Dopo aver fatto l'esperienza di Novokemp nel 2014 e 2015, Camilla e Sofia, studentesse dell'Università di Milano, hanno deciso di inoltrarsi negli spazi russi, partecipando ad agosto 2016 a un campo di volontariato internazionale (tramite Legambiente e i suoi partner della rete Alliance) a Rejneke, un'isoletta nei pressi di Vladivostok, sul mar del Giappone.
Ecco qui il racconto di Camilla (a cui seguirà nei prossimi giorni quello di Sofia).
DREAM ISLAND
Quando ripenso alla mia
esperienza nel lontano est, mi si creano in mente svariate immagini. Il viaggio
infinito passando per tutti e tre gli aeroporti di Mosca, lo scalo nel mezzo
della Siberia, l’arrivo a Vladivostok reso possibile da angeli custodi
incontrati durante il percorso, l’attesa visione del mare dalla barca, i tramonti
arancio-rosa, i risvegli cullati dal rumore delle onde, la sabbia ovunque,
persone fantastiche e fuori dagli schemi, montagne di spazzatura accanto a
negozi di birra e dolciumi. Potrei riempire una pagina intera, se seguissi il
flusso dei ricordi. Ma andiamo con ordine e scioltezza.
L’8 agosto sono partita con la
mia impavida compagna di viaggio, Sofia, alla volta dell’isola Rejneke, nel Mar
del Giappone. Quando ho scelto questo campo di volontariato, tanto lontano ed
estremo, avevo semplicemente voglia di evadere dalla mia quotidianità. Ero
appena tornata da un Erasmus, ancora super carica di frenesia e voglia di
scoprire. Questa condizione personale, unita alla voglia di migliorare il mio
russo e di scoprire sempre più a fondo Madre Russia, hanno creato il mix
perfetto per spingermi a partire. Il viaggio di andata è stato una sorta di
limbo, si passa da un mondo familiare ad una realtà completamente altra. Io e Sofia
siamo partite da Milano e atterrate a Vnukovo, un aeroporto di Mosca. Dopo una
notte in aeroporto siamo ripartite da Domodedovo alla volta di Novosobirsk. Dal
centro della Siberia abbiamo, infine, raggiunto Vladivostok. Arrivate al porto
della città, già in condizioni piuttosto selvagge, abbiamo preso un traghetto
con gli altri volontari e siamo giunte alla nostra isola dei sogni.
Sogni che, ogni tanto, mi hanno
messo a dura prova, inutile negarlo. L’isola era piuttosto piccola, nel corso
delle tre settimane abbiamo visitato tutti i suoi fantastici angoli grazie agli
amici russi, veterani del luogo. Il campo era collocato sulla costa,
direttamente sulla spiaggia, a pochi metri dal mare. Dunque non esagero quando
racconto che erano le onde a darci la buona notte e il buon giorno. Io e Sofia
dormivamo in una tenda con altre due ragazze: Milia, proveniente dal Pais
Basco, e Camille, direttamente da Bruxelles. Noi e Pablo, un ragazzo spagnolo,
eravamo gli unici stranieri del campo, e questo è stato un super vantaggio per
me e Sofia, che avevamo l’obiettivo di parlare russo all day and all night long. Lo scopo di questo progetto
ambientalista era ripulire l’isola dai rifiuti, che le orde di turisti e i
pochi abitanti del posto lasciavano, noncuranti, ovunque. E con ovunque intendi
dire proprio OVUNQUE… vere e proprie discariche a cielo aperto, circondate da
una rigogliosa natura, maleodoranti e dannose per ambiente e persone. Noi
volontari lavoravamo ogni giorno, in media tre o quattro ore. Il lavoro
consisteva nella raccolta differenziata di rifiuti, affondando braccia e gambe
tra bottiglie di vodka e assorbenti cosparsi di maionese, oppure nella sensibilizzazione
della popolazione locale. Quest’ultima attività prevedeva un dialogo diretto
con turisti e abitanti del luogo, cercando di comunicare loro la dannosità di
questo comportamento irrispettoso per l’ambiente e per se stessi. Spesso le
risposte erano scocciate e poco gradevoli, ma noi continuavamo perseveranti il
nostro lavoro di propaganda.
Il resto della giornata era
libero, dunque ho potuto godere l’isola in tutti i suoi aspetti. Lunghi bagni
in mare la mattina, prima della solita ginnastica, risate con gli amici,
passeggiate sugli scogli e nella vegetazione interna, cene a lume di falò,
chitarre sotto un cielo che più stellato non si può pretendere, gite in barca
con marinai gentili, istanti trascorsi guardando la linea dell’orizzonte. La
vita era totalmente in comune, stile campo hippie. Di giorno si stava benissimo
in bikini, la notte i russi continuavano a stare in costume, io indossavo il
piumino autunnale, ma queste sono prospettive personali.
È stato tutto molto bello e
costruttivo, mi sono vista in situazioni che mai avrei immaginato di vivere e
ho spinto i miei limiti un po’ più in là. Tuttavia ci sono stati aspetti
veramente difficili, e penso sia giusto sbirciare anche l’altro lato della
medaglia. L’assenza di docce, ad esempio, per me non è stato un grosso problema,
mi sono adattata alla realtà sfruttando il fantastico fiume accanto al campo,
ma penso sia giusto renderlo noto. Il bagno è inoltre un grande buco in mezzo
agli alberi, circondato da una tenda, dove ronzano inesorabilmente insetti
verdi e neri. Anche questo è un particolare prevedibile e assolutamente accettabile,
ma forse non da tutti. Una grande noia erano invece i tifoni, che ogni tanto
deliziavano le nostre giornate. Essi consistevano in forte vento e forte
pioggia, che a volte proseguiva ininterrottamente ventiquattr’ore. Ho scritto
grande noia perché non vi era un riparo stabile, asciutto, spazioso e caldo,
dunque spesso si era costretti a rimanere nella propria tenda o sotto al
tendone da pranzo, in attesa che l’acqua si placasse. Un ultimo punto degno di
essere esplicitato è la mancanza di una struttura medica di pronto soccorso
direttamente sull’isola. Potrebbe sembrare una piccolezza, ma a me è capitato
di avere una sorta di infezione intestinale e passare la notte a contorcermi
nel sacco a pelo, con la povera Sofia al mio capezzale. Detta così sembra una
situazione drammatica, in realtà sono poi stata benissimo, era solo questione
di ore, però uno sguardo medico in quel momento mi avrebbe fatto piacere.
Morale di questa disavventura: non fidatevi se vi dicono di assaggiare ricci
crudi appena raccolti dal mare.
Io consiglio questa esperienza
con tutta me stessa, è unica e diversa da ciò che si immagina solitamente. Il
mio consiglio è però quello di partire con la consapevolezza di tutti questi
dettagli, che per alcuni potrebbero rappresentare un vero disagio. Un enorme
spirito di adattamento è necessario, oltre ad un paio di grandi stivali di
gomma, che sono stati una mia mancanza particolarmente rimpianta. Per il resto,
io e Sofia siamo due fanciulle spartane ma per nulla indistruttibili. Se siamo
sopravvissute noi, calcolando un paio di svenimenti e una notte da incubo, può
sopravvivere chiunque serenamente. Ultima cosa... Attenzione ai serpenti per il
bosco.
Disavventure a parte, di questo
viaggio mi sono rimaste solo sensazioni e vibrazioni positive. Amicizia, condivisione
di momenti belli e complessi, di bagnoschiuma e asciugamano, piatti e scodelle,
gite selvagge, parole profonde, blu mare e verde foglia… È veramente l’isola
dei sogni.
Nessun commento:
Posta un commento