I territori attorno a Pripjat’ e Cernobyl hanno successo turistico e abbondano di selvaggina
Dal giorno dell’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl sono passati 24 anni. La paura delle radiazioni gradualmente si dissipa, mentre la sindrome di Cernobyl sempre più spesso lascia il passo all’audacia e al desiderio immotivati di guadagnare soldi sfruttando l’unicità della zona di spopolamento.
Una mattina presto di aprile davanti alla stazione di Kiev si radunano dei turisti – li attende un grosso pullman con la scritta “Pripyat.com”. Ai minori di 18 anni è vietato l’ingresso nei territori contaminati.
Per sintonizzare i passeggeri sulla giusta lunghezza d’onda, in pullman fanno vedere dei filmati dell’incidente del 1986 e della sua liquidazione. Al punto di controllo “Ditjatki”, dove controllano i passaporti, ha inizio la zona di spopolamento.
Proseguendo, quasi subito iniziano i villaggi abbandonati. Le finestre scure di casette semidistrutte hanno un aspetto sinistro. «In primavera le case si vedono ancora, in estate invece vengono praticamente ricoperte dal fogliame degli alberi. Che si sta andando per un ex villaggio lo si può capire soltanto dai segnali stradali» – raccontano gli organizzatori.
I luoghi abbandonati dagli uomini sono stati prescelti dagli animali. Ora in queste zone ci vive una mandria di cavalli di Prževal’sk, ci sono molti cinghiali, alci e caprioli, sono comparse perfino le linci.
La prosperità della fauna cernobyliana non è passata inosservata da parte dei bracconieri. Per la polizia locale non è semplice lottare contro di loro, in quanto tra gli appassionati di caccia in questi boschi vi sono non pochi funzionari statali di alto grado, anche dei ministeri degli Interni e delle Emergenze, che rispondono della salvaguardia della Zona. Come fanno notare gli accompagnatori, non di rado nei gruppi che vengono fermati non si trova nessuno di rango inferiore a maggiore di polizia.
A Cernobyl vivono i lavoratori della centrale nucleare e delle altre imprese della zona di spopolamento. È una piccola cittadina, il settore privato è quasi del tutto abbandonato, c’è tanta spazzatura, praticamente tutta la popolazione locale è vestita con tute mimetiche. Dopo la fermata, gli organizzatori avvisano: «Non uscite dai limiti del cortile, per Cernobyl gira una pattuglia. Tutti coloro che sono senza il permesso speciale per trovarsi qui vengono rinchiusi in cella d’isolamento». Evidentemente è questo il motivo dell’originale moda delle tute mimetiche.
Secondo la norme sanitarie, qui ci si può stare soltanto quattro giorni alla settimana. Eppure i non numerosi abitanti dei villaggi della zona (ne sono rimasti circa trecento) a tali norme non prestano particolare attenzione. Inoltre si offendono molto quando li chiamano gli “autoinquilini”, perché loro vivono nella loro terra natia.
Alcuni anni or sono in questi villaggi era venuto il presidente Juščenko e a uno degli abitanti aveva persino regalato il suo telefono cellulare. Ora qui si scherza sul fatto che il possessore del “telefono presidenziale” abbia una linea diretta con il capo dello stato e possa lamentarsi direttamente con lui, in caso che qualche cosa vada storto.
L’informazione che “qui è categoricamente proibito pescare” è smentita con disinvoltura dalla presenza di due pescatori locali su una barchetta. Inoltre, sebbene qui il taglio del bosco sia ufficialmente proibito, quasi di continuo lungo la strada si possono vedere ammassi di legname, accanto ai quali passano macchine cariche di qualcosa. E sebbene le autorità ufficiali siano a conoscenza di simili infrazioni, difficilmente viene fatto qualcosa per evitarle.
Si racconta di come in primavera fosse stata fermata una macchina con mezza tonnellata di “pesce di Cernobyl”; quando esibirono i documenti, risultò che uno dei fermati fosse il proprietario di alcune bancarelle al mercato Obolon’ di Kiev.
I turisti vengono portati sul ponte del fiume Pripjat’, non lontano dall’ex villaggio di Paryševo. Da lì si apre una vista magnifica, sullo stesso fiume e sul bosco circostante, in mezzo al quale si scorgono tutti i possibili tipi di costruzioni arrugginite. E lontano all’orizzonte si scorge la stessa centrale di Cernobyl in tutta la sua sinistra magnificenza.
Quando con l’escursione si arriva alla zona dei
In un asilo abbandonato in uno dei villaggi – desolazione, vecchi giocattoli sovietici, il soffitto ammuffito e il trillare dei dosimetri. Alle pareti sono ancora appesi i vecchi pannelli espositivi, all’ingresso una corona funebre.
Agli ingressi della centrale nucleare di Cernobyl mettono in guardia che è vietato fare riprese, il quarto reattore lo si può fotografare solamente da uno scorcio prestabilito. Nel locale per le visite, dove si trova il plastico del reattore con tutte le sue parti distrutte, la guida racconta i dettagli dell’incidente.
Il punto di destinazione principale si trova a tre chilometri dalla centrale di Cernobyl: Pripjat’, la città abbandonata dei lavoratori dell’atomo. Le betulle cresciute attraverso l’asfalto, i piani crollati delle scuole, i ghiaccioli sui cavi spezzati nell’hotel, i giornali ingialliti del 25 aprile 1986, i pianoforti negli appartamenti vuoti, maschere antigas per bambini, l’eco delle gocce che cadono nella palestra deserta, le felci nella mensa scolastica, i nomi sugli scaffali dell’asilo di bambini che da tempo hanno ormai abbandonato questi luoghi.
Dopo l’incidente, gli scienziati lavorarono ancora per qualche anno su come ripopolare la città, e soltanto nel 1989 divenne loro chiaro che questo era impossibile.
Nella città c’è molta spazzatura moderna: bottiglie vuote di birra e di vodka, pacchetti di sigarette, contenitori di succo di frutta. Per l’anniversario di Cernobyl solo soliti arrivare qui alcune migliaia di ex abitanti, i quali non sempre lasciano pulito dopo il loro passaggio. Capitano anche i turisti illegali, amanti delle vacanze estreme.
Oltretutto, Pripjat’ è visitata dagli sciacalli, e i loro camion stracarichi di rottami di metallo radioattivo riescono tranquillamente a passare attraverso alcuni punti di controllo. La maggioranza delle finestre spaccate e l’assenza dei tombini di canalizzazione sono una conseguenza delle visite dei cacciatori di metallo. I turisti hanno l’impressione che queste distruzioni siano state causate dall’esplosione di Cernobyl.
I luoghi più gettonati di Pripjat’ durante le escursioni sono l’hotel, il palazzo della cultura, la piscina, la ruota delle giostre, le scuole e gli asili, la banchina e la stazione di polizia. Il destino della famosa ruota fu quello di non girare mai, la sua inaugurazione era infatti stata prevista per il 1° maggio del 1986. Le cabine di plastica gialla paiono ancor oggi come nuove. La guida racconta a dei turisti americani creduloni che ogni anno lui sale sulla ruota e dipinge tutte le cabine, guadagnando 100 dollari per ognuna.
Il muschio è la sostanza più radioattiva a Pripjat’, e gli accompagnatori raccomandano insistentemente di non camminarci sopra. Nondimeno, una turista in estate si è distesa ad abbronzarsi su questo muschio. Da qualche parte aveva letto che l’abbronzatura in presenza di radiazioni riesce meglio e si conserva più a lungo.
I turisti vengono avvertiti del possibile incontro con i cinghiali e del fatto che, se non si mostra loro aggressività, essi non attaccano. Si registrò un caso in cui uno dei gruppi s’imbatté a Pripjat’ in un branco di cani inselvatichiti, dai quali ci si dovette nascondere dentro le macchine.
Come risultato dell’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl nell’ambiente circostante si riversarono molti elementi radioattivi. I più significativi dal punto di vista radiologico sono: lo iodio-131 (periodo di dimezzamento – 8,04 giorni), il cesio-137 (30,1 anni), lo stronzio-90 (28,8 anni), il plutonio-239 (24.000 anni), il plutonio-240 (6.540 anni), il plutonio-241 (14,4 anni) e l’americio-241 (432,2 anni).
Oggi il contributo fondamentale (più del 90%) nella dose d’irradiazione delle persone che vivono nei territori contaminati è portato dal cesio-137. E dunque una frequentazione giustificata della zona si può considerare solamente quella per interesse professionale. Perché le condizioni di Cernobyl non si ripristinano certo artificialmente.
La radiofobia che si era osservata nei primi anni dopo l’incidente sta gradualmente passando. Tuttavia sono come prima frequenti i casi della cosiddetta “sindrome da paesaggio”, quando le persone trasferite dalle zone contaminate in altre regioni in case nuove con le vaccherie, la fornitura di gas e acqua nonostante tutto ritornano nei loro villaggi abbandonati.
Nei nuovi luoghi loro si sentono male, si ammalano anche, ma basta ritornare – e tutto torna bellissimo: seminano, pascolano, nessun malanno. L’ordinamento patriarcale, la psicologia formatasi nell’andare dei secoli non permettono loro di staccarsi dalla propria terra.
Il tema di Cernobyl viene spesso e volentieri sfruttato. La gente a poco a poco si dimentica dell’incidente (sarebbe anche un bene, se non se ne dimenticasse però lo stato), ma ogni anno in occasione dell’anniversario comincia il trambusto. Corrono voci che da qualche parte ci sono state delle perdite, delle infiltrazioni ecc. Anche se ufficialmente viene smentito.
Secondo Anatolij Seminoga – direttore del Comitato della rada ucraina per le politiche ecologiche e la liquidazione delle conseguenze di Cernobyl – i problemi fondamentali rimangono la sicurezza ambientale, la costruzione di una copertura sopra il reattore e lo stoccaggio delle scorie nucleari, nonché la protezione sociale dei cernobyliani.
In molti territori contaminati come in precedenza ci vive la gente, e ora sorge il problema di come ristabilire il lavoro in queste zone. A Kiev pensano a come cominciare a coltivare sulle terre contaminate colture agricole che “prendono pochissime radiazioni”.
Un’attenzione speciale viene rivolta al destino degli abitanti di Slavutič – la città-satellite nella quale vivono 26 mila persone che lavorano alla centrale di Cernobyl. Slavutič, costruita nel mezzo della regione di Černigov, amministrativamente dipende dalla regione di Kiev, e per arrivarci dalla centrale di Cernobyl bisogna passare attraverso
Gli impiegati della centrale che vivono a Slavutič devono passare quattro volte al giorno il controllo doganale e di frontiera. Il progetto bielorusso-ucraino per la semplificazione di questi transiti è pronto da tempo, ma i capi di stato non trovano il tempo di metterlo in atto.
Ma il problema principale degli abitanti di Slavutič per il futuro e che con la chiusura della centrale rimarranno disoccupati. Come affrontare questo problema non è ancora stato deciso.
Per dismettere la centrale ci vogliono 100 anni.
In primavera è stato effettuato lo scaricamento dell’ultimo assemblaggio di combustibile dal terzo reattore della centrale di Cernobyl, è stato aperto l’impianto di avviamento “Vektor” per l’interramento in sicurezza delle scorie, il primo da quando l’Ucraina è indipendente.
In seguito all’esplosione del quarto reattore, alla centrale di Cernobyl rimase una gran massa di scorie; tra di esse non solo combustibile trasformato, ma anche combustile nucleare fresco. Nel 2000, il presidente Kučma ordinò la chiusura della centrale e la messa fuori servizio dell’allora rimasto in funzione terzo reattore. Ci son voluti sette anni e mezzo soltanto per lo scaricamento del combustibile.
Il combustibile nucleare trasformato è stato scaricato in un deposito umido temporaneo. La prossima tappa fondamentale sarà quella di costruire un nuovo deposito, che si pianifica di mettere in funzione nella prima metà del 2013.
Ora alla centrale di Cernobyl va fatta la conservazione degli impianti, i quali ovviamente sono anch’essi fonte di radiazioni. Dopodiché bisognerà resistere per 80 anni affinché trascorra il periodo di dimezzamento degli elementi radioattivi principali – e solo allora si potrà iniziare lo smantellamento degli impianti, e la centrale non ci sarà più. Rimarranno solo le scorie che verranno sotterrate lì, ma questo avverrà quando altri saranno in vita.
C’è inoltre il sarcofago, per il quale va costruito il cosiddetto “confinement” – la copertura, l’involucro di protezione. I lavori di demarcazione delle future fondamenta sono già stati iniziati dalla compagnia francese Novarka. Per ottenere tutte le informazioni sulle misure del sarcofago esistente è stata effettuata una scannerizzazione tridimensionale del territorio intorno all’impianto. L’involucro di protezione intendono costruirlo in 53 mesi (a partire da settembre 2009). Al momento della sottoscrizione del contratto il costo dei lavori era di 505 milioni di dollari, che si tratta della sedicesima parte di quello che l’Ucraina ha già speso per la liquidazione delle conseguenze di Cernobyl.
Data: 27.04.2010
Nessun commento:
Posta un commento