Perché dovremmo temere una nuova Chernobyl
Il rischio di ritrovarci tra le mani una nuova Chernobyl o una nuova Fukushima
è molto più alto di quello percepito dall’opinione pubblica o messo in
conto dall’industria nucleare. A rivelarlo è un team di scienziati
dell’Università del Sussex, in Inghilterra, e dell’ETH di Zurigo, in
Svizzera, che hanno analizzato oltre 200 incidenti nucleari del passato,
comprese le risposte e la stima delle conseguenza da parte del
comparto. La conclusione a cui sono arrivati, per stessa ammissione
degli scienziati, è preoccupante: nonostante gli incidenti nucleari
siano sostanzialmente diminuiti in termini di frequenza, le grandi
catastrofi nucleari “non sono reliquie del passato”.
E con un tempismo quasi studiato (pochi giorni fa l’ok del governo britannico alla centrale di Hinkley Point C), il gruppo ha pubblicato il più grande database open-source mai realizzato degli eventi nucleari passati, contenente date, località, costo in dollari, e rating di grandezza del disastro.
Secondo gli scienziati le probabilità
che si verifichi un grave disastro nucleare in qualche parte del mondo
prima del 2050 sono 50:50. ” Vi è una probabilità del 50% di poter
assistere ad un evento come quello di Chernobyl (o superiore) nel corso
dei prossimi 27 anni”, spiegano i ricercatori, ribadendo in realtà
stime presentata già lo scorso anno. Se scendiamo di scala, come nel
caso dell’incidente di Three Mile Island, nel 1979,
quando ci fu una parziale fusione del nocciolo nella centrale nucleare
sull’omonima isola, la probabilità sale a un incidente ogni 10-20 anni.
Come spiega il dottor Spencer Wheatley, autore principale dello studio: “Abbiamo
scoperto che il livello di rischio per l’energia nucleare è
estremamente elevato. Anche se siamo stati in grado di rilevare
l’impatto positivo delle risposte del settore per incidenti come Three
Mile Island e Chernobyl, questi non rimuovono la possibilità di altri
disastri estremi”. Gli studi pubblicati da Wheatley sono stati
fortemente criticati, soprattutto dalla lobby dell’atomo, per le
conclusioni troppo drastiche, ma bisogna anche ammettere che analisi
realmente indipendenti sono rare nel settore.
In parte dipende dal fatto che molti dei
dati sugli incidenti sono raccolti dalla stessa l’industria nucleare
che spesso e volentieri si mostra riluttante alla condivisione. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica
classifica gli eventi utilizzando un sistema chiamato Internazionale
Nuclear Event Scale, che è legato alla quantità di emissioni di
radiazioni rilasciate. Tuttavia, non esiste ad oggi un database storico.
Gli scienziati puntano il dito su dati pubblici “viziati e incompleti” forniti dal settore, e su un sistema di classificazione “altamente impreciso, mal definito e spesso incoerente”.
Nella loro nuova analisi, il team di ricerca ha stimato un costo (in
dollari) per ogni incidente, tenendo conto di fattori come la
distruzione degli edifici, gli interventi di emergenza, il risanamento
ambientale, l’evacuazione della popolazione, e i crediti di
assicurazione. E per ogni morte, hanno aggiunto un costo di 6 milioni di
dollari, che è il dato utilizzato dal governo degli Stati Uniti per
calcolare il valore di una vita umana.
Data: 20.09.2016
Fonte: www.rinnovabili.it
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