Autore: E. Prichod'ko
Luogo: Zlynka
Data: 25.04.1991
Fonte: «Znamja» (Zlynka), edizione speciale «La Cernobyl' russa»
Traduzione: S.F.
Автор: Е. Приходько
Место: Злынка
Дата: 25.04.1991 г.
Источник: «Знамя» (Злынка), спецвыпуск «Российский Чернобыль»
Перевод: С.Ф.
Sotto il segno della sventura è andato a finire il villaggio di Dobrodeevka. Un posto bellissimo, salubre, di villeggiatura. Funghi e frutti di bosco a iosa. Da viverci e gioirne, se non fosse stato per la folata di isotopi che ha coperto questi luoghi dopo la tragedia di Cernobyl. E per quanto sia doloroso, per quanto sia triste, i suoi abitanti saranno in un modo o nell’altro costretti ad abbandonare la loro terra natia. L’unica cosa che non è ancora chiara è: quando? Perché, nonostante che il trasferimento sia già stato pianificato – nella provincia di Počep, tra i due villaggi di Strigovo e Nel’žiči, dove si è stabilito di costruire le nuove abitazioni per la gente di Dobrodeevka –, i lavori non sono in realtà ancora cominciati. Eppure era stata programmata l’edificazione di 300 case. Quanto deve aspettare la gente? Quanto deve penare sotto il peso della croce di Cernobyl? Così, senz’aspettare il trasferimento collettivo, la gente ha iniziato ad andarsene via da sola.
Ma il tempo passa e loro ritornano. Il fatto è che qui loro hanno vissuto e vi sono sepolti i loro avi, qui c’è la loro terra. E, a quanto pare, ritornano non a causa di estreme ristrettezze. Là dove si erano trasferiti, hanno ottenuto un’abitazione e un lavoro dignitoso. E tuttavia sono ritornati. Perché? Questa domanda noi l’abbiamo posta soltanto a due delle famiglie che sono ritornate dalla cosiddetta “terra straniera”: i Malochov, trasferitisi nella regione di Kaluga, e i Čertov, il cui rifugio temporaneo è stata la provincia di Vygoniči. E alla nostra domanda abbiamo ricevuto una risposta assolutamente identica:
– C’era il lavoro. Avevamo una casa. Le cose andavano male solo con l’alimentazione. Ma, come si dice, di fame certo non morivamo. Invece, lottare con la nostalgia per la nostra terra, sapere di non poter più rivedere i compaesani, gli amici – questo andava oltre le nostre forze. Il fatto che in queste terre abbiamo vissuto un’intera vita, talmente tante cose, molte delle quali portiamo nel cuore fin da quando eravamo bambini. E se proprio bisogna partire, allora va fatto soltanto insieme a tutto il kolchoz. Il trasferimento va fatto come un’unica grande famiglia lavorativa. Soltanto allora le avversità si allontaneranno da te, soltanto allora potrai di nuovo ritrovare gioia e felicità nella vita.
Questo modo di vedere le cose non appartiene solo a queste due famiglie. Ce ne siamo convinti dopo aver incontrato il deputato del Soviet rurale Vladimir Vladimirovič Pankratov.
È chiaro che per ogni singola persona il trasferimento è accompagnato da speranze di diverso tipo, ma la gente non vuole più andarsene separatamente. Ecco alcune opinioni degli abitanti di via Lesnaja. Vasilij Vasilevič Zolotarëv:
– Di andare in una zona pulita io sarei anche contento. Perché là io mi sentirei meglio, mi verrebbe voglia di correre, mi si risolleverebbe il tono vitale, mi si mitigherebbe la terribile pesantezza che porto nel cuore. Ma a chi mai servono dei pensionati senza forze? Se si deve partire, bisogna farlo tutti insieme, con la consapevolezza che il tuo kolchoz si occuperà di te, ti aiuterà nel momento del bisogno.
Vasilij Kuz’mič Dobrodej, anche lui pensionato, a questo riguardo ha invece un’opinione completamente diversa:
– Non voglio partire, che se ne vadano quelli abili al lavoro. Per noi vecchi, invece, cambiare il luogo di residenza non è certo uno scherzo. I miei figli stanno a Rjazan’ e a Saransk, – racconta Vasilij Kuz’mič, – m’invitano ad andare a stare da loro. Ma forse che là è vita, con tutta quella polvere, tutta quella fuliggine, tutto quell’inquinamento da gas di scarico da non riuscire neanche a respirare? Mentre qui è una bellezza: ti svegli al mattino e ti saluta il boschetto verde a pochi metri da casa. E poi c’è poco da fare, su questa terra sei nato, e su questa dovrai morire.
Ecco, con questi pensieri e con questi umori vive oggi il nostro villaggio. E non sono certo pensieri gioiosi. Ma la gente non si lascia andare. Al kolchoz è in corso la semina a pieno ritmo. I kolchoziani lavorano e nei propri appezzamenti vangano gli orticelli e le aiuole. E la vita qui scorre quieta, regolare, come se non ci fossero le radiazioni, come se tutto fosse tranquillo. Ma è davvero tranquillo?
Luogo: Zlynka
Data: 25.04.1991
Fonte: «Znamja» (Zlynka), edizione speciale «La Cernobyl' russa»
Traduzione: S.F.
Автор: Е. Приходько
Место: Злынка
Дата: 25.04.1991 г.
Источник: «Знамя» (Злынка), спецвыпуск «Российский Чернобыль»
Перевод: С.Ф.
LA VITA CONTINUA. NELL’ANIMA PERÒ…
Sotto il segno della sventura è andato a finire il villaggio di Dobrodeevka. Un posto bellissimo, salubre, di villeggiatura. Funghi e frutti di bosco a iosa. Da viverci e gioirne, se non fosse stato per la folata di isotopi che ha coperto questi luoghi dopo la tragedia di Cernobyl. E per quanto sia doloroso, per quanto sia triste, i suoi abitanti saranno in un modo o nell’altro costretti ad abbandonare la loro terra natia. L’unica cosa che non è ancora chiara è: quando? Perché, nonostante che il trasferimento sia già stato pianificato – nella provincia di Počep, tra i due villaggi di Strigovo e Nel’žiči, dove si è stabilito di costruire le nuove abitazioni per la gente di Dobrodeevka –, i lavori non sono in realtà ancora cominciati. Eppure era stata programmata l’edificazione di 300 case. Quanto deve aspettare la gente? Quanto deve penare sotto il peso della croce di Cernobyl? Così, senz’aspettare il trasferimento collettivo, la gente ha iniziato ad andarsene via da sola.
Ma il tempo passa e loro ritornano. Il fatto è che qui loro hanno vissuto e vi sono sepolti i loro avi, qui c’è la loro terra. E, a quanto pare, ritornano non a causa di estreme ristrettezze. Là dove si erano trasferiti, hanno ottenuto un’abitazione e un lavoro dignitoso. E tuttavia sono ritornati. Perché? Questa domanda noi l’abbiamo posta soltanto a due delle famiglie che sono ritornate dalla cosiddetta “terra straniera”: i Malochov, trasferitisi nella regione di Kaluga, e i Čertov, il cui rifugio temporaneo è stata la provincia di Vygoniči. E alla nostra domanda abbiamo ricevuto una risposta assolutamente identica:
– C’era il lavoro. Avevamo una casa. Le cose andavano male solo con l’alimentazione. Ma, come si dice, di fame certo non morivamo. Invece, lottare con la nostalgia per la nostra terra, sapere di non poter più rivedere i compaesani, gli amici – questo andava oltre le nostre forze. Il fatto che in queste terre abbiamo vissuto un’intera vita, talmente tante cose, molte delle quali portiamo nel cuore fin da quando eravamo bambini. E se proprio bisogna partire, allora va fatto soltanto insieme a tutto il kolchoz. Il trasferimento va fatto come un’unica grande famiglia lavorativa. Soltanto allora le avversità si allontaneranno da te, soltanto allora potrai di nuovo ritrovare gioia e felicità nella vita.
Questo modo di vedere le cose non appartiene solo a queste due famiglie. Ce ne siamo convinti dopo aver incontrato il deputato del Soviet rurale Vladimir Vladimirovič Pankratov.
È chiaro che per ogni singola persona il trasferimento è accompagnato da speranze di diverso tipo, ma la gente non vuole più andarsene separatamente. Ecco alcune opinioni degli abitanti di via Lesnaja. Vasilij Vasilevič Zolotarëv:
– Di andare in una zona pulita io sarei anche contento. Perché là io mi sentirei meglio, mi verrebbe voglia di correre, mi si risolleverebbe il tono vitale, mi si mitigherebbe la terribile pesantezza che porto nel cuore. Ma a chi mai servono dei pensionati senza forze? Se si deve partire, bisogna farlo tutti insieme, con la consapevolezza che il tuo kolchoz si occuperà di te, ti aiuterà nel momento del bisogno.
Vasilij Kuz’mič Dobrodej, anche lui pensionato, a questo riguardo ha invece un’opinione completamente diversa:
– Non voglio partire, che se ne vadano quelli abili al lavoro. Per noi vecchi, invece, cambiare il luogo di residenza non è certo uno scherzo. I miei figli stanno a Rjazan’ e a Saransk, – racconta Vasilij Kuz’mič, – m’invitano ad andare a stare da loro. Ma forse che là è vita, con tutta quella polvere, tutta quella fuliggine, tutto quell’inquinamento da gas di scarico da non riuscire neanche a respirare? Mentre qui è una bellezza: ti svegli al mattino e ti saluta il boschetto verde a pochi metri da casa. E poi c’è poco da fare, su questa terra sei nato, e su questa dovrai morire.
Ecco, con questi pensieri e con questi umori vive oggi il nostro villaggio. E non sono certo pensieri gioiosi. Ma la gente non si lascia andare. Al kolchoz è in corso la semina a pieno ritmo. I kolchoziani lavorano e nei propri appezzamenti vangano gli orticelli e le aiuole. E la vita qui scorre quieta, regolare, come se non ci fossero le radiazioni, come se tutto fosse tranquillo. Ma è davvero tranquillo?
E. Prichod'ko
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