Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

28/10/16

NOVOKEMP 2016 VISTO DA GIULIA - MAMMA RUSSA TROVATA (1ª PUNTATA)




MAMMA RUSSA TROVATA

Ricorderò sempre la prima volta in cui ho visto Katja.

Lei e Andrej sono venuti a prenderci, a recuperare le tre italiane del turno di luglio alla stazione di Uneča. Elena, Jelena ed io eravamo atterrate solo tre giorni prima, ed ecco che ci spostavamo di nuovo. Dopo circa undici ore di treno notturno da Mosca, la provodnica ci sveglia, puntuale come un orologio svizzero, anzi prima delle nostre sveglie. Questo donnone corpulento dai modi un poʼ bruschi responsabile del nostro vagone ha preso davvero a cuore il fatto che non saltassimo la nostra fermata. Scendiamo dal treno, palesemente disorientate, assonnate e con valigie al seguito e non incontriamo subito i nostri ospiti, perché abbiamo inavvertitamente comunicato il numero della carrozza sbagliata.

Quando i pochi passeggeri si allontanano dalla silenziosa stazione prendendo direzioni diverse, li vediamo venirci incontro, lui uno spilungone magro dallʼaspetto autorevole e lei una bambolina di porcellana. Tentiamo di conversare in russo, ma siamo stanche, non sono neppure le sei, eppure è già chiaro come in pieno giorno e sulla strada verso il campo scorrono file di alberi altissimi da una parte e dallʼaltra. Una volta arrivati, Katja ci mostra la nostra stanza, le casette di legno in cui vivranno i bambini delle sette famigliole in arrivo il pomeriggio stesso, i bagni e le docce, che sono abbastanza lontani dal nostro quartier generale.

I primi giorni sono difficili, capiamo poco perché gli animatori russi e i responsabili parlano molto e veloce, ma poi riusciamo ad inserirci nella vita del campo. Chi ha più pazienza con noi sono i bambini, in particolare Nikita, che si offre di spiegarci e di ripetere, anche mille volte se necessario.

La giornata è organizzata secondo uno schema più o meno fisso, corsi vari la mattina e un gioco a tema tutti insieme il pomeriggio, la sera discoteca (che piace molto ai più piccoli) oppure uno spettacolo in cui si succedono i numeri preparati dalle varie famigliole. Mi ha colpito molto lʼimpegno dei vožatye, i responsabili delle casette, quasi tutti appena diciottenni con unʼenorme responsabilità, e lʼentusiasmo dei sotrudniki, gli organizzatori dei corsi, sempre pronti a travestirsi per gli eventi a tema o a correre da qualche parte.

Noi italiane siamo responsabili di attività come corsi di lingua e di arte, io tento qualche lezione di yoga, anche se la vera insegnante è Maša, unʼadorabile vožataja con la quale in qualche modo riesco a fare amicizia. Ci divertiamo molto nel vedere come la piccola Varvara sia lʼunica a prendere seriamente le mie indicazioni e faccia grandi sforzi accompagnati da altrettante smorfie per rimanere in equilibrio sulla sua testolina, con le gambe che scalciano in alto. Durante spagnolo invece Liza, prekrasnaja blondinka che alloggia con Nikita nella terza casetta, mi confida il suo sogno di fare lʼinterprete e di vedere il mondo. Cʼè Denis, un bimbo della prima semejka, che frequenta puntualmente tutte le mie “lezioniˮ ed incoraggia persino gli altri a prendere parte.

Ci affezioniamo praticamente subito ai bambini di Novokemp. È bello capire ogni giorno di più, riuscire a confrontarsi con loro, vederli la mattina dalla nostra finestra al secondo piano che puliscono e sistemano il territorio intorno alla propria casetta, mentre noi ci siamo appena svegliate, probabilmente per aver fatto troppo tardi unʼaltra volta.

Sì, perché spesso i nostri responsabili hanno ospiti e si comportano da perfetti padroni di casa, facendo trovare la tavola imbandita anche alle due di notte. Ho percepito lʼimportanza di questa tradizione sorseggiando il tè, in unʼatmosfera che conserva tracce del rito antico, nonostante molti preferiscano prendere il caffè.

Cʼè qualcosa di sospeso, come un tacito accordo condiviso, nel prendere posto in cucina e, tra una scatolina di dolcetti e lʼaltra, animare a turno la conversazione. Non cʼè il samovar, ma una sensazione precisa che provi nel portare tutte quelle tazze da lavare alla stolovaja.

Novokemp è casa, non per una banale retorica ritrita, ma perché lo diventa in ogni gesto quotidiano, come ritirare il proprio piatto dopo aver finito, come lavare trusiki e noski (mutandine e calze) passandosi lʼacqua a turno. Noi, per fortuna, possiamo contare sulla lavatrice riservata ad animatori e responsabili, che ci permette di evitare di suscitare lʼilarità generale, come quella volta in cui io ed Elena tentiamo di fare da sole e confondiamo il secchio per il risciacquo con quello dellʼacqua sporca.

Abbiamo chi si occupa di noi: il primo giorno Katja ci illustra le regole del campo e noi prendiamo appunti. Non è sempre molto chiara e a volte dimentica di dirci qualcosa, ma si preoccupa costantemente del nostro stato fisico ed emotivo.

Katinka è un tipo molto allegro. Sorride quando ci incrociamo prima di colazione, e spesso la sua bocca dipinta di rosso scuro scoppia in una fragorosa risata. La malinconia di una sofferenza non pienamente espressa balena a volte nei suoi occhi brillanti, senza mai riuscire ad oscurarli per più di qualche secondo. È molto gentile e amichevole, preferisce ascoltare piuttosto che parlare.

Lascia il campo prima della nostra partenza, è necessario andare a Mosca e sistemare tutti i documenti che serviranno per il Giappone, dove trascorrerà il mese di agosto tra conferenze e seminari in cui avrà lʼoccasione di trattare il tema di Černobyl. Ci sarà un interprete, ma è preoccupata, fa delle prove con noi, e il nostro miscuglio di russo e inglese ha un che di insolitamente familiare. Elena si offre di regalarle un elenco di lessico quotidiano, in cambio di uno con gli equivalenti russi, la incoraggia, tutte le auguriamo buona fortuna.

Ci separiamo in un pomeriggio non più così caldo, e non toglie gli occhiali da sole, mentre lei e Serëža si allontanano sullʼauto guidata dal figlio di Anton.

Con Katja se ne va anche il nostro turno, ma, ripensando al tesoro di esperienze fatte, non siamo più così tristi.

                                                                                                   Giulia Moioli

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