Novokemp, luglio 2017
Il
primo giorno mi è sembrato di essere in
una dimensione del tutto surreale.
Dopo
un viaggio in treno di ore infinite e visi sorridenti e generosi, arrivai in
una piccola stazione ferroviaria, all’alba delle cinque e mezzo del mattino.
Un
sole russo mi stava già accogliendo con calore, l’aria leggera mi diede qualche
brivido di tensione ed entusiasmo.
Ero
a pochi minuti dal lager, lo sentivo; ero a pochi passi da tre persone che con
un sorriso assonnato mi diedero il benvenuto e mi caricarono su un furgone
rosso.
Era
fatta, ero lì. Dovevo dare il meglio di me.
Tre
settimane dopo, il furgone rosso mi riportò alla stessa stazione, nel mio cuore
la tristezza e la malinconia mi fecero compagnia per tutto il viaggio.
Le
solite ore infinite, le solite persone inaspettatamente disponibili che si sono
preoccupate di prepararmi il letto sul vagone e di sistemarmi due pesantissimi
bagagli.
Salutai
la mia mamma russa con un bacio che trafisse il vetro spesso del treno, e
tornai a Mosca.
La
vita al campo era magica. Ogni giorno bisognava travestirsi da qualche strano
personaggio, per far divertire piccoli e grandi bambini russi che non
chiedevano altro che ridere insieme. Ogni giorno era una sfida nuova, con orari
che magari stavano un po’ stretti, con le parole giuste che puntualmente non
venivano in mente, con il caldo e con la pioggia, con la cucina perennemente a
base di patate, con il sonno che non si decideva a scomparire nemmeno dopo due
caffè e con le chiacchierate serali che andavano avanti fino all’alba.
Non
mi sono mai sentita sola o triste, perché sempre avevo intorno a me persone
pazienti, disponibili, simpatiche, interessate al mio mondo come io lo ero al
loro, affascinate dalla cultura diversa che non rappresentò mai un ostacolo; al
contrario fu un formidabile punto di forza.
I
canti e i balli mi davano il buongiorno al mattino, e la sera mi cullavano;
la musica era sempre presente per
infondere gioia ed energia, perché erano queste due sensazioni quelle di cui
era intriso Novokemp: gioia ed energia.
I
bambini mi hanno lasciato un buchino nel cuore; non so cosa darei per poterli
stringere a me ancora una volta, per chiacchierare del più e del meno, per
guardarli correre veloci verso la mensa o ballare sotto il palco pieni di
entusiasmo.
Bisogna
partecipare a questa iniziativa perché riempie il cuore di ossigeno puro,
genuino e vitale. Costringe a pensare molto a quello che c’è di meraviglioso e
di terribile intorno a noi, fa riflettere, e penso proprio che ci sia bisogno
di certe riflessioni in questo mondo.
Si
regala tanto e si riceve tanto.
Si
vive tanto e si vive bene.
Laura Simonassi (21 anni)
Università statale di Milano
Mediazione linguistica e culturale
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