Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

28/04/16

BELLONA WARNS THE REAL WORK AT CHERNOBYL STARTS NOW



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Today’s 30th anniversary of the Chernobyl disaster brings a silver lining with a cloud: The wreck of the No. 4 reactor that blew up during safety tests on April 26, 1986, will by the end of next year be sealed to prevent further radioactive leakage for the next 100 years.

But what happens after the shelter is put in place, Nils Bøhmer, Bellona’s executive director and nuclear physicist said from Kiev, is apparently up to Ukraine. And what Ukraine will have to swallow is a nuclear decommissioning and spent nuclear fuel storage crisis it has barely pocket change to pay for.

In the panic that followed the nightmare catastrophe – still considered the worst nuclear accident of all time – more than 600,000 “liquidators” made up of engineers, nuclear technicians, fire fighters, the Soviet Military and reservists, and many ordinary citizens, were called in to staunch the radioactive breach that reached as far as Sweden and was measurable around the world.

Something had to be done to quell its flow and hopefully extinguish the blaze of 220 tons of burning uranium melting like candle wax through the reactor’s core. They devised the notorious “sarcophagus” – a giant tomb of cement and steel weighing hundreds of tons to dump on top of the gash in the reactor left by the explosion.

Most of those who coordinated building the sarcophagus had little in the way of protective gear, mostly work clothes and a surgical cap and mask, former liquidator Leonid Lvov told Bellona in an account that is hardly unfamiliar. “No real protection at all,” Lvov said.

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Data: 26.04.2016
Fonte: www.bellona.org

 

CHERNOBYL, TROVATE TRACCE RADIOATTIVE NEL LATTE IN BIELORUSSIA


Chernobyl, trovate tracce radioattive nel latte in Bielorussia



A 30 anni dal disastro di Chernobyl, un test di laboratorio ha accertato la presenza di residui radioattivi nel latte in Bielorussia. Secondo gli scienziati, il risultato è da imputare proprio all'incidente verificatosi il 26 aprile del 1986. I livelli di isotopi radioattivi sono stati certificati di dieci volte superiori al limite nazionale stabilito per la sicurezza alimentare.

Data: 25.04.2016
Fonte: www.tgcom24

VAMPA MORTALE - СМЕРТЕЛЬНАЯ ВСПЫШКА

 
Autore: Alёna Eliseeva
Titolo: “Vampa mortale”
Tratto dalla mostra: “Cernobyl - 25 anni dopo
Ente: Scuola d'arte per bambini di Klincy
Data: 2011

Автор: Алёна Елисеева
Название: “Смертельная вспышка”
Из выставки: “Чернобыль - 25 лет спустя”
Учреждение: Детская художественная школа г. Клинцы
Дата: 2011 г.

27/04/16

NON CANTA AL MATTINO IL CORNO… - НЕ ПОЁТ РОЖОК ПОУТРУ

Autore: V. Tolkačëv
Luogo: Čachov (Klincy)
Data: 25.04.1991
Fonte: «Znamja» (Zlynka), edizione speciale «La Cernobyl' russa»
Traduzione: S.F.

Автор: В. Толкачёв
Место: Чахов (Клинцовский р-н)
Дата: 25.04.1991 г.
Источник: «Знамя» (Злынка), спецвыпуск «Российский Чернобыль»
Перевод: С.Ф.




NON CANTA AL MATTINO IL CORNO…

Nel sobborgo di Čachov vivo ormai da 27 anni. E non conosco posti più belli. Le robuste casette di legno grezzo le hanno costruite gli uomini, e lungo le vie, in due file, sono cresciuti i salici e i pioppi. E i giardini, quando fioriscono, non ci si stanca mai di guardarli. E poi c’è il fiume Iput’, lì a portata di mano. Intere giornate vi sguazzavano i bambini, e verso sera s’univano anche gli adulti poiché nella sua acqua trasparente v’era molto pesce.

La sciagura venne all’improvviso, ma noi non lo venimmo a sapere subito. Mi ricordo bene come cinque anni fa i bambini facevano il bagno nel fiume contaminato dai radionuclidi. E poi anche gli adulti, là nel campo, falciavano l’erba per il sovchoz e per le loro mucche. Non avevamo alcuna informazione sulla contaminazione radioattiva. Correvano diverse voci, ma noi cercavano di convincerci che non c’era motivo di preoccuparsi.

In seguito lo si venne a sapere: nella golena del fiume, dove si preparava il fieno, il fondo gamma superava i 46 curie, e nel sobborgo ce n’erano 29. Temendo per la salute dei bambini, la maggior parte degli abitanti si trasferì in un’altra località.

Prima capitava, non di rado, che i pastori cominciassero la loro giornata di lavoro suonando il corno. Ogni famiglia aveva una mucca. Ora pare che nel sobborgo si sia spenta ogni forma di vita. E il tetro quadro è completato dai portoni scardinati, dalle finestre e porte sfondate nelle case abbandonate.

Delle 42 famiglie che vivevano a Čachov ne sono rimaste solo quattro. Le case vuote cominciarono a essere visitate da sciacalli senza scrupoli. Rubavano tutto quello che nella fretta gli abitanti che si erano trasferiti non avevano portato via con sé. La polizia a volte veniva, ma i ladri alla fine non furono trovati.

A essere sincero, più di tutto sono in pensiero per la mia figlia minore. Lei va a scuola a Veprin. E non soltanto perché deve farsi, con qualsiasi tempo, quattro chilometri per arrivarci. Lei è l’unica bambina rimasta nel sobborgo. Ira vorrebbe frequentare dei suoi coetanei, qui non c’è nessuno con cui giocare, per questo passa la maggior parte del tempo davanti al televisore.

Abbiamo a Čachov anche il nostro chiosco di alimentari. Ma, ahimè, non apre tanto spesso, solo quando portano il pane o della carne. Quando le strade sono impraticabili è sempre serrato col lucchetto, e allora più di tutti ne soffrono i pensionati. Andare fino a Veprin è lontano, e così ci contentiamo delle patate. Quelle che abbiamo coltivato nella terra contaminata, quelle “pulite” per ora non ci resta che sognarcele.

La questione del trasferimento è la più scottante nella nostra famiglia. Lo devo ammettere sinceramente, dopo la sventura da cui fummo colpiti, di trasferirmi in un’ altra località non ne avevo voglia. Mi rimanevano tre anni alla pensione e metter su casa in un posto nuovo non era facile. La salute però va peggiorando. Le fuoruscite di sangue dal naso si sono fatte più frequenti, mi fa male la testa. A dir la verità, io ho anche tentato di trasferirmi in un'altra località. E tuttavia tutti i miei tentativi non sono andati a buon fine.

A Klincy volevo comprare una casa. Ma i proprietari sparavano di quei prezzi che mi toccò ritornarmene a mani vuote. Andai anche nella regione di Kaliningrad e a Trubčevsk. Là mi offrivano un lavoro secondo la mia specializzazione. Ma di nuovo nessuno mi propose una casa in cui vivere.

Sono stato anche in provincia di Počep. Nel villaggio di Dmitrovo. Il presidente del kolchoz non sapeva dove alloggiarmi. Certo, di infermieri professionali lui ne ha bisogno e la cosa si sarebbe risolta in un attimo. Ma il kolchoz è in perdita e solo quest’anno s’inizieranno a costruire delle abitazioni aziendali.

Ho sentito che i costruttori della MPMK-2 di Klincy stanno costruendo delle abitazioni per le persone trasferite nella regione di Brjansk, in provincia di Mglin. Magari gli abitanti di Čachov rimasti verranno trasferiti tutti là? Tutti sono d’accordo ormai a partire, ma disposizioni ufficiali in questo senso non ne sono ancora arrivate. Non ci resta che aspettare e sperare non si sa ben cosa.

V. Tolkačëv
Responsabile del punto medico di Veprin

PRIPJAT’ (1970 – 27/04/1986)




La vita della città di Pripjat’ è durata 16 anni.



Costruita nel 1970 sulle rive del fiume omonimo per ospitare i lavoratori della centrale nucleare di Černobyl’ (che si trova a pochi km di distanza, dall’altra parte del bacino acquifero), nel 1986 Pripjat’ contava già 50.000 abitanti ed era una delle cittadine più avanzate e con un migliore tenore di vita di tutta l’Urss, popolata per lo più da giovani famiglie istruite: ingegneri, tecnici, insegnanti. Insomma, una piccola città modello del radioso avvenire sovietico.



Il 27 aprile 1986, un giorno dopo l’incidente nucleare, l’intera popolazione di Pripjat’ venne evacuata con una lunga fila di autobus e non vi fece più ritorno. Nell’annuncio radiofonico dato alla cittadinanza, l’evacuazione sarebbe dovuta essere “temporanea”, per cui alle famiglie fu permesso di prendere con sé solamente i documenti e lo stretto necessario.



A distanza di 30 anni, Pripjat’ è la città fantasma più grande del mondo. Palazzi, scuole, alberghi, tutto è rimasto al proprio posto, senza più traccia di vita. Vie e piazze sono ormai invase dalla vegetazione spontanea. Il parco giochi con la grande ruota arrugginita è l’immagine più pregnante della brusca interruzione della vita e delle speranze di Pripjat’: le attrazioni erano nuove fiammanti, avrebbero dovuto essere inaugurate qualche giorno dopo l’incidente, durante le feste di Maggio del 1986.



Oggi Pripjat’ è frequentata solo da spedizioni scientifiche e dal cosiddetto “turismo di Černobyl’”, escursioni strettamente guidate da agenzie di Kiev nelle zone evacuate. Mentre i lavoratori della centrale di Černobyl’ rimasti dopo l’incidente sono stati spostati nella cittadina di Slavutič, a 50 km, fondata appositamente nell’autunno del 1986.



Oltre agli abitanti di Pripjat’, nella primavera e nell’estate del 1986 a causa dell’elevata contaminazione furono evacuate circa altre 70.000 persone dai territori circostanti la centrale nucleare di Černobyl’. Venne infatti istituita la “zona dei 30 km” intorno alla centrale, detta anche “zona d’esclusione” o “zona d’interdizione”, che arriva a includere anche foreste e alcuni villaggi della Bielorussia del Sud.



Negli anni successivi (a volte con colpevole ritardo), vennero inoltre evacuati, abbandonati, e talvolta interrati centinaia di villaggi in Ucraina, Bielorussia e Russia, anche 100-200 km lontano dalla centrale, dovunque il livello di radiazioni fosse superiore ai 40 curie/km²: ricordiamo Svjatsk in Russia, Lelëv in Ucraina, Krjuki in Bielorussia…



Oltre che dalle zone a “trasferimento” obbligatorio, la gente poteva scegliere, almeno in teoria non sempre in pratica, di essere trasferita in zone “pulite” dalle proprie residenze in “zona a trasferimento facoltativo”. La vita dei “černobyliani” trasferiti si è quasi sempre rivelata piena di difficoltà, rimpianti e spaesamento, spesso confinati in un’esistenza anonima e alienante nelle periferie delle grandi città. Per questo alcune persone, soprattutto anziani legati alla loro terra, hanno preferito fare ritorno ai loro villaggi natii, nonostante il divieto e le elevate radiazioni.



In generale, a causa della catastrofe nucleare di Černobyl’ sono state trasferite circa 350.000 persone tra Russia, Bielorussia e Ucraina.

Testo tratto dalla mostra fotografica La vita contaminata del circolo Legambiente Il brutto anatroccolo.


THE DOOR - LA PORTA

Cortometraggio del 2008 della regista irlandese Juanita Wilson ispirato al brano La porta da Preghiera per Černobyl’ di Svetlana Aleksievič. In russo sottotitolato in inglese.


26/04/16

AFTER CHERNOBYL'S RADIOACTIVE RAINS




The device Sizov used to detect radiation in Novozybkov

Thirty years and more than 100 miles separate the residents of Novozybkov from Chernobyl's disastrous nuclear accident, but they continue to feel its effects decades after the first deadly rains poured down on their sleepy town

 

At about 3pm on the last Monday in April 1986, a mass of black clouds unleashed a sudden downpour on the quiet western Russian town of Novozybkov, sending participants in a rehearsal for that year’s May Day parade running for cover. 

The wind was strong, and the rain an unusually torrential, 40-minute downpour, but Sergei Sizov, a professor at the local teacher-training college, thought nothing of it until delivering a lesson the next day on one of the more outlandish responsibilities of educators in the Soviet Union – detecting and responding to nuclear and chemical attack. 

“The class was called 'nuclear and chemical reconnaissance’, and it basically involved showing [students] how to use a military grade Geiger counter,” he said. “It was just something everyone was meant to know, like stripping a Kalashnikov.” 

But instead of registering the expected trace of background radiation, the dial surged to levels Mr Sizov had only seen in text books about nuclear attack. Alarmed and confused, he immediately called the local civil protection headquarters. 

“All they said was 'that’s impossible’. They didn’t know anything about it.”
As it turned out, it was worse than possible. Three days earlier, on Saturday, April 26, 1986, the nuclear power station at Chernobyl, just over 100 miles away in what is now Ukraine, had exploded in one of the worst nuclear accidents in history. That Monday’s rainstorm was exactly the kind of disaster that Mr Sizov’s training had been designed to detect. 

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Data: 14.04.2016
Fonte: www.s.telegraph.co.uk