Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

30/10/17

CONOSCI LE LINGUE, CONOSCI I PAESI, CONOSCI LE PERSONE

Novokemp, luglio 2017


Riuscire a descrivere Novokemp è un’impresa, se non impossibile, quantomeno estremamente difficile. Fa parte di quella categoria di esperienze che solo quando la si vive in prima persona si può comprendere fino in fondo. (Un po’ come Mosca, prima tappa del nostro viaggio per un paio di giorni: mentre riguardo ora le foto mi rendo conto che non rendono assolutamente la bellezza e la grandezza della città, di sicuro non le emozioni provate nel trovarci lì.)

Estati passate in treno in giro per l’Europa in vagoni non esattamente di prima classe mi avevano preparata alle condizioni del viaggio notturno, ma quello a cui non ero abituata è stato l’essere aiutata da chiunque su quel treno ci abbia visto in difficoltà: dalla signora che mi ha spiegato come preparare il letto e dove trovare tutto l’occorrente al signore che ci ha aiutate con le nostre enormi valigie e che si è svegliato alla nostra fermata per aiutarci a portarle giù dal treno.

Arriviamo cariche di bagagli e stravolte da un viaggio in cui abbiamo dormito poco e niente tra l’emozione e l’ansia, sapendo solo che qualcuno verrà a prenderci alla stazione; le nostre mille valigie devono renderci molto riconoscibili rispetto agli altri passeggeri, e siamo accolte da Andrej, il capo del campo, e Lena, la nostra tutor, che ci viene presentata subito da Andrej come la nostra mamočka; non sbaglia nella definizione, dal momento che la sua dolcezza, l’allegria e la pazienza che ci dimostrerà ogni giorno della nostra permanenza sono quelle di una mamma. Abbiamo il tempo di farci una doccia e riposarci un po’ prima di discutere con lei delle attività che organizzeremo e di fare il tour del campo assieme agli altri volontari russi e ai vožatye, i responsabili di ogni semejka, i sette gruppi in cui verranno divisi i bambini al loro arrivo, il giorno seguente. È il primo impatto con due cose: il fatto che tutte le spiegazioni verranno fatte solo in russo, con conseguenti buchi nella nostra comprensione di alcune parti, che fortunatamente Lena provvederà sempre a riempire, ed è il primo impatto anche con il gruppo dei Patrioti, dal momento che il giro del campo si conclude in un vero e proprio accampamento di tende, dove ci viene spiegato, ci sarà una sorta di ottavo gruppo formato da giovani in divisa (lo scopo è il recupero di adolescenti problematici attraverso uno stile di vita militare, metodo piuttosto diffuso in Russia) che parteciperanno attivamente al campo, qualcosa che noi non siamo abituati a vedere. Questi ragazzi formano un’ottava semejka, per cui i bambini passeranno le mattine nei nostri laboratori mentre i capi del gruppo organizzeranno il loro kružok (circolo ricreativo) a cui il “generale” Sizov, il responsabile dei Patrioti ci invita fin dal primo giorno a partecipare, e nei pomeriggi parteciperanno ai giochi del campo. Inizialmente stupite dalla presenza di questi ragazzi che si allenano tutte le mattine e in gruppo si muovono a passo di marcia, alla fine restiamo coinvolte dalla loro allegria e dall’ambiente di stima e rispetto che si percepisce fra i membri del gruppo e verso tutte le persone del campo; più volte ci invitano alla sera a prendere un tè attorno al fuoco assieme a loro. 

Passato l’incontro con l’utilizzo passivo del russo, arriva il momento di quello attivo: alla sera partecipiamo infatti alla prima planërka, la riunione a cui partecipano tutti i kružkovody e i vožatye, in cui tutti sono chiamati a parlare della giornata, di cosa è andato bene e cosa invece male, e ad organizzare il gioco per il giorno seguente. Colte alla sprovvista dalla richiesta di dire qualcosa, ci ritroviamo a balbettare qualche frase, tra le difficoltà linguistiche e il non sapere ancora di cosa dobbiamo parlare. Il copione, per le planërki successive, migliora: ci prepariamo tutte, chi più e chi meno, qualcosa da dire, poi esordiamo con l’immancabile den’ prošël chorošo (“la giornata è andata bene”), ci dimentichiamo buona parte di quello che volevamo dire, inciampiamo in verbi che sbagliamo a coniugare e parole declinate in modo sbagliato, ma riusciamo sempre a farci capire.

Le giornate erano organizzate più o meno tutti i giorni con regolarità: al mattino c’erano i kružki, i laboratori tenuti da noi; il mio compito era tenere il corso di lingua araba. Alla fine dei primi giorni non capivo nemmeno dove stavo dalla fatica di passare dall’arabo al russo direttamente, ma passata la difficoltà del primo adattamento e la paura del trovarmi a spiegare una lingua, da sola, a dei bambini parlando in una lingua che non è la mia prima, era bellissimo vedere i bambini che venivano ad imparare, con qualche sforzo, a scrivere il loro nome in caratteri arabi e qualche semplice frase. Ancora più bello era quando il bimbo che veniva ad ogni lezione mi trovava in giro per il campo e mi salutava in arabo, tutto soddisfatto. Al pomeriggio invece c’erano giochi organizzati per tutto il campo, divisi in diverse stazioni dove noi, in coppia con un assistente russo, spiegavamo il gioco e controllavamo la loro riuscita.

Questi giochi erano sempre organizzati in base ad un tema che coinvolgeva tutta la giornata, come il giorno degli indiani o la giornata internazionale, e tutti noi dovevamo vestirci in base al tema; ogni giorno dovevamo recarci alla kostumërka, un enorme camerino pieno di abiti di tutti i tipi con cui poterti preparare alle attività. Alla sera, alternativamente, veniva organizzata una serata in discoteca nel klub oppure uno spettacolo, in genere ispirato al tema che aveva caratterizzato tutta la giornata. Quello che mi ha colpita di tutto questo è stata l’organizzazione enorme dietro ad ogni giornata; i giochi del pomeriggio erano sempre diversi e sempre perfettamente pensati, per ogni tema c’erano mille idee per i vestiti, il tutto organizzato da ragazzi giovani, intorno ai vent’anni. Indimenticabile, per me, è stata la giornata sul Signore degli Anelli, conclusasi per davvero con il nostro Frodo che gettava l’anello nel fuoco, rincorso dal nostro Gollum, dopo una giornata passata a preparare i costumi e gli oggetti dei bimbi, sempre con la colonna sonora del film che risuonava nel campo.

Ma questo è solo per fare un esempio, perché ce ne sarebbero molte altre da citare – impossibile dimenticare la giornata internazionale in cui abbiamo preso parte ad un ballo popolare russo per lo spettacolo, o la giornata della moda in cui abbiamo aiutato i patrioti a vestirsi secondo lo stile vintage per una sfilata in cui noi stesse ci siamo ritrovate ad essere modelle. Senza dimenticare, poi, il biznes igra, il gioco business, quello che probabilmente mi ha colpita di più, in cui i bambini prima guadagnavano i soldi facendo dei piccoli lavoretti che gli assistenti assegnavano loro come pulire il pavimento di una stanza, e poi li potevano spendere comprando dolci o panini oppure in attività come il centro di bellezza, il tutto sempre organizzato dagli stessi bambini.

Lavorare con i bambini è sempre un’esperienza piena di sorprese, questo lo sapevo già prima di partire, non era la prima volta che mi impegnavo a fare da assistente in un campo per bambini; lavorare con i bambini russi di Novokemp è stato davvero indescrivibile. Non dimenticherò mai quanto loro si sforzassero di aiutarmi mentre cercavo di ricordarmi parole in russo per parlare con loro (e i bimbi, alla fine, sono gli insegnanti migliori che abbia mai avuto), quanto sembrasse mi leggessero nel pensiero e le trovassero loro al posto mio, vederli partecipare a tutte le attività del campo con entusiasmo, a tutti i giochi pomeridiani e a preparare sempre spettacoli originali per le serate. Le mille domande che mi hanno fatto su qualsiasi cosa, e in “qualsiasi” rientra davvero di tutto, come la bimba che mi ha chiesto il nome di mio padre, o il bimbo che mi ha chiesto come si prepara la pizza per poi dirmi come invece la impasta lui. La loro gentilezza, la tenerezza dei comportamenti, l’affetto che mi riversavano addosso tutti i giorni, dalla mattina quando appena sveglia li incrociavo e loro mi abbracciavano per darmi il buongiorno alle mille caramelle che volevano regalarmi ogni giorno.

Dire che a Novokemp era come stare in una seconda famiglia può suonare molto come un cliché. Eppure non c’è altro modo per definire il rapporto che si era creato tra di noi: la nostra mamočka russa, Lena, che per tre settimane ci ha davvero adottate ricordandoci ogni giorno gli orari di tutte le attività a cui dovevamo partecipare e fermandosi ogni sera dopo la planërka per una seconda planërka, in cui spiegarci tutto quello a cui il nostro russo non arrivava della riunione ufficiale con tutti gli altri assistenti con gesti, mimica, qualsiasi cosa, e ce la faceva sempre. Poi c’erano le sorelle, le mie colleghe italiane che non conoscevo prima di partire e con cui alla fine del viaggio ho condiviso tantissimo, sempre pronte a venirci incontro l’una con l’altra al campo quando avevamo difficoltà con i laboratori o un qualsiasi problema. E i parenti, di vario grado, che sono stati per noi i volontari russi con cui abbiamo stretto amicizia e con cui abbiamo parlato, lavorato, festeggiato, discusso, mangiato e bevuto ogni giorno e ogni notte. Ci sono davvero mille aneddoti di storie che abbiamo condiviso, tra errori linguistici, cene russe e italiane preparateci a vicenda, la sauna russa che è davvero un’esperienza mistica, tutto quello che ho imparato sul calcio russo, le gite fuori porta e il mio entusiasmo bambinesco nel trovare opere di un mio concittadino, Giacomo Quarenghi, in mezzo alla Russia (entusiasmo supportato da Saša, l’altro capo del campo e nostra guida per quell’escursione), le albe viste e le partite di ping-pong alle sei del mattino.

Mi rendo conto che quanto scritto sembri, in effetti, il trionfo della retorica, come se andare a Novokemp fosse come andare a Disneyland, dove non puoi essere triste e non c’è niente che può andare male. Come in tutte le esperienze ci sono stati momenti difficili anche a Novokemp (anzi, ce ne sono stati già prima di partire grazie ai problemi con gli inviti per il visto, non proprio un inizio da sogno) e discussioni di vario genere, ma la verità è che alla fine di tutto il bilancio complessivo del campo mi parla di quanto, umanamente, io abbia imparato, ed è così tanto che tutto il resto davvero passa in secondo piano.

Claudia Esposito - 24 anni
Università Statale di Milano
Mediazione linguistica e culturale

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