Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

11/11/16

DREAM ISLAND - VLADIVOSTOK 2016

Dopo aver fatto l'esperienza di Novokemp nel 2014 e 2015, Camilla e Sofia, studentesse dell'Università di Milano, hanno deciso di inoltrarsi negli spazi russi, partecipando ad agosto 2016 a un campo di volontariato internazionale (tramite Legambiente e i suoi partner della rete Alliance) a Rejneke, un'isoletta nei pressi di Vladivostok, sul mar del Giappone.
Ecco qui il racconto di Camilla (a cui seguirà nei prossimi giorni quello di Sofia).



DREAM ISLAND

Quando ripenso alla mia esperienza nel lontano est, mi si creano in mente svariate immagini. Il viaggio infinito passando per tutti e tre gli aeroporti di Mosca, lo scalo nel mezzo della Siberia, l’arrivo a Vladivostok reso possibile da angeli custodi incontrati durante il percorso, l’attesa visione del mare dalla barca, i tramonti arancio-rosa, i risvegli cullati dal rumore delle onde, la sabbia ovunque, persone fantastiche e fuori dagli schemi, montagne di spazzatura accanto a negozi di birra e dolciumi. Potrei riempire una pagina intera, se seguissi il flusso dei ricordi. Ma andiamo con ordine e scioltezza.

L’8 agosto sono partita con la mia impavida compagna di viaggio, Sofia, alla volta dell’isola Rejneke, nel Mar del Giappone. Quando ho scelto questo campo di volontariato, tanto lontano ed estremo, avevo semplicemente voglia di evadere dalla mia quotidianità. Ero appena tornata da un Erasmus, ancora super carica di frenesia e voglia di scoprire. Questa condizione personale, unita alla voglia di migliorare il mio russo e di scoprire sempre più a fondo Madre Russia, hanno creato il mix perfetto per spingermi a partire. Il viaggio di andata è stato una sorta di limbo, si passa da un mondo familiare ad una realtà completamente altra. Io e Sofia siamo partite da Milano e atterrate a Vnukovo, un aeroporto di Mosca. Dopo una notte in aeroporto siamo ripartite da Domodedovo alla volta di Novosobirsk. Dal centro della Siberia abbiamo, infine, raggiunto Vladivostok. Arrivate al porto della città, già in condizioni piuttosto selvagge, abbiamo preso un traghetto con gli altri volontari e siamo giunte alla nostra isola dei sogni.

Sogni che, ogni tanto, mi hanno messo a dura prova, inutile negarlo. L’isola era piuttosto piccola, nel corso delle tre settimane abbiamo visitato tutti i suoi fantastici angoli grazie agli amici russi, veterani del luogo. Il campo era collocato sulla costa, direttamente sulla spiaggia, a pochi metri dal mare. Dunque non esagero quando racconto che erano le onde a darci la buona notte e il buon giorno. Io e Sofia dormivamo in una tenda con altre due ragazze: Milia, proveniente dal Pais Basco, e Camille, direttamente da Bruxelles. Noi e Pablo, un ragazzo spagnolo, eravamo gli unici stranieri del campo, e questo è stato un super vantaggio per me e Sofia, che avevamo l’obiettivo di parlare russo all day and all night long. Lo scopo di questo progetto ambientalista era ripulire l’isola dai rifiuti, che le orde di turisti e i pochi abitanti del posto lasciavano, noncuranti, ovunque. E con ovunque intendi dire proprio OVUNQUE… vere e proprie discariche a cielo aperto, circondate da una rigogliosa natura, maleodoranti e dannose per ambiente e persone. Noi volontari lavoravamo ogni giorno, in media tre o quattro ore. Il lavoro consisteva nella raccolta differenziata di rifiuti, affondando braccia e gambe tra bottiglie di vodka e assorbenti cosparsi di maionese, oppure nella sensibilizzazione della popolazione locale. Quest’ultima attività prevedeva un dialogo diretto con turisti e abitanti del luogo, cercando di comunicare loro la dannosità di questo comportamento irrispettoso per l’ambiente e per se stessi. Spesso le risposte erano scocciate e poco gradevoli, ma noi continuavamo perseveranti il nostro lavoro di propaganda.

Il resto della giornata era libero, dunque ho potuto godere l’isola in tutti i suoi aspetti. Lunghi bagni in mare la mattina, prima della solita ginnastica, risate con gli amici, passeggiate sugli scogli e nella vegetazione interna, cene a lume di falò, chitarre sotto un cielo che più stellato non si può pretendere, gite in barca con marinai gentili, istanti trascorsi guardando la linea dell’orizzonte. La vita era totalmente in comune, stile campo hippie. Di giorno si stava benissimo in bikini, la notte i russi continuavano a stare in costume, io indossavo il piumino autunnale, ma queste sono prospettive personali.
È stato tutto molto bello e costruttivo, mi sono vista in situazioni che mai avrei immaginato di vivere e ho spinto i miei limiti un po’ più in là. Tuttavia ci sono stati aspetti veramente difficili, e penso sia giusto sbirciare anche l’altro lato della medaglia. L’assenza di docce, ad esempio, per me non è stato un grosso problema, mi sono adattata alla realtà sfruttando il fantastico fiume accanto al campo, ma penso sia giusto renderlo noto. Il bagno è inoltre un grande buco in mezzo agli alberi, circondato da una tenda, dove ronzano inesorabilmente insetti verdi e neri. Anche questo è un particolare prevedibile e assolutamente accettabile, ma forse non da tutti. Una grande noia erano invece i tifoni, che ogni tanto deliziavano le nostre giornate. Essi consistevano in forte vento e forte pioggia, che a volte proseguiva ininterrottamente ventiquattr’ore. Ho scritto grande noia perché non vi era un riparo stabile, asciutto, spazioso e caldo, dunque spesso si era costretti a rimanere nella propria tenda o sotto al tendone da pranzo, in attesa che l’acqua si placasse. Un ultimo punto degno di essere esplicitato è la mancanza di una struttura medica di pronto soccorso direttamente sull’isola. Potrebbe sembrare una piccolezza, ma a me è capitato di avere una sorta di infezione intestinale e passare la notte a contorcermi nel sacco a pelo, con la povera Sofia al mio capezzale. Detta così sembra una situazione drammatica, in realtà sono poi stata benissimo, era solo questione di ore, però uno sguardo medico in quel momento mi avrebbe fatto piacere. Morale di questa disavventura: non fidatevi se vi dicono di assaggiare ricci crudi appena raccolti dal mare.

Io consiglio questa esperienza con tutta me stessa, è unica e diversa da ciò che si immagina solitamente. Il mio consiglio è però quello di partire con la consapevolezza di tutti questi dettagli, che per alcuni potrebbero rappresentare un vero disagio. Un enorme spirito di adattamento è necessario, oltre ad un paio di grandi stivali di gomma, che sono stati una mia mancanza particolarmente rimpianta. Per il resto, io e Sofia siamo due fanciulle spartane ma per nulla indistruttibili. Se siamo sopravvissute noi, calcolando un paio di svenimenti e una notte da incubo, può sopravvivere chiunque serenamente. Ultima cosa... Attenzione ai serpenti per il bosco.

Disavventure a parte, di questo viaggio mi sono rimaste solo sensazioni e vibrazioni positive. Amicizia, condivisione di momenti belli e complessi, di bagnoschiuma e asciugamano, piatti e scodelle, gite selvagge, parole profonde, blu mare e verde foglia… È veramente l’isola dei sogni.

Camilla Carrara

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