L’incidente a Severodvinsk e i timori di un riarmo nucleare
Ogni volta che troviamo un nuovo indizio sull’incidente nucleare avvenuto l’8 agosto a Severodvinsk in Russia,
questo ci porta a nuove domande, al momento prive di una risposta
certa. Pian piano si delinea però un quadro che va ben oltre il fenomeno
in sé, riportandoci a climi da riarmo nucleare che pensavamo ormai
relegati al passato.
Si comincia così a parlare di un mini-reattore per armi nucleari, come il 9M730 Burevestnik, di cui il fisico nucleare Enrico D’Urso anticipava a Open qualche dettaglio,
parlando dell’ipotesi più probabile a riguardo. Esiste anche un
equivalente americano il cui motore venne testato a terra negli anni
’60, nell’ambito del progetto Pluto.
«La fragilità del sistema americano era dovuta al fatto – continua
D’Urso tornando all’incidente in Russia – che tutti i sistemi di
sicurezza erano idraulici e ad alta pressione e sottoposti a notevole
stress termico. Se qualcosa si fosse rotto, non ci sarebbe stato modo di
spegnere il reattore prima della fine del combustibile. Cioè
(tipicamente) dopo alcuni mesi. Sempre che fosse stato in volo,
altrimenti si sarebbe fuso sul banco di prova».
Il pericolo è – come sempre in questi casi – che possano esserci
contaminazioni fuori dai confini russi. In Norvegia nella base di
rilevamento di Svanhovd sono stati registrati tra il 9 e il 12 agosto
lievi aumenti di radioattività, ma gli esperti escludono che vi sia
pericolo, inoltre non è stato ancora accertato se il fenomeno possa
legarsi all’incidente avvenuto in Russia.
Data: 17.08.2019
Fonte: www.open.online
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