La carica dei 50mila a Chernobyl, nuova capitale del “dark tourism”
Chernobyl - “That’s life”. Così è la vita. È la voce di Frank Sinatra che
esce dall’altoparlante del chiosco dei souvenir ad accogliere i turisti
appena scesi dai pullman in arrivo da Kiev. Un caso - assicura una
guida - e non una beffarda sigla di benvenuto.
Pochi
metri più in là, un cordone di militari e un cartello che dice “vietato
fotografare” e una sbarra. Oltre quella sbarra c’è la “zona di
alienazione”. Un nome che fa paura già da solo. Lì inizia ufficialmente l’area di Chernobyl: 2600 chilometri quadrati sotto stretto controllo militare, una superficie pari a quella delle province di Savona e Imperia messe assieme.
Le regole
Sono le 10.15 del mattino, e mentre i primi arrivati si mettono in fila per il controllo passaporti, continuano ad arrivare pullman su pullman. Le compagnie accreditate per Chernobyl sono più di venti. Ma tra le tante regole da seguire una volta superato il controllo ce n’è una che mostra tutta l’ipocrisia di questo nuovo business: vietato usare all’interno della “zona di alienazione” la parola turista: «Voi siete visitatori», spiega serio Igor, la guida di SoloEast Travel che accompagna il mio gruppo. Con me viaggiano una giovane coppia di Brescia, una meno giovane della Florida e tre entuasiasti amici georgiani. «Usare la parola turista può portare all’espulsione». Le altre regole sono: non fumare, non bere né mangiare all’aria aperta, non sedersi per terra, non toccare nulla (cosa che si rivelerà impossibile passando in mezzo agli alberi), non entrare con biciclette o moto, non portare via oggetti, non entrare negli edifici (una regola che tutti aggirano), indossare scarpe chiuse, pantaloni senza buchi e maglie a maniche lunghe. La prima domanda a Igor ovviamente è: a cosa servono le maniche lunghe se poi non c’è l’obbligo di indossare una maschera protettiva, né di mettere un cappello, o i guanti? La riposta è disarmante: «Le regole sono regole, per quanto siano assurde. E qui le regole le fanno i militari, meglio non discutere. Se qualcuno vuole visitare Chernoyl, è così». E vogliono in tanti. Sempre di più, ogni anno che passa. Si chiama, in barba alle regole lessicali dei militari ucraini, “dark tourism”: turismo del macabro.
Sono le 10.15 del mattino, e mentre i primi arrivati si mettono in fila per il controllo passaporti, continuano ad arrivare pullman su pullman. Le compagnie accreditate per Chernobyl sono più di venti. Ma tra le tante regole da seguire una volta superato il controllo ce n’è una che mostra tutta l’ipocrisia di questo nuovo business: vietato usare all’interno della “zona di alienazione” la parola turista: «Voi siete visitatori», spiega serio Igor, la guida di SoloEast Travel che accompagna il mio gruppo. Con me viaggiano una giovane coppia di Brescia, una meno giovane della Florida e tre entuasiasti amici georgiani. «Usare la parola turista può portare all’espulsione». Le altre regole sono: non fumare, non bere né mangiare all’aria aperta, non sedersi per terra, non toccare nulla (cosa che si rivelerà impossibile passando in mezzo agli alberi), non entrare con biciclette o moto, non portare via oggetti, non entrare negli edifici (una regola che tutti aggirano), indossare scarpe chiuse, pantaloni senza buchi e maglie a maniche lunghe. La prima domanda a Igor ovviamente è: a cosa servono le maniche lunghe se poi non c’è l’obbligo di indossare una maschera protettiva, né di mettere un cappello, o i guanti? La riposta è disarmante: «Le regole sono regole, per quanto siano assurde. E qui le regole le fanno i militari, meglio non discutere. Se qualcuno vuole visitare Chernoyl, è così». E vogliono in tanti. Sempre di più, ogni anno che passa. Si chiama, in barba alle regole lessicali dei militari ucraini, “dark tourism”: turismo del macabro.
Data: 14.08.2018
Fonte: www.ilsecoloxix.it
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