Francesca de Santis - 24 anni
Università Statale di Milano
(sede di Sesto San Giovanni)
Mediazione linguistica e culturale
NOVOKEMP, luglio 2014 – Un’esperienza
da lasciarci il Cuore
Sveglia
ancor prima dell’alba, uno scalo e numerose ore di viaggio. Finalmente
arriviamo a Mosca, eccitazione mista alla solita sensazione di spaesamento che
la Russia sempre riesce a infondere. Eccoci al controllo passaporti, la
signorotta di turno che sfoglia i miei documenti e con un ghigno un po’ beffardo
mi dice: «I bambini di Chernobyl sono tutti morti, cosa siete qui a fare? Non
c’è bisogno del vostro aiuto in Russia». E se la ride, mostrando il mio
passaporto alla collega. Sorrido nervosa, vorrei risponderle a tono ma mi rendo
immediatamente conto che non vale la pena perdere tempo a spiegare che gli
effetti del disastro nucleare sono ancora presenti sul territorio, che le
persone continuano ad ammalarsi. A morire. So che non devo prendermela, che i
russi spesso sanno fare sfoggio di un ottimo cinismo e del loro fatalismo che
da sempre li contraddistingue. I moscoviti in particolare. So che nel giro di
ventiquattr’ore ci sarà ben altro ad aspettarmi. Faccio un sospiro amareggiato
e supero il gabbiotto dei controlli.
Un
rapido giro per l’afosa Mosca brulicante di gente, otto ore di treno notturno
che sembrano non passare mai. Cullato dal lento incedere del treno, lo sguardo
si perde fuori dal finestrino, in cerca dell’orizzonte ma bloccato da
chilometri e chilometri di boschi, di verde selvaggio che a un occhio ˗ o meglio,
ad un cuore ˗ inesperto può apparire monotono, ma che racchiude in sé l’anima russa.
Ad
aspettarci nella sperduta stazione di Uneča, dopo tante peripezie, il sorriso
rasserenante di Andrej, che ci porta finalmente a destinazione. Eccoci arrivate,
dopo ventiquattro ore di viaggio, a Novokemp. Ad accoglierci, un bosco immerso
nella foschia del mattino. Il silenzio regna sovrano in un luogo in cui la
natura sembra non voler lasciare spazio alla “civiltà”. Poche ore, e questo
bosco silenzioso punteggiato di casette in legno colorate si trasforma in un
ridente campo estivo, bambini di tutte le età che corrono ovunque, una festa in
grande per accogliere i ragazzini che nelle successive tre settimane avrebbero
lasciato un segno indelebile nei nostri cuori di “occidentali”, disabituati ormai
alla semplicità di una vita di condivisione e aggregazione.
Di
certo i primi momenti di adattamento sono un po' difficili. Sapere che ci sono
quattro bagni e sei docce da condividere con circa un centinaio di persone
lascia un po’ spiazzati, come anche avere la consapevolezza che per venti
giorni avrai degli orari molto stretti da rispettare, per la doccia così come
per i pasti, che la cucina non sarà quella di mamma e papà e che dovrai
adattarti a quello che c’è, e che per un po’ di tempo dovrai dimenticare il
significato del termine “privacy”, sapendo di dover condividere una stanzetta,
molto graziosa, con altre 5 ragazze, in un appartamento che per il via vai di
ospiti sembra la hall di una stazione centrale. Un po' di smarrimento iniziale
è inevitabile, piombate in un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, con
altre ragazze che a mala pena hai avuto modo di conoscere in precedenza. È
quasi una sfida, è un mettersi in gioco abbandonando il proprio guscio,
mettendo la tua anima a nudo e lasciandoti trascinare dallo spirito russo.
Già
dal primo giorno di attività si capisce subito quale sarà il leitmotiv
della permanenza. Un travestimento perenne, a volte fino a sentirti ridicola.
Ma non è la tua dignità di ventiquattrenne che conta, a contare sono la
curiosità ed il sorriso dei bambini. E tra un travestimento e l'altro, passano
rapide le giornate, organizzate sempre con estrema precisione da un team di
giovani ragazze e ragazzi pieni di entusiasmo e voglia di fare. Generalmente la
mattinata è dedicata ai kružki, attività di vario tipo, dallo sport al
disegno, dai balli di gruppo ai lavoretti con la pasta di sale. I bambini sono
liberi di scegliere le attività che più loro interessano e di sperimentare ogni
volta qualcosa di nuovo.
Quasi
tutte le mattine noi volontarie organizziamo le nostre attività, lavorando
solitamente in coppia, per supportarci e organizzarci meglio. La cosa più bella
è vedere come i bambini si avvicinino a noi: curiosi, anche se a volte timidi o
imbarazzati, vogliono capire chi sono queste italiane, cosa fanno a Novokemp,
se mangiamo davvero sempre pizza e spaghetti, se ci piace la cucina russa, se
siamo sposate e abbiamo bambini («Perché a ventiquattro anni non hai ancora
figli? Mia mamma ha la tua stessa età»...
Questi sì che sono shock culturali!!).
Durante
le mattinate mi dedico ai kružki di yoga e di italiano insieme ad un’altra
volontaria, Jennifer. Se l’insegnamento dell’italiano ad alunni russi non è una
novità per me, l’improvvisarmi insegnante di yoga inizialmente mi spaventa un
po’, troppe cose complesse da spiegare in una lingua particolarmente ostica, la
paura che i bambini possano trovare lo yoga un’attività noiosa... E invece,
come spesso accade, le parole non sono poi così necessarie, e i bambini sono
invece molto incuriositi da questa pratica di cui non hanno mai avuto
esperienza diretta. Alcuni fedelissimi, altri che vanno e vengono. Ma riempie
il cuore di soddisfazioni vedere come i bambini si mettano in gioco, provando
con tenacia anche posizioni che richiedono un po’ più di flessibilità, tasto
particolarmente dolente per i maschietti.
Dopo
la tichij čas, due ore durante le quali i bambini dovrebbero
riposare (regola che conosce numerose eccezioni), il pomeriggio è invece
solitamente dedicato ai giochi collettivi, organizzati a stazioni. Divisi per semejki
(le sette casette in cui i bambini sono raggruppati), i bambini si
impegnano sempre con entusiasmo nei giochi a tema. E così durante il pomeriggio
volontari e organizzatori si trasformano in pirati, indiani, fate, cuochi,
hawaiani... e anche folletti e Babbi Natale (ebbene sì, a Novokemp si festeggia
il Capodanno... ad agosto!). E così trascorri ore nella kostumerskaja,
uno sgabuzzino dalle mille risorse, a cercare qualcosa di ridicolo – cioè, di
originale – che sia adatto al tema della giornata.
E
quando arriva la sera, è l'ora della discoteca! Bambini che, sudati e scatenatissimi,
ti mostrano fieri i loro migliori passi, si trasformano in eleganti gentlemen
invitando le italiane a ballare un lento. E anche questo fa parte del gioco,
ballare tutte le sere con un imbarazzato ragazzino che ti arriva poco più su
dell'ombelico.
Quasi
200 bambini. Quasi 200 nomi, difficili, per quanto ci impegnassimo, da memorizzare,
ma i loro sorrisi riescono a rimanere ben impressi nella memoria. Ricordo
sempre con un po’ di commozione il piccolo Maks, nove anni, occhietti furbi che
trasmettono tutto quello che le sue labbra non riescono ad esprimere. Maks
infatti è un bambino con serie difficoltà di linguaggio, che potrebbe essere
definito erroneamente muto. Queste sue difficoltà si aggiungono ad un carattere
complesso, che lo portano spesso ad attaccarsi al suo accompagnatore e a non
prendere parte ai giochi, a stare un po’ isolato rispetto agli altri bambini.
Quale gioia più grande del notare i suoi pur lievi progressi nell’articolare
semplici parole, fino ad arrivare a partecipare, a modo suo, alle lezioni di
yoga?
Maks
non è il solo, fa parte di un gruppo di bambini che provengono dall’orfanotrofio
di Novozybkov e ai quali viene data la possibilità di trascorrere l’estate nel
campo estivo di Novokemp. Sono bambini che necessitano di cure e attenzioni
particolari e per loro Novokemp è un’opportunità irripetibile ed un’esperienza
formidabile, in quanto non è solo un campo di risanamento, non è un luogo dove
i bambini vengono semplicemente curati, controllati e allontanati un mese all’anno
dalle zone contaminate. Novokemp è un luogo di aggregazione e di crescita, dove
i bambini imparano a convivere e a condividere, dove i più grandi aiutano i più
piccoli con senso di responsabilità e voglia di fare, dove i bambini più agiati
imparano a conoscere realtà diverse dalle proprie e quelli più in difficoltà
vengono accolti e accuditi. Novokemp è una grande famiglia.
E
alla fine di questi venti giorni ti rendi conto che il tempo è volato; che la cosiddetta
privacy in fondo non ti è poi così mancata; che le comodità che ci hanno
insegnato essere fondamentali passano in secondo piano; che essere obbligata a
ballare balli di gruppo al limite della demenzialità è uno dei metodi d’urto
migliori per superare la propria timidezza; che (tentare di) cantare canzoni
sentite giusto un paio di volte, accompagnati da una chitarra, rimane uno dei
più bei modi per trascorrere una serata; che ballare un lento con un ragazzino
di 8 anni resta un’esperienza indimenticabile; che andare in giro perennemente
scalzi è un po' come tornare bambini, è un recuperare la propria libertà che
spesso ci si dimentica essere racchiusa nelle piccole cose.
Francesca De Santis
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