Il fotografo Efrem Lukatsky abitava a 100
km di distanza, a Kiev. Scoprì che cosa era successo il giorno dopo da
una vicina di casa. "Chiudi le finestre, c'è polvere radioattiva", gli
disse. Lukatsky si spaventò solo quando vide il marito della donna
spogliarsi e mettere i vestiti in una busta prima di entrare in casa.
"L'agenzia Tass parlò di uno sfortunato incidente", racconta, "e disse
che non c'era da preoccuparsi". Non fu cancellata la parata del Primo
Maggio e migliaia di persone si riversarono per le strade di Kiev,
sfilarono con i ritratti dei leader sovietici e le corone di fiori e la
musica. Intanto una sottile nuvola di fumo spargeva veleni nei cieli
d'Europa.
Passarono giorni prima che il governo svelasse che cos'era realmente
accaduto e consentisse alla stampa di accedere all'area per documentare
l'incidente. All'inizio furono solo tre i fotografi che potevano
avvicinarsi a Chernobyl: Vladimir Repik, Valery Zufarov e Igor Kostin,
tutti e tre della Tass. I primi due morirono per gli effetti delle
radiazioni e il terzo, dopo una vita di malanni, perse la vita in un
incidente d'auto. Tutti i loro scatti andavano a Mosca che decideva
quali rendere pubblici. Le foto venivano scattate in fretta, i secondi a
disposizione erano pochi, troppo pericoloso. Efrem Lukatsky riuscì a
accedere all'area qualche mese dopo, fu il primo di dozzine di viaggi.
Nel 2000 è entrato nella vecchia sala di controllo del Blocco 4.
Racconta di come si muoveva al buio e di come cercava di respirare il
meno possibile.
Data: 25.04.2016
Fonte: www.rainews.it
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