NON
ADDIO, MA ARRIVEDERCI
A Novokemp, appena oltre uno dei limiti del campo, “riposa”
(per dirla alla russa) durante il turno di luglio una famigliola particolare: i
patrioti.
La loro casetta è un accampamento di
tende. Il generale Sizov, che è il responsabile del gruppo, ci invita a
chiamarlo Sergej. In una delle nostre visite, ci mostra cosa si può
concretamente imparare in questo mese di vita in comune; Elena in particolare
mostra interesse per i vari tipi di nodi e di rifugi improvvisati che è
possibile fabbricarsi nelle situazioni più varie.
Più che la disciplina, mi colpisce la
stima reciproca che si respira nell’aria, soprattutto
verso le ragazze più grandi, autorevoli tanto quanto i compagni di sesso
maschile, e la serietà con cui vengono prese le punizioni del generale, che,
mai troppo severo, tiene particolarmente al rispetto delle regole.
Una volta superata la reazione
iniziale di stupore, forse dovuta al passo di marcia che li accompagna, vederli
partecipare alla vita del campo mette allegria. Spesso i patrioti si presentano
a coppie ai nostri corsi mattutini e vi prendono parte con entusiasmo, mentre
durante le planërki serali veniamo a
conoscenza dei dettagli delle loro giornate.
Queste riunioni (a volte davvero interminabili)
sono il cuore dell’organizzazione di Novokemp, l’occasione
in cui si condividono criticità e traguardi raggiunti tirando le somme della
giornata appena trascorsa, e si programma la successiva.
Vi partecipano i kružkovody e i vožatye, a
rotazione uno per famigliola, Saša, responsabile di Novokemp e il direttore
Andrej, se e quando può. Ovviamente anche una di noi tre, che, dopo essersi
preparata un dignitoso intervento in russo, esordisce con un immancabile “Den'
prošël chorošo” (La giornata è andata bene) e inciampa
sulle frasi successive, perdendo il filo del discorso.
Eppure, dopo i primi incontri
disastrosi, piano piano miglioriamo la nostra capacità di comprensione e
impariamo persino a riconoscere i toni e le sfumature della voce e, rispettando
il nostro turno nel cerchio, riusciamo a nostra volta a raccontare la nostra
giornata con i bambini.
Un momento così importante di incontro
e di confronto non potrebbe funzionare senza Ela, staršaja vožataja (capoeducatrice) e per questo responsabile del coordinamento
dei giochi e dell’organizzazione delle casette, che,
ogni sera, dopo averlo distribuito a ciascuno, legge il planning del giorno
successivo e chiarisce eventuali dubbi.
Ela ha una vera passione e un talento
particolare per il disegno, e anche una grande disponibilità nei nostri
confronti. Ma quando, nonostante i suoi sforzi, un qualche punto della precisa
griglia sul foglietto rimane per noi oscuro, interviene Nastja, la nostra amica
Anastasija che parla un inglese fluente e privo di errori.
Lei e Valerija, che vengono dall’Ucraina
e sono maestre, fanno di tutto per risvegliare nei “deti” (bambini) che frequentano il loro corso l’amore per
questa lingua e per rafforzare le competenze già acquisite durante il percorso
scolastico.
Il giorno precedente la fine del turno
di luglio, cantiamo insieme qualche canzone dei Beatles, con Nastja alla
chitarra, e improvvisiamo anche il ritornello di “Felicità”,
la canzone italiana più amata in assoluto dal generale Sergej.
L’atmosfera è
allegra, ma anche sospesa, come se nessuno fosse davvero convinto di dover
lasciare Novokemp per un altro anno.
E invece l’indomani le
casette si svuotano, chi prima e chi dopo, tutti raggiungono con la valigia il
cancello principale, in attesa dei genitori o di un pullman diretto a casa.
Abbiamo già salutato bimbi e animatori, ma passiamo comunque la giornata ad
accompagnare le partenze.
La sera tocca a noi andarcene, il
treno è alle undici e, dal momento che gli ultimi rimasti stanno preparando la
festa di chiusura (che andrà per le lunghe), siamo rassegnate a saltare il
pasto. Con quale sorpresa alle dieci entriamo nella stolovaja (sala mensa), dove ci aspetta una tavolata stupenda! Saša
ha cucinato per noi un’ottima gallina,
patate con aneto, aringhe e altre prelibatezze che divoriamo dopo un brindisi d’obbligo.
Vorremmo stare a tavola di più, e non solo per saziare la fame, ma non c’è
più tempo.
È ora di andare, Andrej è già in
macchina, noi veniamo travolte da una valanga di abbracci.
Saluto Paša, che ci ha portato con la
sua famigliola nella tenda indiana, dove mangiando pane abbrustolito si cantano
canzoni e ci si racconta storie paurose, il nostro Egor, Maksim, Galja, Oksana
e tutti gli altri, che hanno fatto parte della mia vita in questo mese. Ognuno
di loro mi ha fatto sentire come se fossi nel posto giusto.
Sono le persone che abbiamo incontrato
ad aver reso sopportabile i turni delle docce, la pulizia non sempre perfetta e
persino gli enormi piatti di cavoli e fegato della stolovaja. E spero di poter avere ancora il privilegio di vivere un’esperienza
simile.
Giulia Moioli
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