Chernobyl è la Pompei Sovietica
Quella primavera del 1986, gli allora bimbi delle elementari italiane se lo ricordano bene: gli ammonimenti materni ,“Non scavare in giardino”; i bizzarri diktat alimentari “Non mangiare la lattuga” e infine un timor panico per la pioggia che spingeva la maestre a vietare la ricreazione all’aperto. Un’educazione atomica in tempo di pace per quella generazione cui erano stati risparmiati gli orrori di Hiroshima e Nagasaki. Il colpevole? Una gigantesca fuga di veleni radioattivi per l’esplosione in una centrale nucleare, peraltro lontanissima, prima della caduta del muro e a disgelo appena cominciato: Chernobyl, Unione Sovietica. E nell’immaginario di settenni, ci si figurava allora quell’universo come denso di scenari apocalittici alla Blade Runner, fumi e rovine: se ci avevano spaventato così tanto nei cortili delle nostre periferie, chissà cosa doveva essere successo laggiù, nel cuore del disastro.
Quello che il settenne di allora
non poteva assolutamente immaginare è che un giorno a Chernobyl ci si
sarebbe invece potuti andare in gita, in un luogo non più così
inaccessibile. E in un altro paese, l’Ucraina, nato dalla dissoluzione
di quella che fu l’Unione Sovietica. Per scoprire che quel che rimane, a
32 anni dall’esplosione, è sì una landa desolata. Ma non tanto
rassomigliante a un futuribile racconto di Asimov, quanto piuttosto a
una postmoderna fiaba dei fratelli Grimm: già, quel che rimane di
Pripyat la città satellite da 50.000 abitanti costruita apposta a 3 km
da Chernobyl , il paesino ben più piccolo dove sorgeva la centrale, se
lo sono mangiato gli alberi, come durante il letargo della Bella
Addormentata nel Bosco.
Data: 03.05.2018
Fonte: www.corriere.it
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