Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

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"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

25/05/10

SVETLANA ALEKSIEVIČ: CERNOBYL RIMARRÀ PER SEMPRE NELLA STORIA DELL’UMANITÀ

La scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič in un’intervista a Deutsche Welle ragiona sulla percezione e sulla presa di coscienza da parte della società bielorussa della tragedia di Cernobyl, delle sue conseguenze e lezioni.

Secondo la scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič nella società bielorussa non avviene una profonda comprensione della tragedia di Cernobyl e delle sue lezioni. La causa di questo sta nella politica delle autorità, mirata a occultare e a cancellare dalla memoria Cernobyl e le sue conseguenze.

– Dando uno sguardo indietro, sono passati oramai più di 20 anni, come definirebbe lei ciò che è diventata Cernobyl per la società bielorussa?

– Io penso che Cernobyl per i bielorussi sia una tragedia che vivrà tanto quanto vivranno gli elementi radioattivi con il maggior periodo di dimezzamento. Il mio libro “Preghiera per Cernobyl” lo scrissi affinché si conservasse la memoria – i primi giorni della tragedia, come venne percepita, cosa avveniva dentro di noi.
Mi era sembrato che quello che era successo avrebbe finalmente obbligato le persone a uscire da quel sonno letargico nel quale si trovava la società postsovietica. Che le persone si sarebbero messe a riflettere sulla libertà, sulla responsabilità nei confronti dei propri figli, nei confronti della loro vita stessa. Che un prezzo terribile sarebbe stato sì pagato per quest’apertura della mente, ma che comunque sarebbe arrivata.
Oggi invece, passati più di 20 anni, posso dire che noi stiamo perdendo persone, stiamo perdendo la salute della nazione, il fondo genetico, ma la sottomissione insita nel mio popolo, quella è rimasta. Questa terribile catastrofe non ha malgrado tutto risvegliato le persone, non le ha obbligate a riflettere sulla propria vita. I bielorussi sono come prima sottomessi al corso della vita, alle circostanze, al potere totalitario.
Non so neanche quando saremo capaci di parlare seriamente di questo. Parte della responsabilità è da imputare anche agli intellettuali – sono vent’anni che parliamo di tutto tranne che di Cernobyl. Non parliamo di questo problema così come se ne dovrebbe parlare. Cernobyl resterà per sempre nella storia dell’umanità, e a partire da queste parole saremmo potuti entrare nella cultura mondiale, ma non l’abbiamo fatto.

– Come valuta la politica delle autorità bielorusse riguardo al problema di Cernobyl?

– Penso che qualunque potere autoritario, tanto più un potere povero (in Bielorussia non ci sono né petrolio né gas come in Venezuela), si comporti a questo modo. Se prima la gente riceveva una razione dal punto di vista dei beni materiali, adesso questa razione la riceve dal punto di vista della verità.
La società non sa che cosa sia effettivamente accaduto al potere, al contrario, tutto il meccanismo dello stato lavora per l’oblio, per fare in modo che ci si dimentichi delle cose passate. Perché se le gente non dimentica, allora si metterà a fare domande – perché non ci proteggono, perché le nostre cliniche sono miserrime, perché dobbiamo curare i nostri bambini al’estero.
È stato in carcere, e ora vive fuori della Bielorussia il professor Jurij Bandaževskij, che ha effettuato ricerche sulle conseguenze dell’incidente. È morto, letteralmente infrangendo il cuore contro questa sordità governativa, il professor Vasilij Nesterenko, che aveva tentato di influire in qualche modo sulla politica governativa riguardo al problema di Cernobyl – almeno per raccogliere una banca dati e inculcare nella gente che bisogna proteggersi. È stata sbaragliata la fondazione “Detjam Cernobylja” di Gennadij Gruševyj, che molto aveva fatto affinché i bambini bielorussi facessero le cure all’estero. Tutto questo, per farla breve, è stato annientato.
Per quel che riguarda le iniziative umanitarie europee, anch’esse a poco a poco si vanno estinguendo, si sono stancati di sbattere la testa contro il muro dell’indifferenza governativa, quando alla frontiera gli fanno pagare dei soldi per il fatto che dall’estero portano in Bielorussia medicinali e attrezzature sanitarie.

– Lei aveva già parlato dell’indifferenza dei bielorussi, dell’apatia. Cionondimeno, hanno luogo nella società dei processi di presa d coscienza di questa tragedia?

– Lo stato ha messo in azione tutti i meccanismi dell’oblio. Per fare solo un esempio, il mio libro è uscito in 23 paesi nel mondo, ma non in Bielorussia. Là viene addirittura accolto come un libro dannoso. Piuttosto, l’appello delle autorità è: gente, fate ritorno nella zona di Cernobyl e abitateci. Io ritengo che sia una cosa assolutamente irresponsabile, ma la società non reagisce a tutto questo.
Il silenzio, l’assenza di un’opposizione civile per me come persona e come artista sono una sconfitta. Ed è effettivamente difficile farsi coraggio per credere, per fare e scrivere qualcosa. Non so perché oggi la gente non noti l’enorme quantità di cose che dovrebbero cambiarci.
Penso che non sia solamente paura davanti al potere. Su quest’indifferenza della società nei confronti di se stessa ci sarebbe molto da dire. Cernobyl è uno dei temi su cui abbiamo semplicemente chiuso gli occhi e crediamo di esserci nascosti, d’averla scampata. Nella realtà, ci toccherà rispondere di questo.

Data: 06.04.2009
Fonte: www.dw-world.de
Autrice dell’intervista: Marina Nikitič
Traduzione: S.F.


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