Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

05/05/16

CHERNOBYL, 30 ANNI DOPO: IL DISASTRO È DIVENTATO UN’OCCASIONE.


Chernobyl, 30 anni dopo: il disastro è diventato un’occasione. Migliaialavorano ancora alla centrale: ‘Ti ammali? Colpa tua’

 

 In un raggio di 30 km in cui ogni attività umana è bandita per sempre - nessuno può abitarci, coltivare i campi o allevare animali - migliaia di persone lavorano tutti i giorni per 8 ore alla manutenzione della centrale colpita dall'incidente del 26 aprile 1986. "Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant – i dipendenti firmano un foglio in cui si impegnano a seguire le regole di comportamento. Alla fine di ogni anno ci viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato il limite, è colpa tua". Agenzie turistiche offrono visite guidate e i giovani sognano "resort di lusso" per "attirare più turisti". Intanto la Bielorussia, il Paese più colpito dagli effetti dell'esplosione, progetta la costruzione del suo primo impianto.

Una piazza enorme sulla quale si affacciano palazzi squadrati, tutti bianchi, tutti uguali. Decine di bambini giocano sulle giostre, tra la piazza e i viali alberati. A un angolo due file di lapidi raccontano la storia di questa città. Una città giovanissima, fondata dopo l’esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. Siamo a Slavutich, nel nord del Paese, dove migliaia di famiglie rimaste improvvisamente senza nulla trovarono una nuova casa. Un nuovo lavoro no. Quello era sempre lì: a Chernobyl. Dopo l’incidente, provocato da un errore umano all’una e 23 minuti del 26 aprile 1986, la vita della centrale non si è mai fermata. È andata avanti come se niente fosse accaduto. In poco tempo, il più grave disastro nucleare della storia si è trasformato in un’occasione.

Ogni mattina un fiume umano si riversa sul binario uno della stazione di Slavutich. Nessuno passa dalla biglietteria, il treno è pagato dallo Stato. L’atmosfera dentro ai vagoni è spensierata. C’è chi legge pamphlet con Lenin e Stalin in copertina e chi gioca a carte. Qualcuno guarda fuori dal finestrino un paesaggio abbandonato dall’uomo dove la natura si è ripresa i suoi spazi; dove le aquile atterrano sul fiume ghiacciato e gruppi di daini fissano il treno che passa. Dall’Ucraina alla Bielorussia e poi ancora in Ucraina. È questo il tragitto che il treno compie nei 40 minuti necessari per arrivare a Chernobyl. Giunti qui si resta impressionati dalla vita che si accalca intorno al reattore. Poliziotti, operai, ingegneri. Sono migliaia le persone che da trent’anni non hanno mai smesso di lavorare alla centrale, posta nel cuore di un raggio di 30 chilometri in cui ogni attività umana è bandita per sempre. Nessuno può vivere qui né coltivare i campi o allevare animali. Eppure in questo stesso luogo un’intera città lavora per otto ore, tutti i giorni. Le protezioni sono minime così come i controlli sui livelli di radioattività accumulata posti all’uscita.

“Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant – chi lavora qui firma un foglio in cui si impegna a seguire le regole di comportamento all’interno della centrale. Alla fine di ogni anno ci viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato il limite, è solo colpa tua”. Ma a sentire tutti, dagli esperti ai semplici lavoratori, a Chernobyl non c’è nulla di cui preoccuparsi. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) – che promuove il nucleare commerciale – il disastro uccise solo 32 persone, gli operai che per primi entrarono nel reattore per fermare la catastrofe, mentre gli irradiati sarebbero stati appena 200 e 2mila i bambini malati di cancro alla tiroide. “Il prezzo più pesante è stato quello pagato in termini di vite umane.” – spiega Julia Marusich, lavoratrice alla centrale di Chernobyl. Qui arrivarono 600mila giovani da tutta l’Unione Sovietica per cercare di limitare i danni della catstrofe. Molti di loro sono morti dopo aver lavorato nell’impianto nucleare”.

In realtà, infatti, le conseguenze dell’incidente si pagano anche oggi. Secondo esperti indipendenti, nell’area contaminata da Chernobyl, già nei primi anni del nuovo millennio, l’85% della popolazione era ammalata. Oggi il 90% dei bambini nati nella zona ad alto rischio soffrono di patologie alla tiroide, problemi cardiovascolari e all’apparato digerente. Oltre alle mutazioni genetiche che, quindi, passano di generazione in generazione. Sono inoltre aumentati in modo esponenziale i tumori alle ossa e al cervello. In un ospedale di Kiev incontriamo Leonid Marushehenko, neurochirurgo pediatrico, che ci mostra alcune radiografie del cervello e dice: “In base ai dati raccolti nel nostro ospedale, il numero dei tumori al cervello nei bambini con meno di tre anni è aumentato di sei volte dopo il 1986”.


Data: 24.04.2016
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it

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