Chernobyl, 30 anni dopo: il disastro è diventato un’occasione. Migliaialavorano ancora alla centrale: ‘Ti ammali? Colpa tua’
In un raggio di 30 km in cui ogni attività umana è bandita per sempre - nessuno può abitarci, coltivare i campi o allevare animali - migliaia di persone lavorano tutti i giorni per 8 ore alla manutenzione della centrale colpita dall'incidente del 26 aprile 1986. "Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant – i dipendenti firmano un foglio in cui si impegnano a seguire le regole di comportamento. Alla fine di ogni anno ci viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato il limite, è colpa tua". Agenzie turistiche offrono visite guidate e i giovani sognano "resort di lusso" per "attirare più turisti". Intanto la Bielorussia, il Paese più colpito dagli effetti dell'esplosione, progetta la costruzione del suo primo impianto.
Una piazza enorme sulla quale si affacciano palazzi squadrati, tutti bianchi, tutti uguali. Decine di bambini giocano sulle giostre, tra la piazza e i viali alberati. A un angolo due file di lapidi raccontano la storia di questa città. Una città giovanissima, fondata dopo l’esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. Siamo a Slavutich, nel nord del Paese, dove migliaia di famiglie rimaste improvvisamente senza nulla trovarono una nuova casa. Un nuovo lavoro no. Quello era sempre lì: a Chernobyl. Dopo l’incidente, provocato da un errore umano all’una e 23 minuti del 26 aprile 1986, la vita della centrale non si è mai fermata. È andata avanti come se niente fosse accaduto. In poco tempo, il più grave disastro nucleare della storia si è trasformato in un’occasione.
Ogni mattina un fiume umano si riversa sul binario uno della stazione
di Slavutich. Nessuno passa dalla biglietteria, il treno è pagato dallo Stato. L’atmosfera dentro ai vagoni è spensierata. C’è chi legge pamphlet con Lenin e Stalin
in copertina e chi gioca a carte. Qualcuno guarda fuori dal finestrino
un paesaggio abbandonato dall’uomo dove la natura si è ripresa i suoi
spazi; dove le aquile atterrano sul fiume ghiacciato e gruppi di daini
fissano il treno che passa. Dall’Ucraina alla Bielorussia
e poi ancora in Ucraina. È questo il tragitto che il treno compie nei
40 minuti necessari per arrivare a Chernobyl. Giunti qui si resta
impressionati dalla vita che si accalca intorno al reattore. Poliziotti, operai, ingegneri. Sono migliaia le persone che da trent’anni non hanno mai smesso
di lavorare alla centrale, posta nel cuore di un raggio di 30
chilometri in cui ogni attività umana è bandita per sempre. Nessuno può
vivere qui né coltivare i campi o allevare animali. Eppure in questo
stesso luogo un’intera città lavora per otto ore, tutti i giorni. Le protezioni sono minime così come i controlli sui livelli di radioattività accumulata posti all’uscita.
“Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant
– chi lavora qui firma un foglio in cui si impegna a seguire le regole
di comportamento all’interno della centrale. Alla fine di ogni anno ci
viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato
il limite, è solo colpa tua”. Ma a sentire tutti, dagli esperti ai semplici lavoratori, a Chernobyl non c’è nulla di cui preoccuparsi. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) – che promuove il nucleare commerciale – il disastro uccise solo 32 persone,
gli operai che per primi entrarono nel reattore per fermare la
catastrofe, mentre gli irradiati sarebbero stati appena 200 e 2mila i
bambini malati di cancro alla tiroide. “Il prezzo più pesante è stato
quello pagato in termini di vite umane.” – spiega Julia Marusich, lavoratrice alla centrale di Chernobyl. Qui arrivarono 600mila giovani
da tutta l’Unione Sovietica per cercare di limitare i danni della
catstrofe. Molti di loro sono morti dopo aver lavorato nell’impianto
nucleare”.
In realtà, infatti, le conseguenze dell’incidente si pagano anche
oggi. Secondo esperti indipendenti, nell’area contaminata da Chernobyl,
già nei primi anni del nuovo millennio, l’85% della
popolazione era ammalata. Oggi il 90% dei bambini nati nella zona ad
alto rischio soffrono di patologie alla tiroide, problemi
cardiovascolari e all’apparato digerente. Oltre alle mutazioni genetiche
che, quindi, passano di generazione in generazione. Sono inoltre
aumentati in modo esponenziale i tumori alle ossa e al cervello. In un
ospedale di Kiev incontriamo Leonid Marushehenko,
neurochirurgo pediatrico, che ci mostra alcune radiografie del cervello e
dice: “In base ai dati raccolti nel nostro ospedale, il numero dei
tumori al cervello nei bambini con meno di tre anni è aumentato di sei volte dopo il 1986”.
Data: 24.04.2016
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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