Sogin: il buco nero del nucleare italiano
Che fine hanno fatto le quattro centrali nucleari italiane chiuse dopo il referendum del 1987? Dove sono i rifiuti radioattivi che hanno prodotto? Sono ancora lì, affidate alla Sogin-Società gestione impianti nucleari, l’azienda dello Stato (100% del Tesoro ma supervisione del ministero dello Sviluppo) nata nel 1999 per smantellare le centrali di Caorso, Trino, Latina e Garigliano, e gli impianti ex-Enea. Con una caratteristica non trascurabile: tutti i costi sono coperti dalla bolletta elettrica pagata ogni bimestre dai consumatori.
Cosa (non) ha fatto la Sogin
Nei
primi anni 2000 le vengono conferite tutte le centrali, gli impianti e
la realizzazione e gestione del deposito nazionale dove stoccare in
sicurezza – e per 300 anni – i rifiuti a bassa e media attività. Viene definita una tabella di marcia:
trattamento e stoccaggio dei rifiuti radioattivi entro il 2014 e
smantellamento di centrali e impianti entro il 2020. E il costo: 4,5
miliardi di euro. Nel 2013 si slitta in avanti, fino al 2025, e la
previsione di spesa sale a 6,48 miliardi di euro. Passano altri quattro
anni, si insedia un nuovo consiglio di amministrazione (quello attuale) e
a novembre 2017 viene partorito un ennesimo piano industriale, che fissa al 2036 (11 anni di ritardo sul precedente!) la fine dei lavori (in gergo «prato marrone»), mentre i costi lievitano a 7,25 miliardi.
Stavolta lo slittamento è accompagnato da un impegno solenne: «Entro il
2019 si smonterà il primo bullone del contenitore di acciaio che
circonda il reattore nucleare della centrale di Garigliano». Insomma, a
32 anni dal referendum si promette di partire finalmente con la parte
impegnativa del decommissioning. Mentre attendiamo vediamo quanto ci è
costata fino ad oggi questa società.
Data: 22.05.2018
Fonte: www.corriere.it
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