Novokemp, agosto 2017
Il 6 agosto ci siamo recate a Mosca,
dove abbiamo trascorso circa un giorno e mezzo. Il 7 agosto alle ore 20:20
circa abbiamo preso un treno dalla stazione Kievskaja di Mosca che ci avrebbe
portate ad Uneča.
Riguardo alle condizioni del treno
eravamo già state informate ma lo stupore è stato comunque grande: non c’erano
scompartimenti chiusi e lo spazio per le nostre enormi valigie era poco. Le
lenzuola erano in un sacchetto sigillato quindi pulite. Pulito non era affatto
il bagno, ma non era un grosso problema. Eravamo elettrizzate dal viaggio in
quel treno e per questo un po’ troppo chiassose forse, gli altri passeggeri non
potevano fare a meno di guardarci. Una volta spente le luci, ci siamo sdraiate
ma per quanto mi riguarda sono riuscita a dormire forse un’ora. Mi sono però
sentita molto sicura perché passava in continuazione la polizia a controllare
che gli oggetti di valore non fossero in vista.
A Uneča siamo arrivate alle 5 di
mattina e ad aspettarci c’erano Katja e Andrej. La prima impressione dopo aver
messo piede fuori dal treno è stata: “Dove sono finita?”. La stanchezza e il
brutto tempo non hanno contribuito. Una volta arrivate al campo ci siamo
sistemate nelle stanze (letti comodi e lenzuola pulite) e abbiamo dormito fino
alle 11 circa. Dopodiché Katja ci ha fatto fare un giro del campo;
ricordo di essermi stupita della sua vastità. Siamo poi andate in mensa a
mangiare e qui apro una parentesi sul famoso cibo della stolovaja riguardo al quale eravamo già state avvisate/spaventate
dalle ragazze del terzo turno, incontrate per caso a Mosca.
Premetto che non ho mai avuto grossi
problemi con il cibo, specialmente quello non italiano che, anzi, apprezzo
molto. A differenza di altre ragazze, che spesso e volentieri lasciavano il
piatto pieno, io, a parte qualcosa, ho sempre mangiato tutto. Devo ammettere
però che dopo 20 giorni, non solo non mi ci sono riuscita ad abituare ma ne ero
anche po’ stufa. Alcuni piatti erano migliori di altri ma tutto sommato erano
sempre le stesse cose: pollo/kolbasa
(salame), pasta scondita e patate. Peccato non ci fosse frutta in mensa ma riconosco
sia una tradizione prettamente italiana quella di terminare il pasto con un
frutto. Mi ha stupito molto che i pasti fossero velocissimi, massimo 15 minuti;
mi sarebbe piaciuto mangiare con più calma ma ci si adatta.
Ritornando al primo giorno, dopo
pranzo abbiamo approfittato della tichij
čas (ora del silenzio) per riposare ancora un po’ e poi ci siamo recate
all'alzabandiera e alla presentazione delle semejki
(famigliuole).
Il secondo giorno abbiamo spiegato a
Katja in concreto che cosa volessimo proporre ai bambini come attività, ci ha
aiutato a definire le idee e poi ci ha fornito il materiale necessario. Io
e Carol avevamo deciso di organizzare un’attività in cui i bambini potessero realizzare
dei braccialetti dell’amicizia da regalarsi l’un l’altro. La nostra postazione
era al “Kafe popugaj” insieme a Valeria e Giulia che però svolgevano
un’attività di un altro tipo.
Devo dire che al nostro kružok (corso, laboratorio) c’è sempre
stata un’affluenza importante, soprattutto di bambini della prima e seconda
casetta, ma non mancavano anche i più grandi. Durante l’attività, i bambini si
sono sempre comportati educatamente e in modo rispettoso riguardo al materiale
offerto loro. Quasi nessuno ha mai fatto capricci e molti di loro, soprattutto
le femmine, si sono dimostrati abbastanza creativi. Sin da subito ho instaurato
con loro un rapporto bellissimo e speciale, non dimenticherò mai i loro sorrisi
e la loro gentilezza nel rivolgersi a noi che la lingua la parlavamo poco. Ho
imparato molto da loro e mi piaceva ascoltare le loro storie: che cosa
volessero fare da grandi, dove fossero stati in viaggio ecc. Ho legato in modo
particolare con un bambino, Rostislav, che era lì grazie ai finanziamenti della
Chiesa valdese. Mi ha raccontato di come si sia dovuto trasferire a Novozybkov
dall’Ucraina due anni fa a causa della guerra; mi piacerebbe poter riuscire a
mettermi in contatto con lui, magari attraverso i genitori.
Con l’aiuto di Katja, io e Carol
abbiamo poi dato un’alternativa improvvisata ai braccialetti che dopo diversi
giorni iniziavano a non interessare più di tanto: prima gli abbiamo fatto
realizzare delle maschere veneziane da indossare e poi con delle bottiglie di
plastica gli abbiamo fatto creare dei portapenne/contenitori per caramelle.
Siamo però dovute ritornare sui braccialetti perché durante gli altri lavoretti
esprimevano il desiderio di tornare all’attività iniziale.
Nei giorni di brutto tempo o i
laboratori non si facevano oppure si facevano indoor ma non era la stessa cosa;
in generale non si dovevano fare tutti i giorni, su un totale di 20 giorni
saranno stati al massimo 10. Per fortuna ha fatto brutto tempo per 4/5
giorni al massimo perché, essendo gli spazi interni in generale molto piccoli,
le attività indoor rendevano molto poco.
Per quanto riguarda le attività
pomeridiane, esse erano organizzate e gestite dai ragazzi russi e ciascuna di
noi volontarie veniva associata ad una postazione. Gli animatori ci spronavano
a spiegare noi ai bambini come svolgere il gioco e ci aiutavano se eravamo in
difficoltà. Alcuni giorni erano a tema e quindi anche le attività. I temi sono
stati la Russia, i virus, la moda, i paesi del mondo, gli indiani d’America, il
Natale e Capodanno e altri.
Alcuni giorni ci siamo assentate dal
campo per fare delle piccole gite: a Suraž (e dintorni) durante una festa
popolare del miele e durante una festa patriottica; a Novozybkov, dove abbiamo
fatto un giro della città e abbiamo visitato il centro Radimici. Ho trovato
quest’ultimo molto interessante, il lavoro che ognuno di loro svolge nel centro
ogni giorno è davvero lodevole. Sono in generale molto contenta di essere
riuscita a vedere qualche scorcio della vera Russia e se abbiamo avuto la
possibilità di uscire spesso dal campo credo sia stato grazie soprattutto a
Katja. Mi ha fatto specie come in generale, nonostante le modeste condizioni
economiche, siano tutti molto dignitosi e sereni.
Ritornando alle attività del campo,
uno spazio particolare meritano le attività serali. Quando c’erano le giornate
a tema, spesso, c’erano serate che riprendevano il tema con spettacolini o
concerti. Il resto delle sere veniva invece allestita la discoteca che ho
letteralmente amato: non c’è niente di più bello che ballare senza pensieri con
i bambini e gli animatori. Il dj Maksim è stato impeccabile, anche in alcune
sere in cui si sentiva poco bene.
Dopo l’attività serale c’era
l’immancabile planërka (la riunione
organizzativa), inutile dire che non capivamo quasi nulla e che la pazienza di
Katja nel rispiegarci poi tutto è stata fondamentale. Devo riconoscere però che
è stata molto utile perché ci ha aiutato a sbloccarci e parlare davanti a tante
persone senza aver paura di sbagliare. Dopo la riunione solitamente le opzioni
erano due: o tornare al nostro alloggio e rimanere fuori a chiacchierare oppure
andare alla vigvam (tenda degli
indiani) a cantare intorno al fuoco. Due sere abbiamo avuto la fortuna di
assaggiare i šašlyki e altre due sere
abbiamo ricambiato cucinando risotto e pizza, sia noi che loro abbiamo molto
apprezzato.
Al ritorno abbiamo ripreso lo stesso
treno notturno dell’andata ma, data la stanchezza accumulata, questa volta ho
dormito per l’intera durata del viaggio. Una volta a Mosca abbiamo preso subito
un altro treno che ci ha portate a San Pietroburgo. Da lì siamo ripartite
(eccetto Giada e Jasmine) il 31 agosto mattina.
Tirando le somme non posso che
affermare di essere veramente felice di aver fatto quest’esperienza, mi ha
aiutato molto sia a livello linguistico sia a livello umano. Mi ricordo, prima
di partire, di aver avuto diversi timori riguardo all’approccio con dei bambini
senza precedenti esperienze ma poi in realtà è venuto tutto da sé, i bambini
russi sono diversi dai nostri e sono veramente fantastici. Mi ricordo come il
primo giorno a Mosca fossimo incapaci di formulare una frase mentre alla fine
avevamo fatto notevoli progressi.
In conclusione vorrei aggiungere che
con le altre ragazze mi sono trovata benissimo, però il fatto che fossimo in
sette ha avuto vantaggi e svantaggi, a mio parere. È stato utile perché ci
siamo aiutate molto e solitamente quando una parola non veniva a una persona ce
n’era sempre un’altra a suggerirla, non ci siamo mai annoiate e non si rimaneva
mai da sole. Ed è forse questo il problema: mi sarebbe piaciuto approfondire
maggiormente la conoscenza dei ragazzi russi a livello personale mentre questo
non è stato molto possibile perché appena qualcuno dedicava qualche attenzione
in più, tutte ne erano giustamente attratte (ognuna voleva fare conversazione
ecc.) e in sette contro uno non si riesce a fare una conversazione perché si
tendeva a fare gruppo e parlare in italiano. L’unica soluzione a questo “problema”
era aspettare che molte andassero a letto per poter rimanere in due, massimo
tre, e poter conversare con i russi. Quindi un mio suggerimento, dopo essermi
anche confrontata con Manuel (erano in quattro al secondo turno), è quello di
dare la possibilità a meno persone di recarsi là, è tutto di guadagnato per chi
va lì ma anche per loro russi che forse avrebbero avuto piacere ad approfondire
un po’ di più i rapporti.
Detto
questo è stata un’esperienza unica, indimenticabile e che mi piacerebbe sicuramente
ripetere l’anno prossimo.
Ilaria Barluzzi (21 anni)
Università Statale di Milano
Mediazione Linguistica e Culturale
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