giornata che noi
italiane odiamo di più, in quanto non sappiamo mai cosa dire e risultiamo un
po’ banali nel dire semplicemente “la giornata è andata bene, i bambini erano contenti”,
ma con il tempo questa carenza di originalità diverte anche i nostri colleghi
madrelingua.
Di
norma la giornata per noi non termina: dopo una doccia rigenerante trascorriamo
ore notturne a chiacchierare e mangiare con gli altri ragazzi animatori del
campo. Per quanto stanche amiamo questo momento, in cui abbiamo la possibilità
di farci conoscere meglio e di intensificare maggiormente i rapporti.
I
bambini sono meravigliosi: mi fanno stare allegra e spensierata, e per quanto
piccoli sono curiosi di conoscere me e la mia cultura, a tratti molto diversa
dalla loro. In particolare mi piace lavorare e aiutare la seconda famiglia e i
bimbi più piccoli, i più disperati e vivaci. Li amo proprio per questo, perché
mi fanno sentire utile, mi fanno divertire ma sanno anche viziarmi con continui
massaggi e abbracci. Alcuni di loro hanno un trascorso piuttosto burrascoso,
molti sono stati adottati perché orfani, altri sono sordomuti eccetera.
Tra
loro Maksim mi rimarrà sempre nel cuore: si tratta di un bimbo di 8 anni che
non parla ma che con i gesti e con gli sguardi sa rubarti il cuore, così come
Alëša, altro bambino adottato, e Denis: si tratta di un ragazzino sordomuto, ma
questo suo handicap non gli impedisce di ballare con gli altri bambini in
discoteca e di mostrarsi esattamente uguale a tutti gli altri.
Altri
ragazzi del campo imparano i ritmi e la vita militare. Molti di loro sono orfani
di varie età e con vari trascorsi. Inizialmente mi chiedo il perché si debba
insegnare a questi ragazzi a maneggiare armi, e sono piuttosto contrariata.
Successivamente ho l’opportunità di conoscerli singolarmente e di vedere quanta
umiltà sta dietro quella tuta mimetica. Mi viene spiegato che molti di loro non
avranno un futuro roseo in quanto la società discrimina gli orfani, e per loro
una delle poche soluzioni per vivere una vita decente è proprio arruolarsi, e
ho capito che questa per loro è una grande opportunità. Anche la possibilità di
imparare la disciplina è una cosa di notevole interesse.
Non
ci sarebbe tempo sufficiente per parlare singolarmente di ognuno di loro, e in
ogni caso a parole non sarei in grado di spiegare quanto ognuno di loro mi
abbia lasciato nel cuore. Quello che posso dire è che a distanza di mesi ricordo
ogni singolo volto, ogni singolo sorriso e ogni singolo gesto che ciascuno, nel
suo piccolo, ha fatto per me.
Mai
avrei pensato di vivere un’esperienza così intensa e mai avrei pensato che mi
potesse arricchire così.
Che
dire, posso soltanto ringraziare chi mi ha dato la possibilità di vivere
quest’esperienza meravigliosa che mai e poi mai dimenticherò.
Jennifer Donisetti
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