Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

30/04/10

LIQUIDATORE. SOPRA IL QUARTO REATTORE

Nell’elenco dei collaboratori del Ministero per le emergenze di Kirov tuttora viventi che presero parte alla liquidazione delle conseguenze della catastrofe alla centrale nucleare di Cernobyl ne risultano oggi 15, di cui uno solo ancora in servizio nella polizia, il sottufficiale Vladimir Zagrebin. Vladimir Anatol’evič prestò servizio per quasi sei mesi nella zona di contaminazione radioattiva durante la liquidazione dell’incidente alla centrale di Cernobyl.

Nell’ottobre del 1986 Vladimir – tornato neanche da un anno da una missione d’emergenza nelle truppe aviotrasportate – ricevette di nuovo una lettera di convocazione al comando militare. Due serissime commissioni mediche e i “richiamati”, la maggior parte dei quali aveva oltrepassato il confine dell’età riproduttiva, cominciarono a indovinare per che cosa li stavano preparando.

Cinque giorni di viaggio, e la zona d’evacuazione di trenta chilometri intorno alla centrale di Cernobyl spalancò davanti ai liquidatori le sue porte avviluppate di filo spinato. Vladimir Zagrebin aveva allora ventidue anni…

Vivevamo in una tendopoli, – ricorda lui – nonostante l’autunno inoltrato, faceva caldo, in Ucraina. Ognuno faceva la propria parte: che demoliva gli edifici, chi disinfettava i mezzi di trasporto, le strade. Io mi occupavo delle comunicazioni, ero marconista. A volte ci toccava lavorare giorno e notte ininterrottamente, ma tutti lo capivano – ce n’era bisogno, e dunque bisognava farlo.

La “zona più calda” era sul tetto della centrale nell’aera dell’esplosione, sopra il quarto reattore. Lavorare là era consentito dai 15 ai 90 secondi. I turni erano misurati da una sirena. Tutti gli spostamenti si facevano di corsa. Ma con il gilè di zinco e la fascia di garza c’era ben poco da correre. Rompevamo, con le pale ripulivamo le conseguenze dell’esplosione, gettavamo i frammenti carbonizzati e fusi nella breccia, giù in basso. Parallelamente intorno al reattore esploso veniva innalzato un sarcofago di cemento.

Oltre il perimetro non ci lasciavano andare. Mangiare frutta, verdura, pesce locali era vietato. E a volte si aveva così tanta voglia di mordere quelle mele sugose e mature che pendevano dai rami, grosse quasi come un pallone da calcio. Ricordo ancora le lappole di due metri.

La città abbandonata dagli abitanti, le macchie bianche sull’asfalto dopo ogni pioggia, l’invisibile e impalpabile pericolo della contaminazione radioattiva – tutto questo pesava sui nervi. Ma noi capivamo che qualcuno qui ci doveva comunque lavorare, e dunque perché non noi.

Nel nostro reggimento c’erano ragazzi di Kirov, Perm’, Iževsk e Sverdlovsk. Ogni tanto saltavano i nervi – una volta uno si rifiutò di andare al lavoro nella “zona calda”. Noi tutti comprendevamo e cercavamo di non giudicare, ma tra quelli di Kirov non ci furono rifiuti.

L’avvicendamento dei liquidatori avveniva dopo un mese. Io ne passai a Cernobyl cinque. Da allora alcuni sono già morti, altri sono rimasti invalidi. Tra di noi manteniamo i contatti. Il 26 aprile, il Giorno della memoria delle vittime delle catastrofi e degli incidenti radioattivi, è un motivo in più per incontrarsi.

In ricordo di quegli avvenimenti di oltre vent’anni anni fa Vladimir Zagrebin porta sul petto la medaglia “Per il salvataggio di coloro che stavano perendo”. Ma lui raramente indossa le onorificenze: «Non amo il clamore intorno a me». E la liquidazione delle conseguenze della più grande catastrofe tecnologica della storia non la considera un’impresa. «Semplicemente ognuno ha fatto quello che doveva fare», – dice il liquidatore.

Data: 26.04.2010
Fonte: www.uvd.kirov.ru
Traduzione: S.F.

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