Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

14/11/17

IL MIO PRIMO VERO CONTATTO CON L’UNIVERSO RUSSO

Novokemp, agosto 2017


Il 6 agosto ci siamo recate a Mosca, dove abbiamo trascorso circa un giorno e mezzo. Il 7 agosto alle ore 20:20 circa abbiamo preso un treno dalla stazione Kievskaja di Mosca che ci avrebbe portate ad Uneča.

Riguardo alle condizioni del treno eravamo già state informate ma lo stupore è stato comunque grande: non c’erano scompartimenti chiusi e lo spazio per le nostre enormi valigie era poco. Le lenzuola erano in un sacchetto sigillato quindi pulite. Pulito non era affatto il bagno, ma non era un grosso problema. Eravamo elettrizzate dal viaggio in quel treno e per questo un po’ troppo chiassose forse, gli altri passeggeri non potevano fare a meno di guardarci. Una volta spente le luci, ci siamo sdraiate ma per quanto mi riguarda sono riuscita a dormire forse un’ora. Mi sono però sentita molto sicura perché passava in continuazione la polizia a controllare che gli oggetti di valore non fossero in vista.

A Uneča siamo arrivate alle 5 di mattina e ad aspettarci c’erano Katja e Andrej. La prima impressione dopo aver messo piede fuori dal treno è stata: “Dove sono finita?”. La stanchezza e il brutto tempo non hanno contribuito.  Una volta arrivate al campo ci siamo sistemate nelle stanze (letti comodi e lenzuola pulite) e abbiamo dormito fino alle 11 circa.  Dopodiché Katja ci ha fatto fare un giro del campo; ricordo di essermi stupita della sua vastità. Siamo poi andate in mensa a mangiare e qui apro una parentesi sul famoso cibo della stolovaja riguardo al quale eravamo già state avvisate/spaventate dalle ragazze del terzo turno, incontrate per caso a Mosca.

Premetto che non ho mai avuto grossi problemi con il cibo, specialmente quello non italiano che, anzi, apprezzo molto. A differenza di altre ragazze, che spesso e volentieri lasciavano il piatto pieno, io, a parte qualcosa, ho sempre mangiato tutto. Devo ammettere però che dopo 20 giorni, non solo non mi ci sono riuscita ad abituare ma ne ero anche po’ stufa. Alcuni piatti erano migliori di altri ma tutto sommato erano sempre le stesse cose: pollo/kolbasa (salame), pasta scondita e patate. Peccato non ci fosse frutta in mensa ma riconosco sia una tradizione prettamente italiana quella di terminare il pasto con un frutto. Mi ha stupito molto che i pasti fossero velocissimi, massimo 15 minuti; mi sarebbe piaciuto mangiare con più calma ma ci si adatta.

Ritornando al primo giorno, dopo pranzo abbiamo approfittato della tichij čas (ora del silenzio) per riposare ancora un po’ e poi ci siamo recate all'alzabandiera e alla presentazione delle semejki (famigliuole).

Il secondo giorno abbiamo spiegato a Katja in concreto che cosa volessimo proporre ai bambini come attività, ci ha aiutato a definire le idee e poi ci ha fornito il materiale necessario. Io e Carol avevamo deciso di organizzare un’attività in cui i bambini potessero realizzare dei braccialetti dell’amicizia da regalarsi l’un l’altro. La nostra postazione era al “Kafe popugaj” insieme a Valeria e Giulia che però svolgevano un’attività di un altro tipo.

Devo dire che al nostro kružok (corso, laboratorio) c’è sempre stata un’affluenza importante, soprattutto di bambini della prima e seconda casetta, ma non mancavano anche i più grandi. Durante l’attività, i bambini si sono sempre comportati educatamente e in modo rispettoso riguardo al materiale offerto loro. Quasi nessuno ha mai fatto capricci e molti di loro, soprattutto le femmine, si sono dimostrati abbastanza creativi. Sin da subito ho instaurato con loro un rapporto bellissimo e speciale, non dimenticherò mai i loro sorrisi e la loro gentilezza nel rivolgersi a noi che la lingua la parlavamo poco. Ho imparato molto da loro e mi piaceva ascoltare le loro storie: che cosa volessero fare da grandi, dove fossero stati in viaggio ecc. Ho legato in modo particolare con un bambino, Rostislav, che era lì grazie ai finanziamenti della Chiesa valdese. Mi ha raccontato di come si sia dovuto trasferire a Novozybkov dall’Ucraina due anni fa a causa della guerra; mi piacerebbe poter riuscire a mettermi in contatto con lui, magari attraverso i genitori.

Con l’aiuto di Katja, io e Carol abbiamo poi dato un’alternativa improvvisata ai braccialetti che dopo diversi giorni iniziavano a non interessare più di tanto: prima gli abbiamo fatto realizzare delle maschere veneziane da indossare e poi con delle bottiglie di plastica gli abbiamo fatto creare dei portapenne/contenitori per caramelle. Siamo però dovute ritornare sui braccialetti perché durante gli altri lavoretti esprimevano il desiderio di tornare all’attività iniziale.

Nei giorni di brutto tempo o i laboratori non si facevano oppure si facevano indoor ma non era la stessa cosa; in generale non si dovevano fare tutti i giorni, su un totale di 20 giorni saranno stati al massimo 10. Per fortuna ha fatto brutto tempo per 4/5 giorni al massimo perché, essendo gli spazi interni in generale molto piccoli, le attività indoor rendevano molto poco.

Per quanto riguarda le attività pomeridiane, esse erano organizzate e gestite dai ragazzi russi e ciascuna di noi volontarie veniva associata ad una postazione. Gli animatori ci spronavano a spiegare noi ai bambini come svolgere il gioco e ci aiutavano se eravamo in difficoltà. Alcuni giorni erano a tema e quindi anche le attività. I temi sono stati la Russia, i virus, la moda, i paesi del mondo, gli indiani d’America, il Natale e Capodanno e altri.

Alcuni giorni ci siamo assentate dal campo per fare delle piccole gite: a Suraž (e dintorni) durante una festa popolare del miele e durante una festa patriottica; a Novozybkov, dove abbiamo fatto un giro della città e abbiamo visitato il centro Radimici. Ho trovato quest’ultimo molto interessante, il lavoro che ognuno di loro svolge nel centro ogni giorno è davvero lodevole. Sono in generale molto contenta di essere riuscita a vedere qualche scorcio della vera Russia e se abbiamo avuto la possibilità di uscire spesso dal campo credo sia stato grazie soprattutto a Katja. Mi ha fatto specie come in generale, nonostante le modeste condizioni economiche, siano tutti molto dignitosi e sereni.

Ritornando alle attività del campo, uno spazio particolare meritano le attività serali. Quando c’erano le giornate a tema, spesso, c’erano serate che riprendevano il tema con spettacolini o concerti. Il resto delle sere veniva invece allestita la discoteca che ho letteralmente amato: non c’è niente di più bello che ballare senza pensieri con i bambini e gli animatori. Il dj Maksim è stato impeccabile, anche in alcune sere in cui si sentiva poco bene.

Dopo l’attività serale c’era l’immancabile planërka (la riunione organizzativa), inutile dire che non capivamo quasi nulla e che la pazienza di Katja nel rispiegarci poi tutto è stata fondamentale. Devo riconoscere però che è stata molto utile perché ci ha aiutato a sbloccarci e parlare davanti a tante persone senza aver paura di sbagliare. Dopo la riunione solitamente le opzioni erano due: o tornare al nostro alloggio e rimanere fuori a chiacchierare oppure andare alla vigvam (tenda degli indiani) a cantare intorno al fuoco. Due sere abbiamo avuto la fortuna di assaggiare i šašlyki e altre due sere abbiamo ricambiato cucinando risotto e pizza, sia noi che loro abbiamo molto apprezzato.

Al ritorno abbiamo ripreso lo stesso treno notturno dell’andata ma, data la stanchezza accumulata, questa volta ho dormito per l’intera durata del viaggio. Una volta a Mosca abbiamo preso subito un altro treno che ci ha portate a San Pietroburgo. Da lì siamo ripartite (eccetto Giada e Jasmine) il 31 agosto mattina.

Tirando le somme non posso che affermare di essere veramente felice di aver fatto quest’esperienza, mi ha aiutato molto sia a livello linguistico sia a livello umano. Mi ricordo, prima di partire, di aver avuto diversi timori riguardo all’approccio con dei bambini senza precedenti esperienze ma poi in realtà è venuto tutto da sé, i bambini russi sono diversi dai nostri e sono veramente fantastici. Mi ricordo come il primo giorno a Mosca fossimo incapaci di formulare una frase mentre alla fine avevamo fatto notevoli progressi.

In conclusione vorrei aggiungere che con le altre ragazze mi sono trovata benissimo, però il fatto che fossimo in sette ha avuto vantaggi e svantaggi, a mio parere. È stato utile perché ci siamo aiutate molto e solitamente quando una parola non veniva a una persona ce n’era sempre un’altra a suggerirla, non ci siamo mai annoiate e non si rimaneva mai da sole. Ed è forse questo il problema: mi sarebbe piaciuto approfondire maggiormente la conoscenza dei ragazzi russi a livello personale mentre questo non è stato molto possibile perché appena qualcuno dedicava qualche attenzione in più, tutte ne erano giustamente attratte (ognuna voleva fare conversazione ecc.) e in sette contro uno non si riesce a fare una conversazione perché si tendeva a fare gruppo e parlare in italiano. L’unica soluzione a questo “problema” era aspettare che molte andassero a letto per poter rimanere in due, massimo tre, e poter conversare con i russi. Quindi un mio suggerimento, dopo essermi anche confrontata con Manuel (erano in quattro al secondo turno), è quello di dare la possibilità a meno persone di recarsi là, è tutto di guadagnato per chi va lì ma anche per loro russi che forse avrebbero avuto piacere ad approfondire un po’ di più i rapporti.

Detto questo è stata un’esperienza unica, indimenticabile e che mi piacerebbe sicuramente ripetere l’anno prossimo.


Ilaria Barluzzi (21 anni)
Università Statale di Milano
Mediazione Linguistica e Culturale


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