Ecco anche il racconto di Sofia sul campo di volontariato ambientale a Vladivostok ad agosto 2016
Ciao a tutti! Sono Sofia
Sangiorgi ho 22 anni e studio russo all’Università statale di Milano. Scrivo
per raccontare l’esperienza di volontaria sull’isola di Rejneke nel territorio
del litorale di Vladivostok, detto anche “Lontano Ovest”. Io e la mia amica
Camilla avevamo deciso che quest’anno volevamo fare qualcosa di diverso, che ci
aiutasse a scioglierci con la lingua russa, che ci vedesse impegnate come
volontarie e che ci lasciasse tanta umanità come ricordo. Non so dire le
motivazioni che ci hanno spinto tra tanti campi a scegliere questo, siamo state
forse un po’ avventate e inconsapevoli di quello a cui stavamo andando incontro
ma sono convinta che nulla accada per caso, ed è stato molto meglio così, se
avessimo saputo cosa ci stava aspettando non saremmo mai partite e avremmo
perso moltissimo. Il campo si è svolto dal 10 agosto al 28, ed io e lei
facevamo parte di un gruppetto di stranieri che vengono dalla regione basca,
dalla Moldavia, dal Belgio dalla Spagna e da Mosca. Sapevamo che avremmo
dormito in tenda e che ci sarebbero stati i serpenti. Siamo partite
equipaggiate al meglio e siamo arrivate al terminal di Vladivostok ancora un
po’ frastornate dal fuso orario (8 ore avanti). Appena arrivati sull’isola ci
ha sorpreso una forte umidità, un mare cristallino meraviglioso paragonabile
alle isole caraibiche, con la differenza che a Rejneke di strutture turistiche
non ce ne sono, era un’isola meravigliosa tutta per noi. Gli organizzatori del
campo ci hanno mostrato una possibile tenda in cui io e Camilla insieme ad
altre due ragazze avremmo dormito, ricordo una voglia matta di tuffarmi e fare
il bagno, infatti tempo di mettere giù gli zaini ed eravamo già in acqua.
La sera del primo giorno abbiamo
fatto una cena piuttosto frugale, ci siamo diretti verso la tenda centrale del
campo, che era una struttura di ferro e plastica, quella faceva da quartier
generale, punto di ritrovo, sala da pranzo, salotto, insomma era il punto di
riferimento, a lato era stata creata una cucina da campo, che era una tenda
anch’essa con tutte le scorte di cibo per le tre settimane. Ho ritrovato con
piacere la tradizione russa di non bere mai acqua a pranzo e a cena, loro
bevono solo tè, il bello di quell’isola è che eravamo talmente immersi nella
natura che il tè si faceva con qualunque tipo di erba e frutta la natura ci offrisse,
credo di aver bevuto tè con boccioli di rosa per gran parte del campo. Dopo
cena abbiamo fatto il primo bivacco, radunati intorno al fuoco con le chitarre
cantavamo canzoni russe, le serate intorno al fuoco sono uno dei ricordi più
belli che ho. Le giornate in generale si svolgevano così, sveglia verso le 9.00,
ginnastica che veniva annunciata a gran voce dalla cuoca nel tendone centrale,
lo urlava nel megafono per far accorrere tutti, colazione con la loro
fantastica kaša, che è un impasto di farina e acqua, e poi iniziavano i lavori.
Per lavorare dovevamo avere dei vestiti appositi, la maglietta blu data da
loro, pantaloni lunghi e scarpe pesanti, ci dirigevamo a raccogliere spazzatura
o sulla spiaggia (lavoro molto semplice e poco faticoso) o nelle “discariche a
cielo aperto” lasciate dai turisti, questo lavoro è piuttosto faticoso e
scioccante, perché con i guanti bisogna aprire i sacchi dell’immondizia e
dividerli in: vetro, plastica, alluminio, secco. Lavorare insieme ci ha aiutato
a conoscerci meglio anche perché la prima settimana sull’isola saremo stati
cinquanta volontari. L’altro lavoro che facevamo in genere alternando i giorni
era girare per le spiagge chiedendo ai turisti se loro dividevano la
spazzatura, e pregandoli di non buttarla in natura ma bensì di portarla con sé
e buttarla a Vladivostok. Il problema principale dell’isola è infatti la
mancanza di una discarica in cui smaltire legalmente i rifiuti. Quando
tornavamo dal turno di lavoro ci aspettava il pranzo, in genere zuppa, grečka o
“makaroni” (una pasta russa che scuoce molto più velocemente della nostra). Il
pomeriggio eravamo liberi di girovagare per l’isola, dopo esserci riposati o
aver fatto il bagno ci armavamo di scarpini, torce e kway e facevamo escursioni
per l’isola, sono stati momenti indimenticabili, è un’isola talmente
incontaminata che dalle sue nebbie a volte mi aspettavo di vedere spuntare un
dinosauro. Più passavano i giorni e più ci amalgamavamo con la gente del posto
e con i ritmi dell’isola, ci toccava sempre di meno il fatto che si lavassero
pentole, gavette e vestiti nel mare o che ci fosse talmente tanta umidità che
era meglio stare in costume (tanto bagnati si era comunque), o che ci
dimenticassimo i vestiti stesi fuori e al mattino fossero puntualmente bagnati,
o che noi stesse ci si lavasse con doccia completa con delle bottiglie di acqua
ghiacciata che scaturisce direttamente dalla roccia. La cosa bella di
quest’ultimo fatto è la complicità che si crea tra tutti gli abitanti
dell’isola, finito di lavarsi le bottiglie si riempiono di nuovo e si lasciano
sulle rocce rigorosamente al sole, per il prossimo che arriva.
Durante le tre settimane abbiamo
preso la barca di amici dell’isola, e abbiamo scoperto le isole vicine, meno
abitate ma altrettanto suggestive. Alla sera noi “stranieri” facevamo sempre
una piccola riunione per raccontarci di come era andata la giornata: cose
belle, cose brutte, cose sorprendenti.
Un rituale che si era creato era
l’uscita al negozietto di alimentari al centro dell’isola, che in certi casi
era una questione di sopravvivenza, fare scorte di dolci quando si mangia zuppa
tutti i giorni diviene essenziale. Durante il campo abbiamo anche sperimentato
la squisita ospitalità russa, frequentavamo spesso la casa di una ex volontaria
cucinando dolci europei per tutti, soprattutto nelle lunghe giornate di
pioggia, in cui venivano venti talmente forti da sembrare tornado. Vorrei
concludere con una frase che mi ha detto un amico siberiano, Klimt, io mi
disperavo perché avevo perso la mia gavetta e dicevo non è possibile su
quest’isola si perde tutto, e lui mi ha risposto che avrò pur perso il mio
piatto ma ciò che mi dava quell’isola era infinitamente di più, e aveva ragione,
su Rejneke si lascia davvero un pezzo di cuore.
Sofia Sangiorgi
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