Michela Grugni - 24 anni
Università Statale di
Milano
(sede di Sesto San
Giovanni)
Mediazione linguistica e
culturale
Novokemp – Agosto 2014
A
marzo ho deciso di fare domanda per Novokemp, senza sapere esattamente a cosa sarei
andata incontro. Ero alla ricerca di un’esperienza nuova, diversa, che mi desse
la possibilità di migliorare la mia conoscenza della lingua russa, ma non mi
sarei aspettata nulla di tutto quello che è avvenuto dopo. Avevo già avuto a
che fare con bambini russi provenienti dalle zone colpite dal disastro nucleare
di Chernobyl collaborando con un’associazione della mia città che ogni anno
ospita un piccolo gruppo di bambini ed era stata un’esperienza molto bella e
significativa e mi sarebbe piaciuto ripeterla in un contesto in cui i bambini
non fossero lontani dalla loro cultura e dalla loro lingua. Così, appena ho
letto l’annuncio sulla bacheca della nostra facoltà ho deciso di scrivere a
Stefano per sapere se ci fossero ancora posti.
I
mesi prima della partenza sono stati molto travagliati per molte ragioni: inizialmente
non sarei dovuta partire perché non c’erano abbastanza posti, poi finalmente
arriva la tanto attesa mail che conferma che posso prendere parte al progetto,
ma quasi contemporaneamente la situazione tra Russia e Ucraina inizia a
peggiorare e inizio a pensare se sia davvero il caso di andare, poi arriva il
momento della lunga burocrazia, i visti che non arrivano, le difficoltà nel
trovare voli economici ma allo stesso tempo ad un orario utile a non perdere la
coincidenza con il treno, eccetera, eccetera. In alcuni momenti ho pensato che
forse non sarebbe valsa la pena, ma con il senno di poi sono molto contenta di
non aver ascoltato le preoccupazioni di amici e parenti, di non essermi
lasciata vincere dalla burocrazia e di essere salita con cinque sconosciuti
(che sarebbero poi diventati i miei “figli”) su quel primo volo Milano-Riga.
Il
nostro viaggio inizia così: aeroporto di Malpensa, ansia mista a felicità e
paura. I miei compagni di viaggio sono tutti più piccoli di me e alla loro
prima esperienza in Russia, mi chiedono supporto e aiuto e iniziano a chiamarmi
“mamma” fin dal primo giorno, ma hanno saputo cavarsela alla grande. Due aerei,
troppe scale e troppe valigie nel labirinto della metropolitana di Mosca, caldo
atroce e pioggia a catinelle, ma anche tante figuracce e tante risate. Passiamo
a Mosca meno di 24 ore, sufficienti per iniziare a conoscerci e ad immergerci
nell’accogliente atmosfera russa.
Ed
ecco in breve la mia, anzi la NOSTRA (perché senza i compagni di viaggio non
sarebbe stata la stessa cosa) esperienza a Novokemp:
IL
VIAGGIO
Il viaggio verso la
stazione di Uneča inizia verso le 7 di sera sul treno “ubriaco” Москва-Климов.
Eravamo pronti al peggio ma tutto sommato il viaggio è andato bene, anche se il
treno non era particolarmente comodo e pulito (poco spazio, cattivo odore,
molto rumore). Dopo (troppe) poche ore di sonno arriviamo a destinazione dove
ci attende Saša, il direttore del campo. Arriviamo a Novokemp insieme alle
prime luci dell’alba e sembra tutto così surreale: la stanchezza, l’emozione,
il bosco, le casette colorate, il the e i biscotti prima di riposarsi un po’...
Ci viene detto che avremmo potuto sfruttare tutta la giornata per riprenderci
dal lungo viaggio, ma ci sembrava di buttare via tempo, così all’ora di pranzo
eravamo tutti svegli, puliti e pronti a cominciare questa avventura.
Al ritorno abbiamo
viaggiato sul treno Брест-Москва in partenza da Uneča
alle 23.53 e in arrivo a Mosca alla stazione “Белорусский”
alle 11.20. Il viaggio del ritorno è stato decisamente più comodo e
confortevole, il treno era pulito e si riusciva a dormire senza essere
disturbati dagli altri passeggeri o dal rumore del treno stesso. Meno
emozionante del primo e carico di tristezza e nostalgia per tutto quello che ci
stavamo lasciando alle spalle.
LA
LINGUA
Nonostante le
iniziali difficoltà il problema della lingua è svanito in pochi giorni. Siamo
stati accolti nel migliore dei modi e tutti – personale, animatori
e bambini – si sono dimostrati comprensivi e
sempre pronti a venirci incontro e ad aiutarci, nonostante le difficoltà linguistiche.
Anzi, forse proprio per paura che a causa della lingua e della lontananza da
casa non riuscissimo a sentirci a nostro a nostro agio e ad esprimere al meglio
le nostre emozioni, spesso ci veniva chiesto se andasse tutto bene e se ci
fosse qualcosa di cui avremmo voluto parlare (anche riguardo a fatti
personali). In questo caso ha avuto un ruolo molto importante Katja, la nostra
responsabile, anzi, la nostra “russkaja mama”, che si è dimostrata sempre molto
attenta ai nostri stati d’animo, alle nostre esigenze e al nostro comportamento,
affinché sia noi che i bambini potessimo trarre il massimo vantaggio da questa
esperienza. Katja purtroppo per motivi personali è dovuta andare via prima della
fine del nostro soggiorno. La sua mancanza si è sentita fin dal primo giorno:
ci mancava chiacchierare con lei, la sua risata e persino il suo modo di “sgridarci”
quando le nostre stanze erano troppo in disordine o quando ci dimenticavamo di
lavarci le mani prima di pranzare. Quando Katja è partita, Saša (il direttore)
e Oksana (la psicologa) hanno fatto di tutto per farci sentire a nostro agio.
VITTO E
ALLOGGIO
Eravamo stati
preparati psicologicamente alle “condizioni spartane” del campo e alla necessità
di avere “spirito di adattamento” per affrontare questa esperienza. In realtà,
almeno a mio avviso, questa preparazione psicologica non era del tutto
necessaria. Abituata a fare vacanze spartane, il piccolo campo di Novokemp non mi
è sembrato altro che una sorta di “campeggio”. Siamo stati alloggiati in quella
che veniva chiamata “гостиница” (albergo),
ovvero una piccola casetta con 10 posti letto (con letti a castello, divisi in
due camere per donne e uomini), una piccola cucina e una saletta. La sistemazione
era abbastanza comoda, l’unico problema, almeno nella stanza delle ragazze,
sono state le valigie. Non le abbiamo mai disfatte perché c’era solo un armadio
molto piccolo e per questo a volte convivere con cinque persone e cinque valigie
aperte sul pavimento è stato un po’ difficoltoso, ma non è mai stato un vero e
proprio problema poiché passavamo davvero poco tempo in camera.
Per quanto riguarda
il vitto nel complesso la valutazione è positiva. Certo, dipende dai gusti e
dalla capacità di adattarsi alla cucina di una mensa in un altro paese. In
generale il menù delle tre settimane è stato un po’ ripetitivo, ma nonostante
questo abbiamo avuto anche occasione di provare alcuni piatti tipici. Una o due
volte a settimana si ha la possibilità, grazie alla disponibilità dei
collaboratori, di andare al supermercato e comprare tutto ciò che può servire e
anche generi alimentari. La casetta dove eravamo alloggiati, inoltre, era
sempre ben fornita di the, caffè e biscotti.
ATTIVITÀ
CON I BAMBINI
Le attività con i
bambini sono sostanzialmente di tre tipi: quelle gestite e organizzate direttamente
da noi; quelle organizzate dagli educatori; le “giornate a tema”. Per quanto
riguarda le prime, solitamente si svolgevano la mattina dalle 10 alle 13, i
bambini avevano la possibilità di scegliere a quali attività partecipare tra le
tante proposte e per quanto tempo fermarsi. I primi giorni le nostre attività
(balli di gruppo, laboratorio creativo e corso di giapponese) hanno avuto molto
successo, al punto che a volte era difficile riuscire a seguire, ascoltare ed
aiutare tutti i bambini. Fortunatamente fin da subito i ragazzi più grandi, capendo
le nostre difficoltà, ci hanno aiutato ad organizzare e a gestire le attività. Aspetto
negativo: forse tre ore per queste attività sono troppe e i bambini si stufano
e forse sarebbe meglio cambiare le attività ogni settimana affinché per i
bambini non risultino troppo ripetitive. Per quanto riguarda le attività del
pomeriggio il nostro compito era essenzialmente quello di affiancare un
educatore nei giochi “a stazione” organizzati per i bambini. In questo caso il
nostro ruolo non era particolarmente rilevante poiché nella maggior parte dei
casi si trattava di attività in cui era solo necessario spiegare ai bambini le
regole del gioco e vigilarli mentre giocavano. A volte ci sarebbe piaciuto
poter partecipare ai giochi in modo più attivo. Una volta a settimana circa
venivano invece organizzate “giornate a tema” (giornata internazionale, giorno
dei pirati, giorno degli indiani ecc.) che consistevano in una serie di giochi
dove i bambini potevano raccogliere punti, braccialetti, medaglie in base al
numero di attività a cui prendevano parte. A mio parere le giornate a tema
erano quelle in cui i bambini si divertivano di più e in cui tutti gli animatori
e collaboratori erano coinvolti attivamente e si aveva la possibilità di
prendere parte ai giochi insieme ai bambini. Nel complesso ritengo che le attività
siano state molto interessanti per i bambini, anche se a volte un po’ ripetitive.
Forse proprio per questo motivo nell’ultima settimana i nostri laboratori sono
stati un po’ abbandonati e i bambini preferivano spendere il tempo con noi, ma
in modo diverso, per esempio giocando insieme a ping-pong o a pallavolo, oppure
invitandoci a bere il the con loro nell’“ora del silenzio”.
RAPPORTI
CON I COLLABORATORI DI RADIMICI E CON GLI ALTRI EDUCATORI
I primi giorni i
collaboratori di Radimici ci hanno raccontato la storia dell’associazione, di
cosa si occupa, com’è nata, com’è organizzato il campo ecc., e credo che sia
stato molto utile per comprendere al meglio la realtà in cui eravamo appena
arrivati. Nei giorni successivi abbiamo iniziato a fare amicizia con gli
educatori, grazie alle attività pomeridiane. Non abbiamo avuto nessuna
difficoltà ad interagire con loro, ci hanno fatto subito sentire a nostro agio
coinvolgendoci, non solo nelle attività per i bambini, ma anche invitandoci a
chiacchierare con loro nelle ore libere e riunendoci tutti insieme la sera dopo
la lunga giornata di lavoro. E’ stato molto bello che si interessassero al
nostro stato d’animo, alla nostra cultura, alla nostra vita in Italia ed è stato
altrettanto bello che considerassero molto importante la nostra opinione e il nostro
giudizio sulla gestione delle attività del campo. Durante la nostra permanenza
sono state inoltre organizzate due gite, la prima a Ljaliči e l’altra a Novozybkov
per conoscere e visitare l'associazione “Radimici”.
ORGANIZZAZIONE
DEL CAMPO
Tutti i giorni,
durante la riunione serale vengono decise e presentate le attività del giorno
successivo. Il campo è molto ben organizzato, la giornata è scandita da orari
da rispettare affinché ci sia il tempo per fare tutto ciò che è in programma e
per sapere sempre cosa fare, dove farlo e come farlo. Le riunioni, a volte
molto lunghe, sono molto importanti perché viene lasciata a tutti la
possibilità di parlare e di esprimere la propria opinione su com’è andata la
giornata, su come si sono comportati i bambini, su quali siano stati gli
aspetti positivi e negativi della giornata. Durante queste riunioni veniva
lasciata anche a noi la possibilità di raccontare la nostra giornata e le
nostre impressioni.
L’esperienza
a Novokemp è stata molto bella, utile ed intensa sotto molti punti di vista.
Sono partita con l’intenzione di migliorare la lingua e sono tornata a casa
arricchita come persona. A Novokemp mi sono sentita a casa, grazie
all’accoglienza dei bambini e di tutti i collaboratori, non ho riscontrato
particolari problemi culturali né di altro genere. Con i bambini non è stato
per nulla difficile interagire, anzi, si sono subito dimostrati molto interessati
a noi e alla nostra cultura. Ogni giorno venivamo invitati a giocare con loro o
nelle loro casette a prendere il the durante le ore libere. Ci hanno regalato
tante emozioni e tanto affetto e noi ci auguriamo di aver fatto lo stesso e di
aver contribuito a rendere la loro esperienza indimenticabile. Abbiamo
soprannominato Novokemp “Лагерь
любви и дружбы”, ovvero il campo dell’amore e
dell’amicizia perché effettivamente è così: bambini (anche molto piccoli) lontano
da casa e dalla propria famiglia che invece di piangere e lamentarsi ricercano
“fratelli e sorelle maggiori” nei ragazzi più grandi, nei collaboratori e nei
volontari italiani venuti da lontano per conoscerli; persone che lavorano insieme
da tutta la vita e sono come una grande famiglia, sempre disposti ad aiutare e
risolvere i problemi; rapporti che si fanno molto intensi e in sole tre
settimane si ha la sensazione di conoscersi da tutta la vita; barriere
culturali che non esistono...
Novokemp è un posto magico, fuori dal mondo, fuori dal
tempo, è uno stile di vita, è dimenticarsi della propria dignità ballando il
“ballo dell’ascella” allo spettacolo di chiusura e travestendosi ogni giorno, è
camminare scalzi nel bosco, fare un falò di notte sotto la pioggia sulla riva
del fiume, cantare “Алые паруса” fino alla nausea solo per far contenti i bambini,
arrostire šašlyki e godersi un
momento di pace nella russkaja banja.
È perdersi e allo stesso tempo ritrovare se stessi, è tornare bambini ogni
giorno e allo stesso tempo crescere, maturare e responsabilizzarsi, è trovare
la pace nel caos, ed è moltissime altre emozioni, sensazioni, ricordi e
sentimenti che non si possono spiegare: sono racchiusi in un angolino del tuo
cuore ma ronzano continuamente nella tua mente e riescono sempre a strapparti
un sorriso e una lacrimuccia quando riaffiorano.
Michela Grugni
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