Fu lo stesso presidente USA Henry Truman,
preoccupato dei rapporti ricevuti dopo le prime esplosioni nucleari
della storia, ad ordinare la prima commissione di studio sui danni
provocati dalla bomba H, dopo aver
prontamente censurato tutti i reportage degli inviati dei giornali che
descrivevano scenari apocalittici fino ad allora sconosciuti.
Da allora in poi, uno studio rimasto storico e durato 63 anni ha permesso di costruire la più importante e completa banca dati epidemiologica sugli effetti delle radiazioni nucleari.
Al termine delle ostilità, una commissione mista nippo-americana si
insediò, pur tra mille difficoltà. La distruzione era stata tale che si
faticava persino a riconoscere luoghi ed edifici pubblici, ospedali e
centri logistici. La bomba atomica
aveva fatto centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile,
anche questo un altro triste primato, e mancava quindi ogni forma di
autorità, civile o militare, riconosciuta e riconoscibile.
Anche se furono raccolte numerose testimonianze di prima mano, per
descrivere il danno alle persone esposte alle forze distruttive degli
ordigni nucleari, è comprensibile che non fu possibile quantificare i
danni dal punto di vista medico, date le circostanze caotiche e gli
effetti plurimi di ustioni, infezioni, lesioni fisiche e traumi, oltre a
quelli dovuti a cibo e acqua contaminati. Quando i primi osservatori
riferirono di alcuni effetti mai documentati in precedenza, gli Stati
Uniti decisero di prendere in considerazione il lancio di uno studio
coordinato con gli scienziati giapponesi già presenti nelle 2 città.
I primi lavori sono stati successivamente raccolti e ripresi prima dalla ABCC, l’Atomic Bomb Casualty Commission, che iniziò i lavori nel 1947, sotto l’egida della National Academy of sciences e che si è trasformata, nel 1975, nella Radiation Effects Research Foundation
che ha continuato, ininterrottamente, a studiare i sopravvissuti e i
loro discendenti fino ad oggi, monitorando circa 200.000 persone, scelte
tra i 280.000 sopravvisuti di Hiroshima e i 130.000 di Nagasaki, con un
lavoro che ha visto coinvolti medici e studiosi provenienti da tutto il
mondo.
Data: 03.07.2015
Fonte: www.pazienti.it
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