Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

23/09/16

VIAČESLAV - ВЯЧЕСЛАВ

Autore: Carlo Spera
Tratto da: 
“Viaggio al termine della notte.
20 anni dopo l'esplosione della centrale di Cernobyl”
Casa editrice: ViediMezzo
Data: 2006
VJAČESLAV

Fondatore e direttore di un’associazione che si occupa di bambini abbandonati

Lei è stato a Pripjat’ nei mesi successivi l’incidente?

Non proprio nei mesi successivi, ma un anno dopo l’esplosione del reattore. In quel periodo avevo all’incirca la vostra età e mi piaceva molto fotografare. Come tante persone appassionate di fotografia ero molto interessato all’argomento e mi sarebbe piaciuto andare in Ucraina per documentare quello che stava accadendo. Neanche a farlo apposta sono stato mandato in quelle zone per lavoro e così ho avuto la possibilità di partecipare a una riunione dei capi delle strutture che gestivano le problematiche di sicurezza. Pripjat’ era una città completamente morta. Il grigio predominava su tutto, anche sulle foto che ho scattato. C’era un albero in particolare che mi colpì. Aveva solo tre rami. Per me è ancora oggi un simbolo, il simbolo della morte. Sono passati diciannove anni da allora e quell’albero non l’ho mai dimenticato. La gente, invece, ha iniziato a dimenticare Cernobyl. E invece è molto importante continuare a parlarne; è l’unico modo per non dimenticare quello che è successo. Ancora oggi purtroppo il nostro stato nasconde alcune problematiche legate all’incidente. Si ripopolano villaggi che prima erano stati evacuati e i prodotti che vengono coltivati nelle zone contaminate, in particolar modo nella regione di Mogilëv e in quella di Gomel’, vengono distribuiti in tutto il territorio della repubblica. Sono felice che vogliate sapere quello che è accaduto e quello che ancora continua ad accadere. È importante che il mondo sappia in che condizioni siamo costretti a vivere. E soprattutto che il Sarcofago va a gocce di sangue, nel senso che ha molti problemi strutturali. L’edificio è troppo pesante, rischia di crollare. Finora non è ancora successo niente, però secondo me bisogna parlarne, non si possono nascondere le informazioni. Io credo che la Bielorussia, e in particolare la regione di Gomel’...

Intende dire che c’è una continua fuoriuscita radioattiva dal Sarcofago?

Sì. È stato fatto un calcolo: tra piccole crepe e fessure c’è un buco di circa duecento metri quadrati.

Secondo lei c’è un perché? Crede siano state rispettate tutte le regole nella costruzione del Sarcofago?

Penso di sì, che abbiano lavorato rispettando le regole. Purtroppo però in quel periodo non esistevano regole appropriate.

Ci racconti di Pripjat’.

La città di Pripjat’ era tutta grigia. Il grigio dominava su tutto. La riunione a cui ho partecipato era stata organizzata con la massima segretezza. Bisognava discutere il problema, trovare delle soluzioni. Tutti i capi dei paesi dell’ex Urss sono venuti lì per studiare e per capire che cosa era successo e come si poteva risolvere il problema. Volevano rendersi conto della situazione sul posto. Quel congresso è stato tenuto a lungo segreto. Oggi tutti sanno quello che è successo, ma allora no. Le informazioni erano tenute nascoste. Durante il congresso il capo della polizia segreta ha raccontato alcune cose che noi militari non sapevamo. Siamo rimasti scioccati. Quelle informazioni erano assolutamente una novità per tutti noi.

Qual era il suo compito?

Il mio compito consisteva nel conservare le informazioni. Essere presente alla riunione e registrare le informazioni.

Come ha reagito dopo essere venuto a conoscenza di informazioni segrete che avrebbero potuto aiutare la popolazione?

A me era vietato raccontare quello che avevo sentito, ma quando mi sono reso conto che quelle informazioni avrebbero potuto aiutare altre persone, le ho rese pubbliche raccontandole a tutti quelli che conoscevo, a tutti quelli con cui ho potuto parlare.

Ha rischiato. Ho sentito dire che molte persone hanno pagato a caro prezzo la sua stessa disobbedienza.

Sì, è vero. Molti l’hanno pagata cara.
Intervista di Carlo Spera
 

Nessun commento:

Posta un commento