Mi ci sono volute quasi due settimane per poter mettere per scritto alcune impressioni che la visita alla centrale di Cernobyl e a Pripjat' mi ha suscitato. Al contrario del solito, ho avuto bisogno che le tutte le emozioni contrastanti si sedimentassero per poter essere espresse.
Al di là degli aspetti un po’ turistici del tour, la città morta mi ha molto colpito; mi è venuto spontaneo definirla una “Pompei dei nostri tempi”; là dove la vita scorreva tranquillamente d’improvviso tutto si è fermato ed è rimasta cristallizzata negli oggetti abbandonati e nella desolazione.
Ho nella testa e nel cuore due immagini, due fotografie; la prima è un pallone nero in una grande pozzanghera, solo, abbandonato, triste, cupo in una giornata di pioggia grigia che riflette il destino di una città morta.
La seconda è un alberello che spunta dal cemento nella piazza davanti alla grande giostra. Il simbolismo è evidente: la forza della natura è predominante davanti alle scelte folli degli uomini e, come Giuseppe, spero anche io che gli alberi prendano il sopravvento e che la vegetazione ricopra tutto.
Paola Boni
(vicepresidente del “Brutto anatroccolo”)
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