Il ventiquattresimo, l’ennesimo anniversario della catastrofe di Cernobyl. Non posso sopportare questa data. E non solo perché mi rincresca ricordare come corsi, da vero stupido, come volontario nella zona (e lo stesso allora non mi lasciarono scrivere tutta la verità) e come poi fui malato per alcuni anni. Mi rincresce guardare al presente. L’anniversario di Cernobyl verrà di nuovo trasformato in un PR Show da quattro soldi in cui politici di ogni rango e colore tratteranno i cernobyliani come bambini irragionevoli e il loro aiuto concreto si ridurrà alla distribuzione di alcune scatole di siringhe monouso comprate per 200 dollari in qualche magazzino europeo di merci in giacenza.
Cinque anni dopo Cernobyl mi capitò l’occasione di essere ospite e lavorare per quattro giorni a Hiroshima. Rimasi colpito non soltanto dalla quantità di gente che partecipava alla giornata di lutto in memoria delle vittime dei bombardamenti americani. Più di tutto rimasi colpito dalla stessa Hiroshima. Una città moderna, bella, molto popolata. Essa vive e vivrà. La nostra Cernobyl è morta per sempre. Ecco, sta proprio in questo la principale differenza tra le due tragedie.
La mia opinione è che alla fine non abbiamo assimilato la lezione di Cernobyl.
Ci pare sempre che le terre di Cernobyl possano in un modo o nell’altro venire utilizzate. Si tratta di un istinto feudale selvaggio. Noi non riusciamo in alcun modo a capire che per la prima volta nella storia gli uomini da soli hanno devastato a tal punto la propria terra da renderla inadatta, definitivamente inadatta per la vita umana. Noi tutti cerchiamo chissà quali panacee anticernobyliane, quando in realtà non ce ne sono, non ce ne possono essere, allo stesso modo in cui non ci può essere il moto perpetuo.
Chiunque abbia studiato fisica nucleare a livello universitario sa bene che in natura non esiste una scatoletta nella quale si possa rinchiudere una volta e per sempre le radiazioni. Tanto più che la fisica nucleare non è la nostra e vostra aritmetica lineare e precisa, ma una scienza probabilistica. E le probabilità sono molteplici. Come girano le carte. Uno schema probabilistico può girare di là, può girare di qua, e in una determinata situazione, anche se assolutamente poco probabile, può girare, non voglia Dio, in modo da causare ancora un’altra Cernobyl, da qualche parte in Ucraina o nel mondo. Da questo se ne deduce anche che il problema del sarcofago lo avremo in eterno. E che, senza neanche tener conto da dove, le radiazioni si disperderanno tutte, fino all’ultimo roentgen.
Certamente anche in futuro cercheranno di tranquillizzarci. E non solo burocrati di casanostra, ma quelli di tutto il mondo. Chi è che più di tutti cercava di tranquillizzarci subito dopo la catastrofe di Cernobyl? Due potenti organizzazioni: il CC del PCUS e il MAGATE.
Mi domando con stupore perché noi tutti recepiamo tutto questo così tranquillamente? Perché permettiamo di rivolgersi a noi come fossimo degli scolaretti di prima classe?
Io e lei, noi tutti, lo stato dell’Ucraina, abbiamo già di che insegnare all’Europa. Siamo stati i primi al mondo a rinunciare del tutto alle armi nucleari. Adesso possiamo condividere con il mondo l’esperienza di questo coraggio e l’esperienza di un reale disarmo.
E inoltre possiamo condividere l’esperienza della chiusura delle centrali nucleari. Anche in questo siamo stati i primi. E non soltanto sotto la pressione di diverse circostanze, ma per propria volontà, avendo compreso che le radiazioni sono un male. E comprendendo sempre più che l’energia nucleare, tutta, nel suo complesso, è anch’essa un male. (In Germania l’hanno capito e hanno intrapreso un programma di graduale chiusura delle centrali nucleari, al contrario della Francia, dove c’è un programma di ulteriore costruzione di centrali nucleari.) Tale concezione del male nucleare si fa breccia con difficoltà nel nostro paese, povero a livello energetico. Ma voglio credere che si farà breccia. E pure in questo c’è un conflitto. Il conflitto tra individuale-umano e generale-statale. Nei destini tragici di quei liquidatori che non sono sopravvissuti fino a oggi, nei destini tragici di quei cernobyliani che da tanti anni sono malati e tossiscono con sangue, noi ci convinciamo sempre più: non c’è megawatt che sia degno di una lacrima di un bambino rimasto orfano o di un bambino malato di leucemia.
Valerij Nečiporenko
Data: 23.04.2010
Fonte: www.unian.net
Traduzione: S.F.
Link al pdf dell'articolo: La lezione non assimilata di Cernobyl
Link all'articolo originale: Неусвоенный урок Чернобыля
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